Replica puntigliosa di Bassanini a Pomicino su Mps, francesi e massoni

Redazione

L’articolo di Cirino Pomicino sul caso Mps, pubblicato nel Foglio del 6 febbraio, contiene numerose affermazioni del tutto contrarie al vero. Mi limito a quelle di cui ho conoscenza e documentazione diretta. Ho infatti rappresentato il collegio di Siena in Parlamento dal 1996 al 2006 e dunque, in quegli anni, ho partecipato al dibattito locale sul ruolo della Fondazione Mps e sui suoi rapporti con la banca (nelle democrazie vere i parlamentari rappresentano la nazione, ma anche il territorio in cui sono eletti).

di Franco Bassanini

Leggi L’affaire Mps dovrebbero spiegarcelo Amato, Bassanini e i banchieri francesi di Paolo Cirino Pomicino

    Al direttore - L’articolo di Cirino Pomicino sul caso Mps, pubblicato nel Foglio del 6 febbraio, contiene numerose affermazioni del tutto contrarie al vero. Mi limito a quelle di cui ho conoscenza e documentazione diretta. Ho infatti rappresentato il collegio di Siena in Parlamento dal 1996 al 2006 e dunque, in quegli anni, ho partecipato al dibattito locale sul ruolo della Fondazione Mps e sui suoi rapporti con la banca (nelle democrazie vere i parlamentari rappresentano la nazione, ma anche il territorio in cui sono eletti). Non so nulla invece delle vicende successive alla primavera del 2006, dunque di Antonveneta e connesse. Sono peraltro personalmente convinto che queste ultime non abbiano nulla a che fare con le vicende precedenti, falsamente rievocate da Pomicino, e con le attività e le responsabilità della politica nazionale.

    1) Nel dibattito politico senese di quegli anni ero notoriamente tra i sostenitori della necessità che la Fondazione rinunciasse alla maggioranza assoluta nell’azionariato della banca, favorendo operazioni di aggregazione volte a creare un polo bancario molto più forte; aggiungo che la stessa posizione era sostenuta da Mussari, da Franco Ceccuzzi (allora segretario della locale federazione Ds) e da Giuliano Amato (senatore di Grosseto, territorio di riferimento della Fondazione insieme a Siena). Il contrapposto partito della “senesità” era molto forte in città, ma ben altri ne erano gli esponenti (a partire dal sindaco Cenni).

    2) Nel 2002 (rectius 2003) ciò che accadde fu l’esatto contrario di quanto descritto da Pomicino. Il vertice della Fondazione negoziò e concordò allora con Luigi Abete (presidente di Bnl) e con gli spagnoli del Bbva (azionisti di riferimento di Bnl) un merger Mps-Bnl. Lo seppi dal governatore Fazio: al termine di un’audizione al Senato, Fazio mi chiese di incontrarlo a Palazzo Koch. L’incontro durò più di un’ora. Fazio mi disse: “Poiché so che lei è molto ascoltato a Siena, le spiego perché non potrò autorizzare l’aggregazione Mps-Bnl così come mi è stata prospettata”. Appresi così che l’accordo prevedeva un’operazione carta contro carta, che la Fondazione si sarebbe diluita dal 59 per cento al 34/35 per cento, che gli spagnoli sarebbero stati il secondo azionista al 18 per cento (apportando oltre alle azioni Bnl anche denaro fresco). A me sembrava una buona operazione e glielo dissi: creava un polo bancario forte, e la Fondazione scendeva ben al di sotto della maggioranza assoluta. Mi rispose che la Fondazione doveva scendere sotto il 25 per cento e il Bbva rimanere sotto il 15 per cento. Risposi che, in punto di diritto, le sue richieste mi sembravano infondate, ma non riuscii a fargli cambiare idea.

    3) Quanto alle vicende del 2005 (l’estate dei furbetti), esse sono ben note, ma non hanno nulla a che fare con presunti interessi francesi (e, poi, con Antonveneta): la scalata a Bnl era condotta da Unipol, Mps doveva fare il portatore d’acqua, e, a torto o a ragione, Fondazione e banca decisero che l’operazione non era per loro conveniente; io mi limitai a sostenere che le decisioni della Fondazione e della banca dovevano restare autonome da pressioni politiche: i partiti dovevano fare i partiti e le banche le banche, come oggi a parole tutti ripetono.

    4) Il vertice della Fondazione cercò negli anni successivi di costruire altre aggregazioni (con Intesa e con San Paolo-Imi: ci arrivarono vicini, credo, ma poi arrivò improvviso il merger Intesa-San Paolo). Ma di ciò ho solo conoscenze indirette, perché, non ricandidato a Siena, dal 2006 in poi non ho più titolo né motivi per partecipare al dibattito.

    Aggiungo che non ho e non ho mai avuto rapporti con la finanza francese (e tanto meno con la massoneria, francese o non francese, come Pomicino ha insinuato in altra sede). Sfido chiunque a dimostrare il contrario. Pomicino risponderà delle sue affermazioni diffamatorie in sede giudiziaria. In più: non ho reso alcun “favore ai cugini d’oltralpe”. Nel consiglio d’amministrazione dell’Ena fui proposto dall’allora ministro della Funzione pubblica Michel Sapin, noto “ammiratore” (a torto o a ragione) della riforma della P .a. italiana che avviai in quegli anni. Sapin è ora ministro del Lavoro. Fu lui che mi propose a Chirac per la Legion d’onore. Il tutto nel 2000, dunque molto prima delle vicende di cui si discute, e molto prima che Bnp-Paribas si occupasse di Bnl.
    Per concludere. Il dibattito sulla “senesità” divideva allora la città e la sinistra senese. Mussari, Ceccuzzi, Amato e il sottoscritto contrastavano la linea della senesità. La fusione Mps-Bnl fu bloccata dalla Banca d’Italia. Col senno di poi, si può dire che, se fosse andata in porto, come era stato concordato fra la Fondazione e il Bbva, Mps non avrebbe comprato Antonveneta e oggi non sarebbe nella bufera. Cordiali saluti.

    di Franco Bassanini

    Leggi L’affaire Mps dovrebbero spiegarcelo Amato, Bassanini e i banchieri francesi di Paolo Cirino Pomicino