Saga famigliare di Bonomi, uomo per tutte le partite finanziarie

Michele Masneri

Un po’ tecnico, un po’ rottamatore, soprattutto molto milanese, seppur nato a New York. Andrea Campanini Bonomi, quarantaseienne, è il protagonista di alcuni dossier economici tra i più delicati del momento: da una parte ha un ruolo principale da “rottamatore” nella vicenda della Popolare di Milano post èra Ponzellini. Anche se, nell’intervista di ieri sul Corriere della Sera, da presidente del consiglio di gestione Bonomi viene definito come il “tecnico” che intende rinnovare la banca più sindacalizzata d’Italia (“la cosa peggiore che abbiamo trovato non sono i conti ma la cultura”, ha detto a Federico de Rosa, quasi parafrasando il Mario Monti che poche ore prima aveva detto di voler “cambiare la cultura politica ed economica” del paese).

    Un po’ tecnico, un po’ rottamatore, soprattutto molto milanese, seppur nato a New York. Andrea Campanini Bonomi, quarantaseienne, è il protagonista di alcuni dossier economici tra i più delicati del momento: da una parte ha un ruolo principale da “rottamatore” nella vicenda della Popolare di Milano post èra Ponzellini. Anche se, nell’intervista di ieri sul Corriere della Sera, da presidente del consiglio di gestione Bonomi viene definito come il “tecnico” che intende rinnovare la banca più sindacalizzata d’Italia (“la cosa peggiore che abbiamo trovato non sono i conti ma la cultura”, ha detto a Federico de Rosa, quasi parafrasando il Mario Monti che poche ore prima aveva detto di voler “cambiare la cultura politica ed economica” del paese). Al primo consiglio d’amministrazione della banca, Bonomi ha annunciato programmaticamente di operare secondo “un senso di appartenenza e anche, se mi permettete, su una certa milanesità”, come a voler purificare e riportare alle origini l’istituto di piazza Meda (prima banca fondata a Milano dopo l’Unità d’Italia, dopo tutto).

    Altra partita milanesianamente sistemica è quella su Pirelli. Qui Bonomi sta agendo da pacificatore tra Marco Tronchetti Provera e gli arrembanti (e non milanesi) Malacalza, in un’operazione di modernizzazione della governance che dovrebbe portare però tra gli azionisti di Pirelli proprio il suo fondo Investindustrial. Il terzo dossier è motoristico: dopo aver ceduto il marchio motociclistico Ducati all’Audi (un’operazione da 860 milioni di euro), adesso Bonomi ci starebbe riprovando con Aston Martin, la blasonata casa britannica (ma di proprietà kuwaitiana) di cui l’imprenditore sarebbe interessato a un 50 per cento, in accordo con Mercedes (anche se qui le voci sembrano scemare nelle ultime ore). Infine, operazione minore ma ancora milanesissima, Bonomi, che siede nel board del Corriere della Sera, si dice che potrebbe entrarvi anche da azionista in un prossimo aumento di capitale. Il tutto appunto con il suo fondo Investindustrial, con attività in 14 nazioni, 32 mila dipendenti e 23 miliardi di euro gestiti. Il nome dell’impresa è di famiglia: si chiamava infatti Bi-Invest la creatura del padre, Carlo Campanini Bonomi, che rimane famosa per essere stata oggetto della prima scalata ostile della finanza italiana, da parte della Montedison di Mario Schimberni. E’ probabile che sull’onomastica abbia influito una sorta di revanchismo; nei confronti del padre, che ripiegò poi a Londra, città da dove ha composto un gruppo di partecipazioni industriali non banali; e certamente nei confronti della nonna, figura centrale della mitologia di famiglia, e non solo.

    Come nella “Bella di Lodi”, romanzo molto lombardo di Alberto Arbasino sui dané, anche nella saga dei Bonomi i genitori sono assenti o decorativi, mentre operative sono le nonne. E qui il vero personaggio è lei: la “primadonna della finanza italiana”, “la gran sciura dei danée”, “Anna dei miracoli” o anche “Compro Io”, a seconda dei soprannomi usati nelle diverse epoche. Anna non ancora Bonomi era nata nel 1910 a corso Indipendenza 23, dove la mamma, la signora Galbiati, faceva la portinaia in uno dei 400 palazzi di proprietà di Carlo I Bonomi, immobiliarista – si direbbe oggi – ex capomastro nella Milano ruggente. Le uniche tenerezze del sciur Carlo, proprietario di diecimila appartamenti, proverbialmente tirchio e scapolo, erano per la “tusa della portinera” di corso Indipendenza. Tante tenerezze si scoprirono poi dovute a peccati compiuti con la titolare della guardiola: e con grande scandalo Bonomi adottò la bambina (con furibonde lotte legali da parte degli eredi legittimi Bonomi, perdute). Anna Bonomi, che, si dice, ispirò Franca Valeri per il personaggio dell’imprenditrice cinica nel “Vedovo” di Dino Risi con Alberto Sordi, diceva volentieri “cagata”, “cazzo”, e si fregiava di parlare in dialetto milanese. “Prima donna banchiere d’Italia” secondo il Dizionario biografico delle donne lombarde, ricevuta gaddianamente per i 16 anni una villa fuori città, si appassionò al mattone. Dal padre aveva ereditato infatti la passione immobiliare (oltre a due fondamentali concetti: “Mai dare mance”; “mai prendere il facchino”) e quando costui morì, oltre alla soddisfazione di far parare a lutto 400 portinerie in città, cominciò a comprare e diversificare in lungo e in largo: non solo immobili (fece edificare il Pirellone) ma aziende come la Saffa, la Mira Lanza, il Credito Varesino, la Toro Assicurazioni, pezzi di Montedison. Ai suoi massimi, l’impero Bonomi arrivò ad avere 50 aziende e 10 mila dipendenti.

    La Sciura Anna aveva scelto Raffaele Mattioli (il cui ritratto campeggiava nel suo ufficio) come protettore dell’impero, anche per pararsi da qualche amicizia difficile come quella con Michele Sindona, di cui disse che “nonostante tutto, è il più bravo di tutti”. I due furono protagonisti di un memorabile scontro ai piedi di un Mystère in pista a Linate: la “signora” voleva acquistare la Generale Immobiliare e il faccendiere, per cederla, voleva 1.250 lire per azione. Lei ne offriva 1.200. Rimasero ore a negoziare sotto i motori accesi dell’aereo, senza trovare un accordo. Lei poi fu condannata per il crac Ambrosiano, e decise di ritirarsi (“voglio disfesciare”, in purissimo milanese, disse, nel senso di sbaraccare). Disfesciò a Paraggi, nel castello restaurato dall’architetto immaginifico Tomaso Buzzi (quello del Volpaeum di Sabaudia e della Cometa di Roma), poi affittato a Silvio Berlusconi, di cui aveva simpatia, ricorda sempre Giampaolo Galli. Come il Cavaliere degli inizi, non era mai stata accettata molto nei salotti giusti: e nonostante il secondo matrimonio con l’avvocato Bolchini (introdotto e si dice social climber, come appunto Alberto Sordi nel “Vedovo”, lì chiamato “cretinetti”), i famosi balli della contessa Giuseppina Crespi (dei padroni del Corriere, dunque tutto torna) le erano interdetti. Ma lei aveva piuttosto il gusto di certe popolanità: quando il fisco le chiese un miliardo di lire di tasse evase, mise all’asta da Sotheby’s tutti gli arredi del palazzo di via Bigli, comprese lenzuola e tovaglie. E ogni mattina, regolarmente, si consigliava con la maga Ester, poi benefattrice del San Raffaele. E la sua creatura preferita rimase il Postalmarket, il catalogo per corrispondenza da lei inventato.