Soru tra furia di rinnovamento e pasticci architettonici

Chi è l'uomo che ha spaccato il Pd sardo (ora alla prova del continente)

Marianna Rizzini

Il viandante che si trovi a passare, di notte, per le vie della città di Cagliari, nei pressi della basilica di Bonaria, a poca distanza da una casa bianca del marmo d'Orosei, potrà forse scorgere sulla scalinata la sagoma seduta di Renato Soru.

    Il viandante che si trovi a passare, di notte, per le vie della città di Cagliari, nei pressi della basilica di Bonaria, a poca distanza da una casa bianca del marmo d'Orosei, potrà forse scorgere sulla scalinata la sagoma seduta di Renato Soru, presidente dimissionario della Regione Sardegna già pronto per il bis, isolano non isolato, fondatore di Tiscali, editore dell'Unità versione Concita e ultima spiaggia (amara?) per il Walter Veltroni alle prese con la “questione morale”. Non otterrebbe però soddisfazione colui che, avvicinandosi a quel Soru notturno, chiedesse: presidente, cosa ci fa qui? Si sentirebbe rispondere soltanto: sto riflettendo. (Le leggende cagliaritane narrano che questa sia la risposta data da Soru a un carabiniere che l'aveva trovato così, seduto e assorto, alla luce della luna, in una notte estiva. Certo è che di giorno il presidente non si fa problemi a dire “fatti gli affari tuoi” agli scocciatori istituzionali e non).

    Solo Soru si salva, ha letto Walter sull'Espresso, e vorrebbe davvero crederci, tanto che, appena Soru si è dimesso per divergenze con la (sua) maggioranza sulla legge urbanistica – nonostante l'evidente scontento nel Pd sardo (non siamo tutti cementificatori come Soru vorrebbe farci apparire, lamentano i compagni che gli hanno votato contro), e nonostante il pasticciaccio di un appalto pubblicitario Saatchi e Saatchi per cui Soru, dall'autunno del 2007, è indagato – Veltroni l'ha chiamato, l'ha rassicurato, l'ha incontrato, l'ha ri-incoronato innovatore coraggioso (per la ri-candidatura), ha finto di non sentire le voci che davano Soru come uomo buono per la futura leadership nazionale del Pd e ha spedito a Cagliari Maurizio Migliavacca (come proconsole di pace). E ora si tappa le orecchie, W., cercando di non sentire Maurizio Gasparri che dice: perché taci sul caso Soru? Ed ecco che i compagni dubitano: Soru può essere bravo quanto ti pare e innocente fino a prova contraria quanto ti pare, e può piacere a Enrico Letta e a Massimo D'Alema e a Roberto Colaninno e a Carlo De Benedetti – il primo ha avuto dal presidente uscente il via libera per l'ampliamento del suo campo da golf nel sud dell'isola, firmato Fuksas; il secondo è entrato per un sei per cento nel panorama azionario Tiscali. E però, sussurrano i compagni che dubitano, Soru rischia comunque un rinvio a giudizio (prima delle amministrative).

    Ma che cosa è, poi, questo rischio, per Soru? Nulla rispetto alla missione autodichiarata dal presidente uscente (e pronto per il bis), lottare in Sardegna per la Sardegna. Nulla per un uomo di sardità ruvida e modi da “balente”, il valoroso che, nei villaggi dell'entroterra, difendeva l'onore della famiglia riscattandola dalle offese a qualsiasi costo, con abnegazione e generosità –  spietato, all'occorrenza, ma mai bandito (anche se poi qualcuno, sul continente, ha usato il termine “balente” a sproposito, per indicare i briganti che la Barbagia nascondeva). D'altronde Soru l'ha detto anche in tv, da Fabio Fazio: “Si vive per fare il capolavoro della propria vita”, la Sardegna è la mia patria e la mia vita. E dunque qualsiasi cosa Soru faccia o abbia fatto, se per caso qualcosa di male ne esce, per i sardi vecchio stampo la colpa sarà sempre di qualcuno laggiù o lassù, a Roma o a Milano, luoghi buoni, al massimo, per fare un “master and back”, come diceva Soru ai ragazzi di Tiscali: vai, impari e torni in Sardegna, come ha fatto l'Unità, tornata idealmente, con lui, alla casa paterna (del sardo Antonio Gramsci) e come ha fatto lui, Renato, che ha studiato alla Bocconi, stesso corso di Alberto Alesina, ma poi ha dovuto smettere e mettersi a lavorare, da bravo ragazzo con famiglia numerosa da mantenere. Ed è stato allora che ha girato l'Europa dell'est per impiantare centri commerciali, ed era già tanta la strada fatta dal piccolo market materno nel paese di Sanluri, quaranta chilometri da Cagliari, borgo di resistenze contro gli aragonesi, teatro di una battaglia e di una tragica storia d'amore – lì il re Martino il Giovane, aragonese vittorioso, perse il senno per la bella del paese e forse per il rimorso del male causato con la sua spada, e ancora oggi, a sei secoli di distanza, gli anziani di Sanluri raccontano ai nipoti la vicenda, come a voler dire: ecco che cosa succede a chi cerca di conquistarci dall'esterno. E dunque il presidente uscente potrà sempre contare sul riflesso condizionato che si impossessa della maggior parte degli abitanti dell'isola quando qualcuno parla male di un abitante dell'isola, riflesso che si concretizza nella frase: “A fòras is continentalis” (tradotto: fuori i continentali).

    Soltanto un saggio di Sanluri potrebbe suggerire che fare nel bel mezzo della crisi (mondiale e di Tiscali). E infatti Soru cita sempre sua madre, donna di grande saggezza che diceva di mettere via i soldi quando la situazione si faceva difficile – e pazienza se gli economisti dicono che per far ripartire il mondo bisogna comprare. “Quand'ero ragazzo” – ha detto il presidente uscente – “ho avuto un problema economico e per un anno non ho comprato nemmeno un paio di pantaloni”). Oggi Renato Soru, padre di quattro figli, sposato, divorziato e riaccompagnato con una gallerista, qualcosa lo compra – cravatte e bretelle, di quelle sottili e setose indossate dagli impiegati della (fallita) Lehman Brothers. E però la domenica mette la camicia senza cravatta, chiusa fino all'ultimo bottone, e se ne va in giro così, con le mani in tasca e lo sguardo fisso davanti a sé, lungo la via principale di Cagliari, per i bar dove le famiglie comprano le paste, a raccogliere con un cenno del capo i saluti dei cittadini ammiratori – non sorride neppure agli amici e neppure al suo mentore, il tycoon sardo Nichi Grauso, oggi editore di E-Polis (dev'essere un gioco del destino: Renato Soru si trova sempre sulla scia del maestro, arriva prima o poi a fare ciò che Nichi ha fatto prima di lui, ma chi conosce Grauso dice che ne è contento perché vuole che i suoi progetti lo superino). In effetti Soru era partito con il vendere schede telefoniche – dalla Sardegna al resto del mondo – di quelle con il codice tipo gratta e vinci. Fu un successone. In poco tempo potè comprare pure i server e diventò Mister Tiscali, come lo chiama il Times, ammiratissimo. E chissà se oggi, quando cammina assorto tra la folla di via Mannu, il presidente dimissionario ripensa al giorno in cui si presentò da Grauso, pioniere degli Internet provider (con Video on line), dicendo: posso essere tuo affiliato in Cecoslovacchia? Erano tempi di mercati sconfinati e guadagni da bolla speculativa in Borsa, e Soru divenne uno dei migliori affiliati (l'altro era Umberto Cairo, futuro proprietario di Wind). E allora si capisce perché l'unico che oggi, incontrando Soru, può permettersi di dirgli, per strada, “smile, it's the best for you”, sia proprio Nichi Grauso.

    Oggi Mr Tiscali piace ai comunisti – Liberazione gli ha dedicato un inserto inneggiante all'Obama del nuraghe – forse perché qualcuno, a sinistra, ne ricorda la furia purificatrice d'ogni eccesso consumistico: a inizio mandato il presidente girava in macchina e strappava personalmente i cartelloni pubblicitari, e una volta rifiutò di far salire sull'aereo per Roma il capo di gabinetto: ci sono già io, disse, ché bisognava risparmiare. Ne fece le spese, letteralmente, l'assessore alla Cultura che aveva organizzato una cena per una vendita di libri i cui utili dovevano essere reinvestiti alla regione. I testimoni ricordano che il presidente la apostrofò con un “pagatela tu”. Animato da afflato minimalista, Soru acquista mobili d'aspetto sobrio per la casa di città e per la magione avita di Sanluri, ristrutturata in stile “loft newyorchese”. Meno fortunata è stata la ristrutturazione della villa al mare, nei pressi di Villasimius, da anni bersaglio di avversari politici e stampa (il Giornale in testa, con tanto di foto scoop sulle migliorie apportate). Oggetto della battaglia, il presunto “due pesi e due misure” del governatore: ma come, non vuole che si costruisca nulla vicino alle coste, vuole proibire interventi volumetrici e poi fa quello che dice agli altri di non fare per la sua villa a due passi da riva? E non erano ancora giunti i tempi di Funtanazza, ex colonia estiva in zona di proprietà della famiglia Soru – che voleva riconvertirla in hotel, e però non se n'è fatto nulla, viste le polemiche.

    La gaffe della Brigata sarda
    Forse l'appoggio dell'estrema sinistra può far dimenticare al presidente dimissionario il periodo in cui tutti (comunisti compresi) lo paragonavano a Silvio Berlusconi: come Silvio sei sceso in campo venendo da una ricca impresa, come Silvio hai il conflitto di interessi, e vai a spiegare che a Tiscali avevi ormai soltanto il 20 per cento delle azioni e non ci mettevi piede e non parlavi con nessuno. Nessuno ci credeva, e intanto Silvio veniva in Sardegna e faceva l'imitazione: “Soru è uno che a Palazzo Chigi mi dava la mano guardando dall'altra parte”, scherzava il Cavaliere in comizio a Cagliari, tendendo il braccio e facendo una faccia sdegnata. Che ci sia o no un conflitto di interessi, Soru dà in beneficienza lo stipendio da presidente. E però non può lavarsene le mani, di Tiscali, tanto che ha detto in tv “l'azienda non lascerà a casa nessuno” – e i lavoratori, a cui era giunta ufficiosamente la notizia di 250 esuberi imminenti, erano allibiti: che voleva dire Soru, in realtà, che non ci sarà nemmeno cassa integrazione? Sia come sia, Mr. Tiscali resta pur sempre un genius loci, è come Gigi Riva e la Brigata Sassari (che proprio Soru, un giorno, ha definito mercenaria – e allora apriti cielo: nessuno, neanche un sardo, può toccare a un sardo la Brigata Sassari). E' che a Mister Tiscali, ogni tanto, viene fuori lo spirito “no war” che l'ha portato a dire “no” alla base della Maddalena, con l'aria di uno che si sente il ragazzo di Tienanmen davanti ai carri armati, e pazienza se gli americani avevano già deciso di andarsene (senza il suo intervento).

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.