La specie storta

Edoardo Rialti

La recensione del libro di Giorgiomaria Cornelio, Tlon, 133 pp., 16 euro

Enea riemerge dagli inferi con uno scudo che racconta le glorie a venire di Roma, imprese ed eroi che non conosce e che pure nasceranno dai suoi patimenti. Egli rimira le immagini e, senza sapere perché, ne gode. Il passato è memoria del futuro, così come il futuro è la guarigione del passato medesimo, le ossa della profezia di Ezechiele che rinverdiscono sotto un vento nuovo. Un rapporto vivo con la tradizione non si riduce alla sua critica, ma si fa commento – direbbe Elemire Zolla – lo varia, integra, ribalta. “Non domandare agli oracoli / sii tu il tuo oracolo”, consigliava Donatella Bisutti.

 

Una simile riappropriazione è al centro delle poesie-pellegrinaggi, immram come la navigazione mistica dell’irlandese san Brandano a opera d’una rinnovata Armata Brancaleone, scarti e reietti in cui però si annida la “lunga fedeltà folle” che Cristina Campo – nome evidentemente caro a Cornelio stesso – attribuiva agli eroi pezzenti e regali delle fiabe. Un viaggio nel tempo e nello spazio “per rivoltare questa secca delle ossa” e palesare la coscienza increata di una razza, come sognava Stephan Dedalus. La consegna delle braci era significativamente il titolo della raccolta precedente. Anche in questo nuovo passo espressivo, la poesia è un rito, un gesto che supera la pagina scritta – testimoniato anche dalle fotografie che documentano le feste della poesia a Valle Cascia, dove le parole di Cornelio sono diventate uno spazio in cui muoversi, esprimendo lo “scalzo inciampo” di chi continuamente si scontra con la pietra di scandalo dell’esistenza, e proprio così palesa un’altra andatura, una armonia più forte di quella manifesta. “Non c’è più lingua per dire / il papavero, l’acanto, la molecola / di resina o il santo patrono, / tu, se puoi, / continua a pregarli”.

 

Il traviamento, l’esclusione, la condanna che ogni geometria proiettata sul cosmo esercita su quanto la eccede, mina e contesta si fa così liturgia, l’esilio si rovescia in elezione e persino in comunità, nell’impensata eppure attesa possibilità di salvare proprio ciò che ci ha condannati. “Un giorno chiederemo la somiglianza col / congedo. Ripareremo la mutilazione celeste, / mutando la colpa in adozione”. Un anelito bello e difficile che attesta la fiducia profonda in un atto trasformativo che non si può dire dove inizia o finisce, come le sue parole, capaci di traboccare nelle ore e negli spazi della mente, a rifrazione d’uno sfondo che ci comprende tutti, “l’ombra d’oro, / quella che ci spetta, che mai passa”.  

  

La specie storta
Giorgiomaria Cornelio
Tlon, 133 pp., 16 euro

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