Elaborazione grafica di Francesco Stati 

una fogliata di libri

Fra antropologia e storia dell'arte

Rinaldo Censi

La recensione del libro di Aby Warburg. Einaudi, LXXIV-726 pp., 85 euro

Salutiamo con soddisfazione questo secondo tomo dedicato ad Aby Warburg, edito da Einaudi nella collana dei Millenni curato, come il precedente, da Maurizio Ghelardi. Cosa contengono le 719 pagine del volume? Saggi, conferenze, frammenti – come specificato nel sottotitolo. Una silloge. L’intento del curatore è stato quello di “delineare un orizzonte più nitido della sua ricerca, spesso così frammentaria, muovendo dagli interrogativi fondamentali che l’autore si è posto”. L’impresa è insomma riconducibile “al tentativo – pur sempre parziale – di cogliere il senso e lo sviluppo del suo pensiero”.

Impresa complessa. Si corre forse il rischio di sistemare (dare un senso, appunto) a un pensiero che ancora oggi resta inafferrabile e, insieme, inaggirabile. Com’è avanzato il percorso di Warburg? Già nel “frammento di un’autobiografia” che apre il volume, datato 1927, riguardante la seduta del Kuratorium della Biblioteca Warburg, avvertiamo quanto risulti cruciale il suo rifiuto verso una “ortodossia fortemente dogmatica” del sapere, cui vanno ad aggiungersi varie crisi nervose, come se questi due elementi non avessero fatto altro che scandire la sua bramosia di conoscenza, erudizione, spingendolo a interpretare e a studiare le immagini da un punto di vista eccentrico, soffermandosi notoriamente sui dettagli. Ciò che prende corpo è il progetto di una “scienza della cultura”, di una “scienza senza nome” dove far incontrare, scontrare, tutto lo scibile umano. 

I testi qui inclusi ben inquadrano questo progetto, quasi romantico. E viene il dubbio che sia stata davvero la follia ad avergli permesso di oltrepassare i limiti stabiliti dalle culture. Ma a quale prezzo terrificante! Gli studi a Firenze, le annotazioni sugli indiani Pueblo: come avvicinare il Rinascimento e la tradizione dei nativi d’America? Le pagine dedicate all’uomo simbolico, l’eredità dell’antico, la figura mobile della “ninfa”, servono forse a comprendere questo programma ambizioso, di certo inesauribile. Figura quasi “cristologica”, suo malgrado, per giovani studiosi affetti da maledettismo (la sua follia non funge forse da “Passione”?), Warburg resta indefinibile. Leggendolo viene da chiedersi se ciò che scrive sia una costruzione intellettuale, oppure lambisca il rapporto tra fantasma, costruzione mentale e realtà. Tutto ciò rende il suo pensiero magnificamente indecidibile.

 


Fra antropologia e storia dell’arte

Aby Warburg 
Einaudi, LXXIV-726 pp., 85 euro

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