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La spia che mi ha amata

Andrea Frateff-Gianni

La recensione del libro di Ian Fleming, Adelphi, 172 pp., 18 euro

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Mentre nelle sale cinematografiche Daniel Craig, con “No time to die”, chiude il cerchio della saga che lo ha visto indossare i panni di James Bond e ovunque si sprecano i dibattiti sull’immortalità del personaggio, arriva in libreria La spia che mi ha amata di Ian Fleming, ennesimo capitolo della serie ristampata da Adelphi, a ricordarci che 007 è creatura prima letteraria che cinematografica. Molto diverso dal blockbuster con Roger Moore del 1977,

   

La spia che mi ha amata è il nono romanzo di James Bond e fu scritto da Ian Fleming nella sua tenuta a Goldeneye, in Giamaica, nell’inverno del 1961. La leggenda narra che Fleming all’epoca non se la passasse troppo bene. Usciva da un lungo ricovero in una clinica londinese per problemi di salute, era impossibilitato a presenziare al consueto ritrovo natalizio di famiglia sulle piste da sci di St. Moritz e il suo romanzo precedente, Thunderball, era stato accusato di plagio. La relazione con la moglie Ann era in profonda crisi e anche la sua creatura iniziava a venirgli a noia, come si evince da questa dichiarazione al suo editore Michael Howard: “Sono sempre più sorpreso di scoprire che i miei thriller, pensati per un pubblico adulto, vengono letti nelle scuole, e che i giovani hanno fatto di James Bond un eroe… quindi mi è venuto in mente di metterli in guardia sul conto di Bond e chiarire la vicenda una volta per tutte”.

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Nacque così il suo romanzo più controverso, quello in cui sovvertì tutte le regole che si era prefissato, cambiando radicalmente approccio e, soprattutto, scegliendo come protagonista una voce femminile, relegando Bond al terzo atto della storia. Separato in tre sezioni distinte intitolate “Io”, “Loro” e “Lui”, il libro si concentra sulle vicende di Vivienne “Viv” Michel, una donna canadese che, dopo una serie di delusioni  amorose e non, fugge negli Stati Uniti e, a un certo punto, si trova al posto sbagliato nel momento sbagliato. Fino ovviamente all’arrivo di 007. Un romanzo quasi hitchcockiano, in cui la tensione sale lentamente pagina dopo pagina, che ignora i luoghi esotici, la smania cafona del Martini, i vestiti di alta sartoria, le Aston Martin e tutti i cliché bondiani, mettendo al centro della scena la vita di una donna degli anni Sessanta e Settanta che esplora la propria sessualità, in un periodo in cui affrontare determinati argomenti era considerato ancora un tabù.

   

“E’ come se Mickey Spillane fosse entrato in un circolo di romanzieri sentimentali buttando giù la porta a spallate”, ha scritto il critico John Fletcher a proposito. Non possiamo che essere d’accordo con lui. 

  

La spia che mi ha amata
Ian Fleming
Adelphi, 172 pp., 18 euro

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