Una fogliata di libri

Gli scrittori scrivono troppo?

Gaia Montanaro

La recensione del libro di Jerome K. Jerome (Mattioli 1885, 96 pp., 10 euro)

Siamo davvero interessanti quanto crediamo di essere? Gli scrittori scrivono troppo? Le storie dovrebbero essere reali? Dovremmo dire quello che pensiamo, o pensare quello che diciamo? Queste sono alcune delle sagaci domande che fanno da titolo ai sette brevi divertissement intellettuali dell’umorista inglese Jerome K. Jerome, riuniti in una piccola e preziosa raccolta edita da Mattioli 1885. L’autore di Tre uomini in barca si sofferma con lucida e implacabile ironia a raccontare i salotti culturali, che lui stesso frequentava abbondantemente, mettendone in evidenza contraddizioni, ipocrisie e peculiarità. Il suo sguardo irriverente e divertito è capace di raccontare quello che gli era più prossimo e quindi – per definizione – più difficile da vedere, senza preoccupazioni conformistiche e con l’acume tipico dell’umorismo inglese. Troviamo una signora americana amante dei libri di Jerome che in un’occasione mondana decide di non incontrare l’autore per non rimanerne delusa: “Per quanto mi riguardava, mi dispiacque davvero che si fosse tirata indietro; sarebbe davvero valsa la pena di incontrare una donna così ragionevole”. Si ragiona sulla domanda se gli scrittori scrivano troppo (risposta: sì) notando l’appiattimento narrativo del tempo, la ridondanza con cui si scrivono libri e si scrive di libri e la diffusa mancanza di originalità. Ci si chiede se le storie debbano essere reali proponendo due strade interpretative: “Se la letteratura deve essere considerata unicamente come il passatempo di un’ora oziosa, allora minore è il suo rapporto con la vita meglio è. Se la letteratura deve essere un aiuto, tanto quanto un passatempo, deve occuparsi di ciò che è brutto come di ciò che è bello. Deve rappresentarci non come vorremmo apparire, ma come le persone che sappiamo di essere veramente”. Jerome racconta della musica di Wagner e dell’opera lirica come forma espressiva suprema, non le manda a dire al Faust di Goethe e si chiede se i giovani sappiano tutto ciò che vale la pena conoscere. Tra il serio e il faceto prende il giro il mondo intellettuale di cui anche lui ha scelto di far parte, non sottraendosi al gioco ma mantenendo un lucido distacco. Parla di una nicchia ma non in modo auto riferito proprio perché la chiave di tutto è l’ironia, applicabile a ogni contesto, strumento che ridimensiona le cose del mondo e che aiuta a guardare la realtà dalla giusta prospettiva. E quella di un salotto inglese di fine Ottocento non è poi così male.

 

Jerome K. Jerome
Gli scrittori scrivono troppo?
Mattioli 1885, 96 pp., 10 euro

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