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Una fogliata di libri

Ripartire dal desiderio

Simonetta Sciandivasci

La recensione del libro di Elisa Cuter (minimum fax, 214 pp., 16 euro)

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 Questo libro ha la compiutezza del saggio e l’agilità del pamphlet. Né l’una né l’altra cosa rendono la voce dell’autrice meno coinvolgente, determinante. In alcuni tratti, Elisa Cuter fa di questo suo studio il fatto personale e particolare che il femminismo è per ogni donna, incluse quelle che non ci credono, che non lo conoscono. 
Soprattutto, il femminismoè una questione aperta, che continuamente riscrive i suoi obiettivi e i suoi punti di partenza. L’operazione di Cuter ha due movimenti: individuare le semplificazioni del femminismo mainstream, allargare la piantina del mondo che l’analisi femminista può indagare. Il desiderio è il punto di partenza e d’arrivo: Cuter si serve di uno dei punti cruciali della decostruzione del nostro tempo, quella che ci ha messo davanti agli occhi il fatto che i nostri desideri sono indotti e, prima ancora, da Pasolini in poi, il fatto che il capitalismo ci rende schiavi dell’appagamento di quei desideri, rimpinzandoci, portando a uno squilibrio bulimico la dialettica tra mancanza e risorsa. “Il desiderio è quell’esperienza che crea un conflitto, una cesura tra soggetto e oggetto”. Ed è in questo conflitto che si pongono le basi delle relazioni, che si riconosce l’altro, che si comprende che non siamo esseri isolati, che non tutto dipende da noi – il capitalismo ci illude di potere tutto, ci racconta che ogni desiderio è un obiettivo, che la forza di volontà è un muscolo che, se ben allenato, può farci prendere qualsiasi cosa, qualsiasi peso, e il femminismo pop, più o meno consapevolmente, propone o almeno alimenta la stessa illusione.  
Indagare il desiderio significa perdere la bussola, “partire senza sapere per dove”, riconnettersi a una sessualità che non sia pacificata, che non sarà pacificata nemmeno dall’abolizione dei generi, e che, invece, deve restare il luogo del conflitto, della differenza che “diventa una ricchezza, una possibilità”. In quel conflitto, il femminismo ha introdotto un terzo soggetto che non coincide con il femminile – che è un prodotto culturale come lo è il maschile – e che non ha portato un ordine bensì “una rottura che riarticola lo spazio sociale e porta il sesso al centro del discorso, e per questo porta lo scompiglio”. Qui è il cuore del lavoro di Cuter, e la sua rivendicazione rispetto ai movimenti che chiedono giustizia, linearità, appagamento, parità, rispetto al “safe, sane and consensual, il diktat degli illuminati”: non dimentichiamoci lo scompiglio, il fastidio. Il femminismo ha senso se irrita e mette in pericolo: la sua lezione di pratica politica è questa. Non è un caso che, in un libro che tocca tutto, perché il femminismo si occupa della vita, che è tutto, Cuter a un certo punto riprenda una riflessione di Bifo sull’acquiescenza dei ragazzi durante il lockdown: tutti hanno accettato di starsene a casa a lavorare per pochissimo, seduti e isolati, senza immaginare un mondo diverso, in fondo convinti che la responsabilità sia obbedienza a regole ispirate alla colpevolizzazione e mortificazione di ogni istinto vitale.

  

Elisa Cuter
Ripartire dal desiderio
minimum fax, 214 pp., 16 euro

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