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Una fogliata di libri

Il mondo di James Ballard dietro a una porta gialla

Rinaldo Censi

La prigionia a Shangai, la cacciata dalla Raf e l'ossessione per gli esperimenti clinici nella provincia inglese: vita del cantore della fantascienza inquietante nel libro "Ballardismo applicato"

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James Graham Ballard festeggerebbe quest’anno novant’anni. Quando nasce, il 15 novembre 1930 presso il General Hospital di Shanghai, la madre, esile, dal bacino stretto, affronta un parto particolarmente doloroso. Lei stessa glielo rammenterà, “come se ciò gettasse una qualche luce sull’insensatezza del mondo”. Negli anni seguenti, Edna Ballard ripeterà spesso al figlio i dettagli del parto: il suo cranio deformato, segno di quel caratteraccio ribelle che si ritrova. Una volta adulto, Ballard otterrà da amici medici la garanzia che nulla di strano ci fosse in una nascita simile. Da dove arriva dunque questa irrequietezza ribelle? E dove finisce? Dentro i libri che scriverà. Sarebbe necessario raccontare la sua infanzia a Shanghai: una città moderna, occidentalizzata. Dovremmo descrivere la casa lussuosa di Amherst Avenue. E poi la guerra. I raid aerei, le bombe. L’arrivo dei giapponesi e il confino nel campo di Lunghua, nei pressi dell’aeroporto. Trovate tutto questo ne “L’impero del sole” (1984), il suo romanzo, da cui Steven Spielberg realizzerà anni dopo un film di grande successo.

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James Graham Ballard festeggerebbe quest’anno novant’anni. Quando nasce, il 15 novembre 1930 presso il General Hospital di Shanghai, la madre, esile, dal bacino stretto, affronta un parto particolarmente doloroso. Lei stessa glielo rammenterà, “come se ciò gettasse una qualche luce sull’insensatezza del mondo”. Negli anni seguenti, Edna Ballard ripeterà spesso al figlio i dettagli del parto: il suo cranio deformato, segno di quel caratteraccio ribelle che si ritrova. Una volta adulto, Ballard otterrà da amici medici la garanzia che nulla di strano ci fosse in una nascita simile. Da dove arriva dunque questa irrequietezza ribelle? E dove finisce? Dentro i libri che scriverà. Sarebbe necessario raccontare la sua infanzia a Shanghai: una città moderna, occidentalizzata. Dovremmo descrivere la casa lussuosa di Amherst Avenue. E poi la guerra. I raid aerei, le bombe. L’arrivo dei giapponesi e il confino nel campo di Lunghua, nei pressi dell’aeroporto. Trovate tutto questo ne “L’impero del sole” (1984), il suo romanzo, da cui Steven Spielberg realizzerà anni dopo un film di grande successo.

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Il vero shock giungerà nel Dopoguerra, quando i genitori tornano in Inghilterra. Un trauma culturale. Si ritrova in una villa che pare fuoriuscita da un romanzo di Daphne du Maurier. Anche Londra ha un aspetto sinistro, antico. Così legge. Scrive. Vuole diventare uno scrittore. Studia per due anni medicina a Cambridge. Assorbe nozioni di anatomia, fisiologia, patologia. Poi frequenta la London University. Corsi di inglese da cui viene estromesso dopo un anno. Si arruola nella Raf per diventare pilota d’aereo. L’addestramento si svolge in Canada. Lì non c’è nulla da fare. Così legge racconti di fantascienza. Scrive “Passaporto per l’eternità” nella base Raf Booker. E’ il suo primo racconto a soggetto fantascientifico. La base accoglie gli aviatori in congedo, scartati dall'aeronautica. Non diventa pilota, ma la sua carriera di scrittore è appena decollata. Rientra in Inghilterra. Scrive e lavora (negli anni ha redatto testi pubblicitari, venduto enciclopedie porta a porta, lavorato nelle redazioni di riviste scientifiche). Segue la carriera di Francis Bacon, insieme a quella dei primi artisti pop inglesi. Divora Freud. Adora il surrealismo. Soprattutto Salvador Dalí. I suoi quadri, considerati kitsch, grossolani (spazi desertici dove il tempo si torce), sono una fonte di ispirazione. Molti dei sui racconti nascono da lì.

 

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Si sposa. Ha tre figli e per campare si sposta a vivere lontano da Londra, a Shepperton. Simon Sellars, che su Ballard ha scritto lo scorso anno un libro curioso intitolato “Ballardismo applicato” (in Italia pubblicato da Nero edizioni), ricorda che a Shepperton, pur all’apice della fama, egli restò sempre uno sconosciuto. “Una figura secondaria, che praticava le sue arti magiche dietro la porta gialla di casa”. Sorta di figura anomica, Ballard scrive, vive rinchiuso nella sua abitazione. Che altro fare in un posto simile? Lo ricorda egli stesso in una famosa intervista apparsa negli anni Ottanta, contenuta nel numero monografico della rivista Re/Search: “In senso vero e proprio io non vivo qui”. Shepperton è solo un’espressione geografica. Eppure, proprio quelle aree suburbane sono per lui il vero terreno di una battaglia psichica. L’avamposto da cui può monitorare la nascita di nuovi comportamenti, devianze sociali. Chiuso dietro a quella porta gialla, Ballard si è solo preoccupato di ricevere input dall’esterno: riviste scientifiche, scartafacci di ipotesi tecnologiche, note strambe di qualche laboratorio, esperimenti clinici. E’ necessario avere accesso alle informazioni. Ha composto così la maggior parte dei suoi racconti e romanzi, che, nel tempo, si sono allontananti dalla fantascienza tipica, pur facendola ancora risuonare dentro a storie violente, tra paesaggi desolati e montaggi paranoico-critici. C’è chi considera la Bibbia come il “libro dei libri”, quello in grado di ispirare, accendere l’immaginazione.

 

Per Ballard le bibbie sono state due. 1) “Il Rapporto della Commissione Warren”, ovvero pagine e pagine dedicate all’omicidio Kennedy. Uno zoom che dal totale della Dealey Plaza stringe fino a isolare i dettagli più disparati: le impronte digitali sulle scatole nel deposito di libri da cui Oswald avrebbe sparato; il rilevamento della forma dei finestrini della Lincoln Continental. Un libro paranoico e memorabile. 2) “Crash Injuries”, un manuale medico sulle lesioni da incidente stradale, con tanto di statistiche e riproduzioni fotografiche. Vi si trovano raffronti tra i vari danni al volto provocati da arrotamento. Comparazioni tra quelli delle Buick del 1952 e del 1955. Collegamenti clinici deliranti, ossessivi. Un universo che suona familiare a chi abbia amato “La foresta di cristallo”, “Crash” (portato al cinema da David Cronenberg), “Hello America”, “La mostra delle atrocità” o “Super-Cannes”. Storie perturbanti, minacciose, atemporali, scritte dietro la porta gialla di un’anonima casa a un’ora da Londra.

 

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