Beni comuni, diritti individuali e ordine evolutivo

Federico Morganti

La recensione del libro di Carlo Lottieri, IBL Libri, 116 pp., 16 euro

Poche istituzioni hanno ricevuto altrettanta ostilità come l’istituto della proprietà. Al cuore delle critiche c’è l’idea che il mercato, e con esso la proprietà stessa, legittimi gli squilibri tra gli individui ammettendo il realizzarsi di un diseguale godimento di quei beni – come l’acqua, l’aria pulita, la salute, il web – l’accesso ai quali dovrebbe costituire un diritto universale. La proprietà è insomma una “illegittima appropriazione” di porzioni del mondo che dovrebbero appartenere a tutti. Contro un’ideologia per la quale i suoi stessi fautori hanno assunto l’etichetta di “benicomunismo”, Carlo Lottieri argomenta in questo sintetico ma efficace volume come “una società libera veda emergere in maniera spontanea proprietà condivise e in questo senso comuni, le quali non sono in alcun modo una negazione della proprietà e dell’ordine giuridico, ma anzi ne rappresentano una possibilità fondamentale”.

 

Quello di Lottieri è un volume che non si può non leggere alla luce delle ricerche del Premio Nobel Elinor Ostrom, la quale studiò, nell’ormai classico Governing the Commons (1990), le modalità e i princìpi che rendevano possibile il realizzarsi di una governance collettiva dei beni in comuni. Se Ostrom presentò la sua prospettiva come una via alternativa alla dicotomia tra stato e mercato, Lottieri sottolinea come i commons non solo non siano una negazione dell’istituzione della proprietà, ma anzi la presuppongano. Semplicemente, in determinate circostanze è più razionale condividere le risorse e cooperare. Molto più dello stato, gli individui coinvolti avranno gli incentivi – dati dalla necessità di tutelare le proprie risorse, ma anche la propria reputazione di fronte alla comunità – per cercare soluzioni a problemi di gestione collettiva.

Nel benicomunismo, viceversa, questa dimensione cooperativa e individuale risulta del tutto disciolta in quella che Lottieri definisce “mistica del collettivo”. Una dimensione impersonale dietro la quale è difficile non scorgere il rischio di una completa politicizzazione della società. I benicomunisti che usano Ostrom per sferrare un attacco al mercato mancano dunque il bersaglio. Nel momento in cui la gestione dei beni comuni è sottratta alla “creatività contrattuale dei singoli”, essa sarà affidata all’arbitrio e alla coercizione dello stato. Col risultato di bloccare esattamente quel processo di sperimentazione, pratica e giuridica, che consente di adattare le soluzioni alle circostanze mutevoli di tempo e di luogo. La storia europea mostra del resto numerosi esempi di gestione virtuosa dal basso dei beni comuni. Da questi esempi, e dalla riflessione teorica liberale ed “evoluzionistica” entro cui si iscrive il lavoro di Lottieri, possiamo trarre una riflessione: non invochiamo lo stato quale panacea di tutti i problemi di coordinamento tra privati, ma chiediamoci se non sia proprio lo stato a ingessare, con regole e oneri, la ricerca collettiva di soluzioni.

  

Beni comuni, diritti individuali e ordine evolutivo

Carlo Lottieri

IBL Libri, 116 pp., 16 euro

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