recensioni foglianti

Chiamami sottovoce

Alessandro Moscè

Nicoletta Bortolotti
Harper Collins, 360 pp., 18 euro

Chiamami sottovoce di Nicoletta Bortolotti è un libro solo apparentemente riservato ai ragazzi, a un pubblico selezionato, quindi ristretto. La storia, il tempo, ciò che non muore, come nel simposio tra vivi e morti, mette in azione una visionaria orchestra di anime, un insieme di immagini aggiunte una dopo l’altra, localizzate ad Airolo, un paese nel Canton Ticino dove si passa per giungere nella cima del San Gottardo e dove i minatori e gli operai stanno costruendo delle gallerie, con l’ingegnere capo chiamato il “re della montagna”. La zona è ancora immersa nella neve nonostante l’arrivo della bella stagione. La “Maison des roses” è un’apparizione, una specie di reperto domestico, una struttura abitativa misteriosa, con il suo fascino arcano, dove gli abeti riparano e conservano, metaforicamente, tante storie, quelle che Nicole vorrebbe rianimare sospinta da un moto nostalgico e dall’amore per l’invenzione. La favola e il mito si intrecciano in quella nenia popolare che nelle montagne viene alimentata da fantasmatici cantastorie per bambini e adulti, da inevitabili segreti. A giugno sulle rocce disposte ad anfiteatro, fiorivano i gigli che risaltavano nella seta scura del muschio. Un “vento d’acqua” li faceva oscillare a un ritmo inafferrabile. D’inverno la cascata riposava in un rivolo, tra le guglie di ghiaccio. Nicole si racconta con un cascame di aggettivazioni che abbelliscono la scena ai limiti del surreale: “Quello era il mio rifugio nascosto, la tana dove il mondo non poteva chiedermi niente. I pastori e i turisti non passavano quasi mai da quelle parti. Se dal sentiero udivo una voce o l’abbaiare di un cane, mi acquattavo dietro una felce o un rovo, e spiavo quei bizzarri esseri umani, selvatica e aspra come il succo di mora che scoppiava in bocca”. Nel 1976 le lanterne sono oggetti magici, capaci di inventare essi stessi, di far uscire personaggi ammalianti. Ma la realtà sembra superare la fantasia, perché Nicole sa che nella casa vicina alla sua vive Michele, un bambino tenuto nascosto, che ha superato la frontiera a bordo di un’auto accucciato in un bagagliaio e che non può uscire all’aria aperta come tutti gli altri. La sua soffitta, con un tetto sulla testa, un armadio e un lavandino, sembra la creazione di un cartone animato, ma è tutto vero, come la convinzione che una strega segua Michele. “I miei genitori hanno cercato di rassicurarmi con deboli carezze, ma niente ti rassicura se hai otto anni e devi dormire da solo, in un posto sconosciuto che forse è la casa di una strega”. Nicole e Michele si conoscono, solidarizzano. Il ricordo è intervallato da divagazioni, come le ricette antiche del liquore di rose. Ma qual è la verità di Michele, se mai esistesse una verità da non rivelare? Passano gli anni e il suo desiderio è di salire sul San Gottardo, di diventare un eroe delle scalate. Il pensiero va al padre. Nicoletta Bortolotti non ha come scopo un intento pedagogico, moralistico. Chiamami sottovoce altro non è che un lungo racconto creaturale in cui viene tutelata l’innocenza servendosi della carica fabulatoria.

 

CHIAMAMI SOTTOVOCE
Nicoletta Bortolotti
Harper Collins, 360 pp., 18 euro

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