recensioni foglianti

Isola

Giorgia Mecca

Siri Ranva Hjelm Jacobsen
Iperborea, 256 pp., 17 euro

Si fanno tanti discorsi, su cosa sia davvero casa. Uno stato d’animo, le persone che si incontrano”, un luogo che ti somiglia senza motivo. La protagonista di questo libro non ci crede, per lei sono tutte parole al vento, la casa è un concetto geografico, un punto esatto nello spazio, nient’altro che questo. Ha sentito i suoi parenti parlare delle Isole Faroe, ma lei è nata a Copenaghen, pensa di non avere nessun legame con quei posti dai nomi impronunciabili, dalla popolazione ostinata e lunatica e dalla natura selvaggia e feroce. Ma il passato torna sempre, il sangue del tuo sangue anche e ti ricorda chi sei e da dove provieni. Comincia così Isola, il primo libro della scrittrice danese Siri Ranva Hjelm Jacobsen, tradotto in italiano per Iperborea da Maria Valeria D’Avino. Una donna dalla volontà giovane e forte decide di intraprendere un viaggio attraverso i luoghi del passato della sua famiglia. E’ figlia e nipote di migranti, di gente che un giorno ha avuto il coraggio, l’ostinazione e il bisogno di partire sperando che non sarebbe stato per sempre. I migranti si somigliano tutti. “Le loro radici trepidano e frugano. Portano particelle morte di un’altra terra”. Si portano dentro il viaggio come una perdita. Sono condannati alla nostalgia che li accompagna ovunque ed è l’unico sentimento su cui possono contare nei secoli dei secoli. Suduroy, Vāgur, Mykines, Tvøroyri. La giovane donna percorre a ritroso uno per uno questi luoghi e ritrova il passato, la storia del suo cognome. C’è suo nonno Fritz, il primo migrante della famiglia. Fritz faceva il pescatore nell’Artico, credeva che il futuro potesse essere migliore del passato e quindi un giorno ha deciso di abbandonare tutto e di andare a vivere dall’altra parte del mare, in Danimarca. C’è sua nonna Marita che ha deciso di seguirlo perché era innamorata di lui e perché non aveva alternative. Marita si è sempre portata dentro agli occhi tutto ciò che per Fritz era casa. I migranti non smettono mai di essere migranti. Si portano la data di arrivo del loro sangue impressa come un tatuaggio in fronte. Fritz, che per la protagonista del libro è abbi, nonno, non ha mai smesso di pensare a casa sua e alla strada del ritorno. Era un sentimento strano il suo, un’inquietudine che somigliava al dolore. Sullo sfondo di questa saga familiare i grandi paesi cominciano a cedere, scricchiolano, scoppiano due guerre mondiali che all’inizio arrivano senza fermarsi nel grande freddo del nord ma poi sbarcano ovunque. La guerra è guerra dappertutto. Fritz continuava a pensare alle sue isole, a casa sua, “il luogo in cui aveva riposto i suoi sogni per il futuro”. Una volta, molti anni prima, quando faceva ancora il pescatore, aveva scritto una lettera d’amore a Marita: “Le isole più piccole possono nascere in una notte e possono sparire in una notte. E poi? Sott’acqua, nel fondo del mare, tutte le terre emerse si incontrano”. Edward Morgan Forster, in “Howards End” ha scritto che alla fine di tutto ci ricorderemo soprattutto di un luogo, anche se viene dal nostro passato più remoto. Quel luogo può essere un’isola, un posto in cui abbiamo sorriso, la prima persona che ci viene in mente quando pensiamo: casa.

 

ISOLA
Siri Ranva Hjelm Jacobsen
Iperborea, 256 pp., 17 euro

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