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Dalla Russia di Putin ai bannoniani d'occidente, la voglia dello “stato-civiltà”

Gideon Rachman sul Financial Times analizza il fenomeno politico di una nuova entità che non rappresenta soltanto un territorio, ma anche una civiltà diversa

"Uno stato-civiltà è un paese che pretende di rappresentare non solo un territorio, una lingua o un gruppo etnico, bensì una civiltà diversa", scrive Gideon Rachman sul Financial Times. "E’ un’idea che ha preso piede in Cina, India, Russia, Turchia e perfino negli Stati Uniti. La nozione di uno stato-civiltà ha delle implicazioni illiberali. I tentativi di stabilire dei diritti dell’uomo universali o delle pratiche democratiche comuni diventano inutili, perché ogni civiltà ha bisogno di istituzioni politiche che riflettono la sua unicità. Non tutti i cittadini rientrano nello stato-civiltà. Le minoranze e i migranti vengono esclusi perché non fanno parte della civiltà".

 

L’ascesa della Cina è uno dei motivi per cui l’idea dello stato-civiltà è in grande espansione. Nei suoi discorsi all’estero, il presidente cinese Xi Jinping enfatizza la storia unica del suo paese. Quest’idea è stata promossa da alcuni intellettuali vicini al regime, come Zhang Weiwei dell’Università di Fuidan. Zhang spiega in un suo importante libro (‘The China Wave: Rise of a Civilisational State’), che la Cina ha avuto successo perché ha rinnegato le idee politiche occidentali e ha perseguito un modello radicato nella propria cultura confuciana e meritocratica. Zhang ha adattato un’idea elaborata per la prima volta dallo scrittore occidentale Martin Jacques in un bestseller, ‘When China Rules The World’. ‘La Cina è uno stato nazione solo da 120-150 anni’, spiega Jacques, ‘ma la storia della sua civiltà risale a migliaia di anni prima’. Jacques sostiene che le diversità della civiltà cinese hanno introdotto delle norme politiche e sociali molto diverse da quelle occidentali. Tra queste, ‘l’idea che lo stato debba essere basato attorno alle relazioni familiari e a una visione diversa del rapporto tra l’individuo e la società, dove quest’ultima viene trattata con grande importanza’.

 

Anche l’India, come la Cina, ha una popolazione molto superiore a un un miliardo di persone. I teorici del partito Bharatiya Janata (Bjp), attualmente al governo, sono affascinati dall’idea che l’India sia più di una semplice nazione e che rappresenti, invece, una civiltà diversa. Secondo il Bjp, il tratto distintivo della civiltà indiana è la religione induista – una premessa che implicitamente degrada gli indiani musulmani come dei cittadini di serie B. Jayant Sinha, un ministro nel governo di Narendra Modi, sostiene che i padri fondatori dell’India, come Jawaharlal Nehru, hanno sbagliato a sostenere delle idee occidentali come il socialismo scientifico. Invece, secondo Sinha, sarebbe stato più giusto costruire la politica post coloniale dell’India sulla base della propria cultura. Sinha, che è un ex consulente di McKinsey con un master ad Harvard, potrebbe sembrare l’archetipo del ‘cittadino globale’. Ma quando l’ho incontrato a New Delhi lo scorso anno, predicava il particolarismo culturale, e spiegava che ‘secondo noi, le nostre radici precedono lo stato… Le persone percepiscono la propria cultura come sotto assedio. La nostra visione del mondo è basata sulla fede, non sulla razionalità scientifica’.

 

Le teorie sullo stato-civiltà sono diventate popolari anche in Russia. Alcuni degli ideologi di Vladimir Putin sostengono che la Russia sia una civiltà eurasiatica diversa dalle altre, che non dovrebbe mai integrarsi con l’occidente. Vladimir Surkov, uno dei consiglieri più intimi del presidente russo, ha scritto di recente che ‘gli sforzi inutili del nostro paese di fare parte della civiltà occidentale sono finalmente terminati’. Invece, secondo Surkov, la Russia dovrebbe assumere l’identità ‘di una civiltà che ha assorbito sia dall’occidente che dall’oriente’, e con ‘una mentalità ibrida, un territorio intercontinentale. Una terra carismatica, talentuosa e solitaria’.

 

In un sistema globale plasmato dall’occidente, non sorprende che alcuni intellettuali in Cina, India e Russia vogliano enfatizzare i tratti distintivi della propria civiltà. Tuttavia, è ancora più sorprendente che alcuni analisti di destra negli Stati Uniti si stiano allontanando dall’ideale dei ‘valori universali’ per enfatizzare l’unicità della civiltà occidentale, che secondo loro è in pericolo.

 

Steve Bannon, che è stato brevemente capo della strategia di Trump alla Casa Bianca, ha ripetuto che l’immigrazione di massa e il declino dei valori cristiani stanno indebolendo la civiltà occidentale. Per fermare questo declino, Bannon ha cercato di fondare ‘un’accademia per l’occidente giudeo-cristiano’ in Italia, con l’intenzione di formare una nuova generazione di leader.

 

La tesi di Bannon secondo cui l’immigrazione di massa sta ridimensionando i valori americani è al centro dell’ideologia di Donald Trump. In un discorso a Varsavia nel 2017, il presidente americano ha dichiarato che la ‘domanda più importante dei nostri tempi è se l’occidente avrà la volontà di sopravvivere’, prima di tranquillizzare il pubblico che ‘la nostra civiltà trionferà’. Ma, paradossalmente, proprio questi discorsi da parte di Trump potrebbero essere un sintomo del declino dell’occidente. I suoi predecessori proclamavano che i valori americani erano ‘universali’ ed erano destinati a trionfare nel resto del mondo. Il potere globale delle idee occidentali ha reso lo stato-nazione la norma internazionale per l’organizzazione politica. L’ascesa delle potenze asiatiche come la Cina e l’India potrebbe creare dei nuovi modelli: il prossimo passo è lo stato-civiltà”.

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