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“Le università sono diventate posti inospitali per le opinioni controverse”

Redazione

Heather Mac Donald sul Wall Street Journal racconta come l’accademia ha finito per censurare, punire e ostracizzare il dissenso intellettuale

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"Heather Mac Donald è famosa per aver compattato, l’anno scorso, masse di studenti universitari in collera, determinati a impedirle di parlare in difesa dell’applicazione della legge”, ha scritto Jillian Kay Melchior sul Wall Street Journal. “Eppure lei si trova stranamente d’accordo con i suoi aspiranti censori: ‘A essere sincera’, mi ha detto, ‘io stessa non mi inviterei a un campus universitario’. No, lei non vuole uno spazio sicuro per esporre le sue idee controverse. ‘Il mio ideale di università è quello di una torre d’avorio pura’, dice. ‘Penso che siano quattro preziosi anni per incontrare creature umane che altrimenti, a meno che tu non sia molto diligente e accorto, non incontrerai mai più. C’è abbastanza tempo per vivere al passo coi tempi una volta laureati’. Nel suo nuovo libro, ‘The Diversity Delusion’, la sessantunenne Mac Donald investiga come la politica identitaria abbia deviato l’istruzione universitaria lontano da materie di canone più elevato, e avverte della diffusione di questa ideologia in altre istituzioni e industrie culturali: Hollywood, Silicon Valley, Wall Street".

 

Jillian Kay Melchior racconta come le idee della scrittrice sono eterodosse. "Sembrerebbe un’alleata naturale di Jonathan Haidt e Greg Lukianoff, autori di ‘The Coddling of the American Mind: How Good Intentions and Bad Ideas Are Setting Up a Generation for Failure’. Essi sostengono che i ‘fiocchi di neve’ delle università siano il prodotto di un’infanzia iperprotettiva, che crea dei giovani adulti iper sensibili. La Mac Donald non se la beve. Gli studenti appartenenti a minoranze provengono sproporzionatamente da famiglie monogenitoriali, per cui ‘non mi è chiaro in che modo questi studenti siano soggetti a genitori chioccia’. Al contrario, ‘si può sostenere che non abbiano ricevuto abbastanza attenzioni dai loro genitori’. Se c’è qualcuno di viziato, sono i bianchi di ceto medio alto, eppure ‘non sono al corrente di alcun movimento atto a creare spazi sicuri per maschi bianchi’. La teoria del fiocco di neve, dice la Mac Donald, ‘ignora l’elemento ideologico’. La narrativa dominante della vittima insegna agli studenti che ‘essere donna, nero, ispanico, trans o gay in un campus universitario equivale a essere oggetto di inalienabili pregiudizi’. Gli studenti sono sempre più convinti che studiare il canone occidentale metta ‘la loro salute e la loro sicurezza, mentale e fisica, a rischio’ e può essere ‘una fonte di minacce di morte, letteralmente’. Allo stesso modo crede che i conservatori manchino il punto quando si focalizzano sui vizi procedurali dei processi sui campus per mala condotta sessuale. Non crede che ci sia una ‘epidemia di stupri’ universitari, ma solo un sacco di appuntamenti e rimorchi disordinati, degradanti e da dimenticare. ‘Dire che la soluzione di tutto ciò è semplicemente legiferare di più è ridicolo perché, a dir la verità, fondamentalmente, si tratta di norme sessuali’. La società un tempo considerava il ‘no’ la risposta normale di una donna davanti a proposte sessuali. ‘In quel modo il potere era nelle mani delle femmine’, dice la Mac Donald. ‘Non era necessario contrattare ogni volta che non si aveva voglia di fare sesso. L’uomo doveva convincerti a dire di sì. Ma tu potevi dire no, senza esaurirti’. I paladini della liberazione sessuale sostennero che uomo e donna erano eguali e che la cavalleria maschile e la modestia femminile fossero opprimenti. ‘Ora la risposta normale a proposte di sesso pre matrimoniale è sì’, dice la Mac Donald. ‘Questo conferisce un enorme potere alla libido maschile’, a danno delle donne. Il movimento #MeToo è un riflesso di questa realtà, come lo è la crescente realizzazione che il sesso consenziente non significa sempre sesso sicuro’. Per quanto riguarda la razza, le idee della Mac Donald sono più convenzionalmente conservatrici. Sostiene che le minoranze potrebbero superare le disparità economiche ed educative abbracciando i ‘valori borghesi’. E’ contraria a ogni forma di ‘affirmative action’ e crede che le ammissioni e le assunzioni dovrebbero essere interamente basate su test attitudinali e indicatori di performance oggettivi. E’ persino contraria al piano di ammissioni garantite dell’Università della California, che ammette il 9 per cento degli studenti migliori di tutti i licei californiani a prescindere dalla performance globale della scuola. E’ un meccanismo che cela la reintroduzione della razza come criterio di ammissione, dice la Mac Donald, in violazione della Proposizione 209 che proibisce le preferenze razziali e sessuali nelle istituzioni pubbliche californiane. Ma quindi, senza l’affirmative action, come fanno i bambini nati in condizioni di povertà e disagio a fuoriuscirne? La Mac Donald mette in discussione la premessa: ‘Quello che trovo sconcertante nella difesa delle preferenze razziali è l’incredibile livello di snobismo ed etilismo da parte delle scuole più selettive, ossia l’assunto che a meno che tu non vada ad Harvard o a Berkeley la tua vita sia finita’. ‘Per uscire dalla povertà basta diplomarsi, tenersi un lavoro (qualsiasi lavoro, basta che sia full-time e a salario minimo) e aspettare di sposarsi e avere bambini. Quasi tre quarti di tutte le persone che seguono queste semplici regole non sono povere. (…) ‘Uno dei grandi successi della civiltà europea occidentale è stato quello di transitare dal tribalismo agli stati-nazione, all’idea di cittadinanza che trascende le identità tribali’ continua la Mac Donald. ‘Negli ultimi quarant’anni abbiamo scherzato col fuoco, pensando che potessimo tenere questa roba delle guerre etniche a fiamma bassa anziché a ebollizione feroce’. C’è infine la tragedia dei singoli studenti, quelli che si commiserano come vittime anche se godono di uno straordinario privilegio. Come dice la Mac Donald nostalgicamente ‘hanno ai loro piedi quello per cui Faust vendette l’anima, ossia la conoscenza’”.

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