Una foto di Maurizio Fagiolo dell'Arco, scattata da Maurizio di Puolo nel 1999 (Wikimedia)

Uffa!

I libri e le serate con Maurizio Fagiolo dell'Arco

Giampiero Mughini

Un ricordo degli ambienti artistici della Roma di 50 anni fa, tra cene e chiacchierate con il critico d'arte 

Inesperto com’ero di una Roma in cui vivacchiavo da pochi anni, del critico d’arte Maurizio Fagiolo dell’Arco (nato nel 1939, morto nel 2002) nei primissimi Settanta conoscevo sola la nomea di autorevole studioso del barocco. Nella mia memoria il primo particolare che lo riguarda, quando io ero ancora uno senza arte né parte e lui uno studioso compiuto e riconosciuto, risale alla metà degli anni Settanta. Avevo preso a frequentare una libreriola romana attigua a piazza Navona che vendeva prime edizioni di libri di letteratura italiana del Novecento. Non che io capissi bene che diavolo fosse una prima edizione, solo che erano libri che non avrei trovato da nessun’altra parte e che mi attiravano molto, ad esempio un romanzo di Alberto Savinio che pagai non ricordo più se venti o venticinquemila lire. Guardavo, frugavo, quando a un certo punto mi imbattei in una vetrinetta orizzontale dentro alla quale facevano capolino una quindicina di libri quali non ne avevo mai visti. Chiesi a Giuseppe Casetti, che di quella libreria era il titolare. Mi disse che erano libri di proprietà di Maurizio Fagiolo dell’Arco, che loro li vendevano a trentamila lire l’un per l’altro, ed era già la seconda volta che lui metteva in vendita una sua collezioncina di libri futuristi. Libri di cui sapevo nulla, e pur avendo fatto ben tre esami di letteratura italiana all’università. Stiamo parlando del 1975 o forse del 1976. Poco dopo mi ci misi a mia volta a cercarli quei libri, a collezionarli, a spasimarne. Nel tempo quei libri se li volevi dovevi pagarli ciascuno parecchie centinaia di euro se non alcune migliaia.   


Maurizio lo incontrai poco dopo, e ogni volta era una miniera di informazioni su libri e personaggi ai miei occhi leggendari e che lui aveva conosciuto di prima mano. Mi raccontò di quando negli ultimi anni Sessanta era andato a far visita a Parigi nientemeno che a Man Ray, e quello quasi si era commosso della visita. “Nessuno si ricorda più di me”, gli aveva confidato. Uno che andava usmando dappertutto a cercare qualcosa che ne valesse la pena, uno quanto di più scambievole in fatto di dono del suo tempo, uno che la sua casa di Fregene la spalancava agli amici affinché ne godessero i tantissimi libri e i tantissimi quadri che tappezzavano le pareti, vorrei ben vedere che non fossero talmente numerosi a rimpiangere Maurizio nell’avvincente catalogo che la romana Galleria Russo ha appena edito in occasione della mostra di quadri e disegni che costituivano la collezione privata di Fagiolo dell’Arco, opere che così intensamente lo rappresentano. Né la curatrice di questa mostra – e a parte la vedova di Maurizio, Beatrice Mirri, alla quale va il mio ricordo affettuosissimo – poteva essere altri che Laura Cherubini, la studiosa e critica d’arte che nel 1973 era stata incoraggiata dalla sua professoressa di Storia dell’arte al liceo Tasso a far da assistente nello studio di Maurizio che aveva nome Studio Metalmago. Quella professoressa l’aveva raccomandata così: “Maurizio, guarda che Lauretta è come se fosse già laureata”. 
Testimonianza dopo testimonianza, personaggio dopo personaggio, mostra dopo mostra il catalogo della Galleria Russo offre un vivido spaccato degli ambienti artistici della Roma di mezzo secolo fa. Oltretutto Maurizio era figlio d’arte dato che suo padre, l’architetto e poeta romano Mario dell’Arco, aveva curato i due primi e saporosissimi libri del siciliano Leonardo Sciascia che arrivava a Roma di tanto in tanto, lo stupendo Favole della dittatura pubblicato in 222 copie nel 1952 e il libriccino di poesie La Sicilia, il suo cuore, pubblicato in 111 copie in quello stesso anno. A governare le vicende dello Studio Metalmago era poi una sorta di alter ego di Maurizio, il suo sodale più stretto (“Due fratelli senza bisogno di spiegazione” ne diceva Di Puolo), ossia l’architetto e fotografo Maurizio Di Puolo. Quello alle cui foto che illustravano un libro dedicato nei Settanta ai mobili in legno Thonet della collezione di Paolo Potoghesi, devo una delle emozioni che hanno cambiato la mia vita. Nel senso di reputare che quei mobili austriaci in legno curvato siano i più belli mai fatti al mondo, e lo dico adesso che ne è cessata la voga e non li vuole più nessuno a dimostrazione che la razza umana è una razza inferiore. Nel catalogo della Galleria Russo, Di Puolo racconta i viaggi che facevano assieme, lui e l’altro Maurizio, a ritrovare degli eroi dimenticati, ad esempio la volta che andarono a trovare l’architetto francese Charlotte Perriand che aveva disegnato la celeberrima chaise longue che di solito viene attribuita a Le Corbusier, e lei si mostrò esterrefatta che degli italiani si interessassero a lei.


Una sera impressa nella mia memoria. La volta che Maurizio e Beatrice avevano invitato a cena me e Michela, Gildo Maresca (il primo libraio a trattare adeguatamente le prime edizioni letterarie del Novecento italiano), l’ex regina del liberty a Roma Maria Paola Maino e suo marito. In realtà il centro della serata era Gildo, il quale aveva trovato i cinque e rarissimi numeri di Colonna, una rivista che Alberto Savinio aveva diretto tra il 1933 e il 1934. E siccome tanto Maurizio che io eravamo suoi amici, per non contrariare nessuno dei due aveva deciso di sorteggiare quel cimelio a forza di un lancio della moneta, testa o coda. Il lancio avvenne a fine cena, e mentre la moneta volteggiava in aria io dentro di me pensavo che sarebbe stato giusto che la rivista andasse a Maurizio che di Savinio era un accorto studioso, laddove io ne ero soltanto un lettore estatico. E invece vinsi io. Sono passati ben oltre vent’anni dal lancio di quella moneta, e su quei cinque numeri di Colonna è come siano impressi per sempre i tratti della mia amicizia e del mio affetto per l’indimenticabile Maurizio Fagiolo dell’Arco.

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