Aerei Spitfire inglesi (Wikimedia Commons) 

uffa!

Due eroi della Seconda guerra mondiale e la donna che fu dell'uno e dell'altro

Giampiero Mughini

Il pilota inglese Richard Hillary era uno di quei giovani che nell’estate del 1940 montarono sui cieli di Londra a parare l’invitta Luftwaffe. Michael Burn, eroe non meno di lui, ne raccontò la storia d'amore con quella che sarebbe diventata sua moglie

Alla notte tra il 7 e l’8 gennaio 1943 tutt’attorno a Londra il cielo era freddo e nuvoloso, eppure non talmente minaccioso da interrompere le prove di volo notturno che il ventiquattrenne pilota inglese Richard Hope Hillary stava facendo da alcune settimane. Lui era stato fra quei pochi cui l’intera Inghilterra doveva così tanto. Uno di quei giovani piloti che nell’estate del 1940 montarono sui cieli di Londra a parare l’invitta Luftwaffe di cui Hermann Goering aveva assicurato Hitler che ci avrebbe messo pochi giorni a costringere alla resa l’Inghilterra, e dunque l’ultimo paese europeo su cui ancora non sventolava il drappo con la croce uncinata. 

 

Nato in Australia il 20 aprile 1919, nell’estate del 1940 Hillary aveva 21 anni. Era stato un campione di canottaggio all’Università di Oxford, i suoi propositi erano quelli di diventare uno scrittore, era un bellissimo ragazzo. Nell’ottobre del 1939 si era arruolato nella Royal Air Force, dove il 27 agosto 1940 gli diedero da pilotare uno Spitfire, uno di quei caccia che si sarebbero rivelati più veloci dei corrispondenti aerei da guerra tedeschi. Nella prima settimana di combattimenti Hillary mandò giù almeno cinque aerei nemici. Il 3 settembre del 1940 il suo Spitfire venne sconfitto dal Messerschmitt Bf 109 guidato dall’asso dell’aviazione tedesca Hauptmann Helmuth Bode. Inizialmente Hillary perdette i sensi e rimase avviluppato nelle fiamme di cui stava bruciando il suo aereo. Appena prima dell’impatto al suolo riuscì a catapultarsi fuori con il suo paracadute, per poi venire recuperato in mare da un battello di salvataggio.

 

Lo strazio del suo corpo era stato immane. Ci vollero mesi e mesi di ripetuti interventi chirurgici a riparare il possibile. La pelle del viso era quasi interamente bruciata, le sopracciglia non esistevano più tanto che i suoi occhi emergevano come da un foro, le dita delle due mani s’erano atrofizzate tanto da somigliare agli artigli degli uccelli, lo splendore di quel volto giovane s’era come pietrificato. Era già un miracolo che lo avessero restituito alla vita. Con tutto ciò il suo fascino personale, accresciuto dalla sorte in combattimento che gli era toccata, non era minimamente scemato. Quando andò in America a farsi portavoce della necessità che gli Usa entrassero in armi contro i nazi, furono molte le donne che ne rimasero affascinate. Non ultima una delle più belle attrici americane del momento, l’allora trentenne Merle Oberon. Quanto al proposito di scrivere dei libri, Hillary ci riuscì eccome. A proposito di libri intrisi di sacralità, il suo L’ultimo nemico pubblicato nel 1942 dapprima negli Stati Uniti e poi in Gran Bretagna lo è senz’altro. Il più bel libro sulla Battaglia d’Inghilterra scritto da uno che quella battaglia l’aveva combattuta in primissima fila. 

 

Solo che Hillary spasimava per tornare a volare, per tornare a combattere. Troppo cocente era il ricordo dei suoi amici morti in battaglia, la sensazione che lui avesse pagato meno di loro. Ottenne il permesso di tornare a volare di notte, e benché con le sue mani non fosse agevole manovrare i congegni di un aereo da combattimento. Nella notte tra il 7 e l’8 gennaio 1943 da cui avevo cominciato questo pezzo, andò in volo poco dopo mezzanotte. Via radio gli chiesero se era “felice” di star volando. “Moderatamente”, ripose. Dopo uno o due minuti lo richiamarono. Nessuna risposta, e mentre sul radar appariva che l’aereo stesse inspiegabilmente perdendo quota. Poco dopo lo schianto, nel quale rimasero uccisi Hillary e il suo compagno di volo. Restò oscuro il motivo del disastro. Qualcuno avanzò l’ipotesi, per primo lo scrittore ungherese Arthur Koestler, che Hillary avesse voluto porre termine alla propria vita. A costo di uccidere un suo compagno di volo?

 

Nato nel 1912, scrittore e poeta, altro personaggio coi controfiocchi cui sono stati dedicati film e libri, l’inglese Michael Burn è stato un eroe della Seconda guerra mondiale non meno di Hillary. Era lui che nella notte tra il 27 e il 28 marzo 1942 aveva guidato un’arditissima operazione militare britannica contro il porto francese di Saint-Nazaire da dove partivano i sottomarini tedeschi che affondavano una buona parte degli aiuti che gli Usa mandavano via mare all’Inghilterra. Molti soldati inglesi rimasero uccisi nello scontro, Burn venne catturato e per tre anni rimase prigioniero dei tedeschi. Quando tornò in Gran Bretagna si mise alla ricerca della donna che quando l’aveva incontrata per la prima volta gli era apparsa la donna più bella del mondo, Mary Booker, una creatura di cui Burn scrive che era fatta “d’avorio”, una che era nata dalle parti di Rio de Janeiro nel 1897 e che era dunque ben più grande di lui. La sposò nel 1947. Rimasero insieme sino alla morte di lei, nel 1974.

 

Poco dopo la morte della moglie, Burn (morto a 97 anni nel 2010) trovò in uno scatolone le tracce di uno degli amori più belli del Novecento. Ossia le lettere d’amore che dal dicembre 1941 al gennaio 1943 si scambiarono quella che più tardi sarebbe divenuta sua moglie e Richard Hillary, una storia di cui Burn lo sapeva che ci fosse stata ma di cui non aveva mai chiesto i dettagli. Da quelle lettere conservate in una busta color marrone scaturì un libro di Burn, Mary and Richard (pubblicato in Gran Bretagna nel 1988), in cui è come se lui resuscitasse la moglie a farle rivivere un amore intensissimo, come se la rimettesse in piedi negli atti della sua fulgente femminilità. “Era di altezza media, il suo corpo ben formato come lo erano i suoi lineamenti, camminava con leggerezza, elasticamente, esattamente come parlava”. Da quella femminilità Hillary era stato irrorato fin dal loro primo incontro e sebbene lei avesse oltre vent’anni più di lui. Com’è possibile pensare, scrive Burn, che un uomo talmente innamorato avesse pensato di uccidersi?