PUBBLICITÁ

Uffa!

Muse nascoste. Storie di donne che ispirano l’arte

Giampiero Mughini

Dietro un'opera d'arte c'è spesso una donna che ha fatto da modella, da accensione ideale; da termometro della sensibilità creatrice, da suggestione erotica. Il più delle volte una musa nascosta, talvolta una musa muta

PUBBLICITÁ

È un libro covato a lungo questo “Le muse nascoste” (Giunti editore, 2020) che Lauretta Colonnelli – mia antica collega all’Europeo e successivamente firma tra le più eleganti delle pagine culturali del Corriere della Sera – ha appena mandato in libreria. A forza di frugare nella vita e nelle opere di Balthus, Paul Cézanne, Edward Hopper, Gian Lorenzo Bernini, Sandro Botticelli, Vasilij Kandinskij, John Everett Millais e molti altri artisti d’eccellenza ne è venuto un racconto di come e quanto a scavare dentro quelle opere ci trovi sempre una donna che ha fatto da modella, da musa, da accensione ideale, da termometro della sensibilità creatrice, da suggestione erotica. Il più delle volte una musa nascosta, talvolta una musa muta.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


È un libro covato a lungo questo “Le muse nascoste” (Giunti editore, 2020) che Lauretta Colonnelli – mia antica collega all’Europeo e successivamente firma tra le più eleganti delle pagine culturali del Corriere della Sera – ha appena mandato in libreria. A forza di frugare nella vita e nelle opere di Balthus, Paul Cézanne, Edward Hopper, Gian Lorenzo Bernini, Sandro Botticelli, Vasilij Kandinskij, John Everett Millais e molti altri artisti d’eccellenza ne è venuto un racconto di come e quanto a scavare dentro quelle opere ci trovi sempre una donna che ha fatto da modella, da musa, da accensione ideale, da termometro della sensibilità creatrice, da suggestione erotica. Il più delle volte una musa nascosta, talvolta una musa muta.

PUBBLICITÁ

 

Smagliante è l’avvio del libro, quel pomeriggio d’autunno del 1907 che il trentasettenne Henri Matisse si mette sotto braccio un ritratto a olio della figlia adolescente Marguerite da lui dipinto pochi mesi prima e si avvia a piedi in destinazione della casa/studio a Montmartre del venticinquenne Pablo Picasso che quel ritratto voleva gli fosse donato a tutti i costi e in cambio del quale avrebbe dato una sua natura morta. Era un percorso lungo da compiere a piedi, leggermente in salita.

 

PUBBLICITÁ

Lassù in casa Picasso aveva apprestato un comitato di accoglienza di lusso, dal poeta Guillaume Apollinaire al pittore Georges Braque. Picasso s’era innamorato di quell’iconico volto di fanciulla per come Matisse lo aveva modellato, e del resto più e più volte questi avrebbe ritratto la figlia negli anni successivi come se fosse un appuntamento necessario e con la figlia e con la donna che cresceva in lei. Eccome se Marguerite era stata una sua musa, un’occasione espressiva a lui indispensabile.

 

Ho detto modella, ho detto musa. In qualche caso il termine appropriato è martire, come nel caso di Hortense Cézanne, che nello spazio di 37 anni di vita comune venne ritratta in 29 quadri a olio e in una cinquantina di disegni, e ogni volta dovevano essere sedute interminabili in cui Paul Cézanne faceva e rifaceva più e più volte ciascun particolare ma soprattutto voleva che Cézanne donna stesse perfettamente immobile, non desse il minimo segno di vita, somigliasse il più possibile a una mela, ossia alla cosa che Cézanne più di ogni altra cosa riteneva degna di essere dipinta. Non a caso Woody Allen ha scritto che una delle due cose per le quali vale la pena vivere è guardare le mele dipinte da Cézanne, l’altra è il secondo movimento della Sinfonia n. 41 in Do maggiore di Wolfgang Amadeus Mozart, detta anche “Jupiter”.

 

Stando alla testimonianza di Ambroise Vollard, il mercante d’arte parigino che accettò di essere ritratto da Cézanne e che ha raccontato a menadito il supplizio di quelle pose che duravano all’infinito, Hortense per i soli ritratti a olio deve essere rimasta in posa qualcosa come dodicimila ore della sua vita. “Immobile come una mela”, scrive la Colonnelli. Esattamente quello era lo scopo del pittore, che lei apparisse neutra come una mela. Le volte che Hortense sta seduta su una poltrona, a quadro finito quella che ha maggiore risalto è la poltrona. Hortense è un essere inanimato, una materia su cui il pittore ha cercato di trovare il colore giusto da spalmare. Il fatto è che lei aveva sacrificato se stessa non tanto al genio dell’uomo con cui viveva, bensì alla nascita della pittura moderna.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Quella in cui l’oggetto perde la sua identità una volta che se ne sta in un quadro. Esattamente ciò di cui si accorse Kandinskij, quando vide la prima mostra degli impressionisti francesi a Mosca e in particolare il mirabile quadro di Claude Monet intitolato “Covoni” (uno dei quadri di quella serie, dipinta da Monet nel 1890, è stato venduto l’anno scorso per 110,7 milioni di dollari). Solo che quei “covoni” a Kandinskij non apparivano come tali, non li riconosceva come tali, finché non comprese che non aveva nessunissima importanza che venissero riconosciuti come tali: l’importante era la violenza della zaffata di colori e di emozioni che ne proveniva.

 

Quanto all’intreccio di alti e bassi nelle vite a due di un uomo e di una donna c’è di tutto nel ricco repertorio offerto dalla Colonnelli. Magnifico è il capitolo dedicato al pittore americano Edward Hopper (nato nel 1882) e alla donna che lui sposò nel 1924 quando era già quarantenne e ancora vergine, Josephine Nivison (nata nel 1883), anche lei una pittrice o aspirante tale, tanto che i galleristi d’arte di New York non gradivano che lei si firmasse Jo Hopper perché questo intralciava le opere tanto più famose di quelle del marito. Il quale tutto faceva fuorché incoraggiarla nel suo lavoro, semmai il contrario. I litigi tra i due erano ricorrenti, a cominciare dal fatto che la loro intesa sessuale aveva l’aria di essere di poco superiore allo zero.

 

“Perché mi hai sposato?”, gli gridava lei. E lui: “Perché hai i capelli ricci, parli un po’ di francese e sei orfana”, rispondeva quello che già negli anni Trenta stava diventando uno dei massimi narratori per immagini della “scena americana”. Vivevano in una casa quanto mai modesta. Uno studio dove lavorava Edward e dov’era l’unica stufa della casa, una camera da letto, una piccola cucina. Il bagno, in comune con i vicini, era in fondo al pianerottolo. Colonnelli: “Più tardi inglobarono una stanza sul retro per destinarla allo studio di Jo. Aveva una finestra a nord-est ed era senza riscaldamento. D’inverno vi faceva così freddo che veniva usata come magazzino per conservare frutta e verdura”.

 

C’erano momenti in cui la tensione tra i due era tale che Jo avrebbe voluto fare “uno sciopero della fame” a modo di protesta contro l’egoismo di lui. Lei riempì 63 quadernoni con i racconti della sua vita in comune con Hopper. Al che lui commentava che non c’è nulla di interessante nella vita reale di un uomo per com’è davvero: “Ogni confessione è dettata da un’altra ragione: la fama, lo scandalo, un pretesto o la propaganda”. Hopper morì il 15 maggio 1967, all’età di 85 anni. “Se n’è andato all’improvviso. Un minuto ed era tutto finito”, scrisse la moglie nei suoi quaderni. Lei aveva posato a raffigurare la donna al bar nel famosissimo “Nighthawks”, uno dei quadri che fanno da cardine dell’intero Novecento. L’Art Institute di Chicago lo aveva comprato nel maggio 1942 pagandolo 3.000 dollari.

 

E tuttavia l’immagine di questo libro prelibato che per il suo sconvolgente erotismo e per l’affaire che la sottende vale da sola il prezzo del biglietto è quella di pagina 172, dov’è il “Ritratto di ragazza” dipinto dall’inglese John Everett Millais nel 1857. Vengono i brividi a pensare che quello raffigurato in primissimo piano – un volto di fanciulla aureolato dai lunghi capelli color del rame, il collo bianchissimo che emerge dallo scollo rettangolare – e che ti dà la sensazione di avere a che fare con una ragazza più o meno diciottenne, era in realtà il volto di una poco più che bambina tra i dieci e i tredici anni, Sophie Gray, e che dietro a quel ritratto c’è una storia avvincente dov’è coinvolto il fior fiore dell’intellettualità inglese del secondo Ottocento. Una storia che non vi racconto. Comprate il libro e godetevela sino all’ultimo punto e virgola.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ