PUBBLICITÁ

Uffa!

Fermate il web, voglio scendere per poi indugiare e contemplare l’istante

Giampiero Mughini

Imparare a (non) dire l’impossibile, perdere identità e stare dentro l'intervallo per riuscire a cogliere le “apparizioni”. La vita e il romanzo di Andrea Gentile
 

PUBBLICITÁ

Conosco e apprezzo da alcuni anni Andrea Gentile, il capo editoriale del Saggiatore, un trentacinquenne che gronda raffinatezza intellettuale da tutti i pori. Sono lieto di avere contribuito con una mia prefazione al Pornage, il libro sulla pornografia della mia amica Barbara Costa da lui edito. E vivevo con un senso di colpa il fatto che un paio d’anni fa non l’ho avuto proprio il tempo di leggere un suo romanzo pluripremiato, I vivi e i morti, un tomone che richiedeva quattro o cinque giorni per essere delibato quanto meritava. E dunque mi ci sono buttato a pesce su questo suo nuovo e succoso libro, Apparizioni, che la casa editrice nottetempo ha appena mandato in libreria. L’uscita di questo libro costituisce per me “un’apparizione” da come la intende Gentile, la comparsa di qualcosa che ti schiocca dentro perché la “senti”, qualcosa di cui tener conto e che diventa memoria. Un bellissimo titolo, un parametro intellettuale quanto di più sollecitante. Lo tenessero a mente quanti ogni giorno scaricano sul mio WhatsApp migliaia di immagini che sono tutto fuorché “un’apparizione”, ossia immagini di cui non tengo alcun conto perché nell’“alveare della mia mente” non c’è alcuna particella che ne sia coinvolta. E difatti alla pagina 88 del suo libro, Gentile lo scrive chiaro e tondo. Che con il suo sovraccarico di immagini e di messaggi il web “depotenzia” ciascuna immagine e ciascun messaggio contenuto sullo schermo digitale, fa muro contro l’“apparizione”. Immagini e testi che ti piombano addosso al modo di una grandinata, che è come se non li vedessimo, come se non ci entrassero dentro, non ci trafiggessero. Nemmeno un po’.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Conosco e apprezzo da alcuni anni Andrea Gentile, il capo editoriale del Saggiatore, un trentacinquenne che gronda raffinatezza intellettuale da tutti i pori. Sono lieto di avere contribuito con una mia prefazione al Pornage, il libro sulla pornografia della mia amica Barbara Costa da lui edito. E vivevo con un senso di colpa il fatto che un paio d’anni fa non l’ho avuto proprio il tempo di leggere un suo romanzo pluripremiato, I vivi e i morti, un tomone che richiedeva quattro o cinque giorni per essere delibato quanto meritava. E dunque mi ci sono buttato a pesce su questo suo nuovo e succoso libro, Apparizioni, che la casa editrice nottetempo ha appena mandato in libreria. L’uscita di questo libro costituisce per me “un’apparizione” da come la intende Gentile, la comparsa di qualcosa che ti schiocca dentro perché la “senti”, qualcosa di cui tener conto e che diventa memoria. Un bellissimo titolo, un parametro intellettuale quanto di più sollecitante. Lo tenessero a mente quanti ogni giorno scaricano sul mio WhatsApp migliaia di immagini che sono tutto fuorché “un’apparizione”, ossia immagini di cui non tengo alcun conto perché nell’“alveare della mia mente” non c’è alcuna particella che ne sia coinvolta. E difatti alla pagina 88 del suo libro, Gentile lo scrive chiaro e tondo. Che con il suo sovraccarico di immagini e di messaggi il web “depotenzia” ciascuna immagine e ciascun messaggio contenuto sullo schermo digitale, fa muro contro l’“apparizione”. Immagini e testi che ti piombano addosso al modo di una grandinata, che è come se non li vedessimo, come se non ci entrassero dentro, non ci trafiggessero. Nemmeno un po’.

PUBBLICITÁ


A dirvi che cos’è “un’apparizione”, mi spiego meglio. Con le parole dello stesso Gentile: “La nostra mente è attraversata ogni giorno da un numero di pensieri che oscilla fra i cinquantamila e gli ottantamila. Quando, per un istante, questo fiume di pensieri si ferma, è più probabile che arrivi l’apparizione. Più è fitto il chiacchiericcio della nostra mente, più sarà difficile far vivere l’apparizione, se è vero che per far vivere l’apparizione, sentirla, c’è bisogno di consapevolezza. Più siamo disposti, aperti all’apparizione, più sarà possibile vivere la condizione necessaria per l’apparizione: l’esperienza”. E in suo testo che  accompagna le copie del libro inviate agli amici, Gentile fa l’elenco delle “apparizioni” di cui racconta nel suo libro: la morte di sua nonna e il saluto dei nipoti letto al funerale, la follia del calciatore Eric Cantona quando sferrò un calcio al petto di un tifoso che lo stava insultando, i film di Andreij Tarkovskij, le ultime immagini della dittatura di Ceausescu in Romania (pochi giorni prima di essere ucciso come un cane era stato sommerso dagli applausi della folla rumena), la volta che Gentile credette di essere ammalato di tubercolosi, la lettura dei versi di Paul Celan, le immagini di due ragazze ucraine che si riprendono al telefonino nel momento preciso in cui stanno andando a sfracellarsi con la loro auto. Tanto che il tracciato migliore della nostra vita potrebbe essere la summa delle “apparizioni” di cui abbiamo tenuto conto e la cui memoria ci rimane scolpita addosso. Persone incontrate, libri letti, canzoni ascoltate, amicizie perdute o ritrovate, il volto di una donna che ha lasciato una cicatrice, luoghi la cui malia era irresistibile, magari l’inaugurazione di una mostra d’arte.

 

A dirla in breve, tutte esperienze letterarie. Ossia esperienze che richiedono consapevolezza e capacità di contemplazione nel presente, nell’attimo in cui le cose accadono e accadono in quel modo lì.  Fermo restando che le “apparizioni” che lasciano una maggiore traccia sono quelle dolorose, negative. Delle reazioni che hanno incontrato i miei numerosi libri in chi li ha letti, quella che ricordo con maggiore intensità è la lettera che Carlo Mazzantini (l’ex volontario della Rsi autore di A cercare la bella morte, il più bel romanzo sulla guerra civile raccontata da uno che stava da quell’altra parte) mi scrisse all’uscita dell’unico romanzo che io abbia mai scritto, La ragazza dai capelli di rame del 1993, e che a lui non era piaciuto affatto. Me lo scrisse con affetto, con lealtà. Carlo avrebbe potuto tacere e lasciar perdere, e invece sentì come il dovere di scrivermelo e spiegarmene le ragioni. Per quanto ovviamente mi spiacesse quel suo giudizio, lo presi come una prova di grande amicizia. Eccome se era stata “un’apparizione”, un lampo di luce seppure per me dolorosa. Gentile gira e rigira attorno alla condizione sentimentale e morale di chi si sta aprendo alle “apparizioni”, e nel farlo va per ogni dove dell’esistenza quotidiana di noi tutti. E’ come se ci facesse delle raccomandazioni fraterne, preziose: “Contemplare l’istante. Non fare mai tesoro. Assicurarsi di essere. Indugiare. Reinventare il mondo non a tavolino, ma esplorandolo. (Non) dire l’impossibile. Accogliere il sentimento della morte. Abbattere le pareti della lingua. Perdere identità. Dimenticare lo stile. Essere spaziosi. Stare dentro l’intervallo. Non sapere. Nulla”. Sì, non sappiamo nulla. Basterebbe che noi tutti lo ammettessimo e ci convivessimo con questa ammissione. Basterebbe apportare un po’ più di silenzio a questa nostra vita che invece abbiamo reso frenetica nel cercare non sappiamo bene che cosa.

PUBBLICITÁ

 

Com’è di quel colloquio tra Franz Kafka e Gustav Janouch di cui racconta Gentile. Kafka aveva in mano il supplemento domenicale di un giornale dov’era la domanda rivolta ad alcuni scrittori “Che cosa potete dire dei vostri futuri progetti letterari?”. Al che Kafka commenta con l’amico: “Non si può rispondere a una domanda simile. Si può forse prevedere come batterà il cuore nei giorni a venire? No, non è possibile. La penna è solo un sismografo del cuore. Si possono registrare i terremoti, non prevederli”. Laddove i dilettanti allo sbaraglio di cui è zeppa la nostra odierna comunicazione massmediatica ce lo chiedono a ogni istante della giornata: “A che ora e in che giorno avverrà il terremoto? Quale sarà la sua intensità? Che fare per pararne gli effetti?”. Fosse per loro non ci sarebbe mai uno scroscio di pioggia senza che noi non avessimo già aperto gli ombrelli. Fosse per loro la società funzionerebbe come un presepe dove mai nessuno cambia ritmo al suo gioco, mai nessuno contempla “un’apparizione” che sbaraglia le mappe cui era abituato. Valga per tutte la pagina in cui Gentile ricorda che durante le esequie dei morti a causa del crollo del ponte Morandi a Genova, Matteo Salvini si fece un selfie con una sua fan quasi a far valere l’idea che ci fosse stato lui a capo delle Autostrade italiane mai e poi mai il ponte Morandi sarebbe crollato. E a non dire delle coeve e orripilanti immagini in cui l’allora capo del governo Giuseppe Conte e (se non sbaglio) Luigi Di Maio assumono un’aria tronfia mentre qualcuno per strada li applaude a poche ore dalla tragedia, e come se loro sarebbero stati in grado di impedirla. Immagini al limite del sacrilegio. Il contrario come più non si potrebbe delle “apparizioni”.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ