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Anonime metropolitane. A Milano e Roma, ascesa e declino di un’icona del design

Andrea Bentivegna

Dalla gomma “a bolli rotondi” della Pirelli fino alle “stazioni dell’arte” di Napoli. Oggi però le nuove fermate sono impersonali, lettering e segnaletica sembrano aver scordato l’antica tradizione. Anche la capitale prova finalmente a fare qualcosa ma manca il progetto

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Dimmi che metropolitana hai e ti dirò che città sei. Durante una recente fashion week il marchio Msgm ha dedicato una collezione all’iconica metro milanese M1 e per presentarla ha organizzato una sfilata direttamente nella stazione di Porta Venezia. Il design di Franco Albini, Franca Helg e Bob Noorda si studia sui libri di storia: pavimenti in gomma “a bolli rotondi” della Pirelli, i mitici corrimani rossi e le segnaletiche che valsero ai tre il Compasso d’Oro nel 1964. Un innovativo progetto coordinato imitato poi in mezzo mondo. Oggi però le nuove metropolitane a Milano sono anonime, le fermate impersonali, come nella nuova linea blu, con lettering e segnaletica che sembrano aver scordato l’antica tradizione. Si potrebbe essere ovunque. E nel resto d’Italia?  Napoli ha stupito con le sue “stazioni dell’arte” ormai mete di pellegrinaggio e fotografatissime dai turisti. E Roma? La capitale – che sul tema arranca da sempre – prova finalmente a fare qualcosa ma, siccome è Roma, il risultato è inevitabilmente surreale. A dire il vero solo pochi anni fa si era addirittura temuto il blocco dei cantieri della linea C che avrebbe intrappolato per sempre la grande talpa scavatrice nel sottosuolo. Uno scenario distopico e per questo perfettamente degno di questa città.

  
La nuova amministrazione al contrario ha scelto di rilanciare e non solo ha ripreso i lavori della linea verde ma ha inaugurato, da qualche mese, l’ambizioso cantiere di piazza Venezia: una mastodontica stazione museo, profonda oltre 80 metri, con tanto di reperti archeologici smontati e rimontati all’interno di una piazza coperta che collegherà i vari siti monumentali. Dieci anni di lavori (si spera) per un cantiere tra i più complessi e spettacolari al mondo che potrà redimere o condannare definitivamente la terza linea cittadina. Ma appunto siamo a Roma e il confine tra ambizione e sciatteria è labile. In attesa della stazione, la terza linea metropolitana da venticinque anni illude i romani: stazioni ipertrofiche con banchine a profondità imperscrutabili lungo le quali attendere un treno anche per una dozzina di minuti. Al di là di tutto però ciò che lascia perplessi è la programmatica assenza di qualità architettonica per opere dal costo miliardario. Persino la celebrata fermata San Giovanni, nodo nevralgico tra A e C, pensata come percorso espositivo tra strati archeologici, ha finito per essere vittima della trascuratezza: inaugurata nel 2018, a oggi ancora non si è realizzato il fondamentale scambio. I viaggiatori sono perciò costretti a risalire in superficie per poi scendere nuovamente nell’altra stazione.

  
Eccoci, quindi, alle settimane scorse, quando il Campidoglio ha presentato i progetti di alcune stazioni della vecchia linea A che verranno riqualificate. Finalmente. Peccato che le immagini siano a dir poco misere. Un investimento da quasi 30 milioni e il grande assente è, ancora una volta, il progetto. Render raffazzonati per raccontare interventi sull’illuminazione e le infiltrazioni. Tutto tra tonalità pastello, led colorati, immancabili fioriere e tanti schermi pubblicitari. Non esattamente ciò che meriteremmo ma piuttosto quello di cui ormai ci accontentiamo.

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