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Terrazzo

E l’obiettivo di Inge scoprì Venezia

Giacomo Giossi

Nata a Graz e poi naturalizzata newyorkese, è stata tra le prime fotogiornaliste a documentare il Novecento. Ma resta legata in maniera inscindibile a Venezia: oggi a Palazzo Grimani un’esposizione riporta gli scatti del suo reportage

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Inge Morath, nata a Graz e poi naturalizzata newyorkese, città in cui morirà nel 2002 è stata tra le prime fotogiornaliste a documentare il Novecento: dal tempo delle guerre a quello delle celebrità. Prima fotoreporter a far parte della mitica agenzia Magnum, Morath resta legata soprattutto per il suo sguardo fotografico in maniera inscindibile a Venezia, dove realizzò nel 1955 il suo primo reportage per il libro Venice observed della grande scrittrice Mary McCarthy. Ma già precedentemente Inge Morath, ancora inesperta fotografa, era giunta a Venezia con una macchina fotografica, regalo della madre, in una città per lei tutta da scoprire e con uno sguardo ancora tutto da rivelare.

 

In questi giorni ha aperto a Venezia nelle bellissime sale di Palazzo Grimani un’esposizione che di quel reportage riporta gli scatti e anche qualche inedito. Il silenzio invernale di gennaio offre una Venezia rilassata che attende i bagordi del Carnevale con placida sonnolenza. La città respira così il proprio tempo senza l’urgenza di dover servire il turista di turno che come un reduce ben si adatta ai pochi locali aperti e all’inedita libertà di movimento tra le calli. Le sale luminose e ben curate di Palazzo Grimani restituiscono pienamente la bellezza delle immagini di Morath. La Venezia degli anni Cinquanta si rivela come spesso accade uguale a se stessa nei palazzi come nelle sue calli e campi. Quello che invece si discosta radicalmente è la presenza di un popolo ormai scomparso, una vitalità cittadina oggi ombra triste di un tempo sicuramente molto più povero, ma al tempo stesso denso di una vivacità umana che Inge Morath coglie appieno.

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Il suo è uno sguardo però che non ricerca ossessivamente l’emotività, ma che parte direttamente dalla testa con un’elaborazione lucida e logica che si ritrova anche nei ritratti fatti al marito Arthur Miller e alla figlia Rebecca, entrambi colti in due distinte fotografie, ma in un unico sguardo dalla medesima forza espressiva. Inge Morath ha collaborato con i più grandi fotoreporter del secolo scorso, tra tutti Robert Capa, e ha fotografato alcuni tra i massimi artisti di quel tempo, ma come tutti i fotoreporter della sua epoca resta legata a un’idea eticamente forte di giornalismo. Nata dalla carta, dalla parola scritta, Morath non dimentica la prevalenza dell’idea documentaria che sta alla basa di ogni sua fotografia. Lontano da ogni facile estetizzazione, quello di Morath è il ritratto di un tempo nel suo volgersi, in cui ogni fotografia diviene un tassello in più per chiarire il mondo. Nelle immagini di guerra come in quelle più legate alla natura popolare di Venezia riluce nella fotoreporter una forma di naturalismo esistenziale che solo in parte è possibile ritrovare nelle fotografie dedicate al jet set che pure offrono un’ironia mai scontata. Come spesso accade nelle soleggiate giornate d’inverno, Venezia offre una totale continuità tra l’interno e l’esterno dei suoi palazzi. E le fotografie di Morath ci seguono, oltre le mura di Palazzo Grimani, fin dentro le voci delle calli. 

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