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I disegni ritrovati di Kafka

Manuel Orazi

Datati e organizzati per intero dopo decenni di oblio e battaglie legali, anche a causa di Max Brod, salvatore di tutti i manoscritti kafkiani ma anche sciupafemmine un po’ pasticcione – i disegni li consegnò all’ultima segretaria, scomparsa centenaria nel 2007: sono riapparsi dopo varie vicende solo da poco

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Forse perché, come scrisse Gilles Deleuze, “L’opera di Kafka è la diagnosi di tutte le potenze diaboliche che ci aspettano”, le varie magagne globali che ci attanagliano non cessano di rendere l’opera di Franz Kafka eternamente attuale. Nel 2020 la Fondazione Prada milanese ha dedicato una mostra e un libro all’opera dell’artista tedesco Martin Kippenberger, The Happy End of Franz Kafka’s “Amerika”, al film di Orson Welles The Trial e all’album di musica elettronica The Castle dei Tangerine Dream. Quest’anno invece Adelphi ha pubblicato Isaac Bashevis Singer, Un amico di Kafka, ma soprattutto due fuori collana: I disegni di Kafka, con una nota di Roberto Calasso, e Tullio Pericoli, Un digiunatore di Franz Kafka.

 

I disegni sono da poco stati ritrovati, datati e organizzati per intero dopo decenni di oblio e battaglie legali, anche a causa di Max Brod, salvatore di tutti i manoscritti kafkiani ma anche sciupafemmine un po’ pasticcione – i disegni li consegnò all’ultima segretaria, scomparsa centenaria nel 2007: sono riapparsi dopo varie vicende solo da poco. Figure esili, immagini evanescenti, i disegni kafkiani sono ben noti da tempo a Tullio Pericoli, segnato indelebilmente da Un artista del digiuno, il racconto che Kafka stava correggendo il giorno in cui morì, il 3 giugno 1924, nel sanatorio di Kierling perché la laringite tubercolare gli rendeva estremamente doloroso ingerire qualsiasi cibo. Il racconto, pubblicato postumo a Berlino è un’allegoria dell’artista: il digiunatore scheletrico rinchiuso in una gabbia ed esposto come attrazione minore del circo, accanto alle stalle delle belve feroci, è diverso dai suoi sorveglianti e spettatori: digiuna “perché io non ho mai potuto trovare il cibo che mi piacesse. Se l’avessi trovato, credilo, non avrei fatto tante storie e mi sarei rimpinzato come te e tutti gli altri”.

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Non è un caso che sia proprio questo il racconto cui Philip Roth ha dedicato una sovrapposizione, “Ho sempre voluto che ammiraste il mio digiuno”.  Ovvero, guardando Kafka (Einaudi 2011). Pericoli risolve altrimenti la sua angosciosa fascinazione: “Ho fatto un sogno in cui Giacometti e Kafka si incontravano” ed ecco allora l’affollarsi di figure simili alle sculture in bronzo che l’artista svizzero realizzava insieme con il fratello Diego. Sia in Kafka sia in Pericoli le figure sono stilizzate e un po’ inquietanti, a volte ricordano delle marionette – Kafka era un grande ammiratore di Kleist –, Calasso parla piuttosto di “uomini storti”. Nessuna figura, però, ha mai un volto. L’artista marchigiano, che ha iniziato come vignettista per il Giorno e poi come ritrattista per Repubblica, ormai da anni si dedica alla pittura di paesaggio e al disegno tendendo (o tornando) sempre più verso l’astrazione. Tutti i disegni ispirati al digiunatore sono stati appena esposti alla Galleria Anna Maria Consadori di Milano. Conclude Pericoli “Ma si sa bene com’è Kafka, e come lui i suoi personaggi: sfuggenti. Non sanno o non vogliono rivelarsi”.

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