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Terrazzo

Il vasto mondo di Gaetano Pesce

L'artista ottantaquattrenne è morto a New York. L'annuncio dello staff su Instagram: "La sua unicità, creatività e messaggio speciale vivono attraverso la sua arte"

Giampiero Mughini

Una sedia è una sedia, e poi c’è il “Fish design”. Ogni sua opera o progetto è una festa di colori, materiali e anticonformismo. Trent’anni di passione nei ricordi di un collezionista

Gaetano Pesce è morto oggi a New York, dove viveva da anni. Lo ha reso noto il suo staff con un post su Instagram: "È con il cuore pesante che annunciamo la scomparsa del visionario creatore Gaetano Pesce", si legge nel testo che accompagna una sua foto. L'architetto, artista e designer italiano nato a La Spezia aveva 84 anni. "Nel corso di sessant'anni Gaetano ha rivoluzionato il mondo dell'arte, del design, dell'architettura e gli spazi liminali tra queste categorie. La sua originalità e il suo coraggio non sono eguagliati da nessuno", si legge ancora nel post. E poi un accenno alle sue condizioni personali: "Nonostante i problemi di salute, soprattutto nell'ultimo anno, Gaetano è rimasto positivo, giocoso e sempre curioso. Lascia i suoi figli, la sua famiglia e tutti coloro che lo adoravano". Riproponiamo di seguito un articolo di Giampiero Mughini che celebra l'opera di Pesce pubblicato sull'inserto del Foglio Terrazzo a marzo 2022. 

 


 

Nei poco meno di trent’anni che dura la nostra simbiosi intellettuale, sempre è un momento sacro quello in cui mi arriva una traccia del lavoro creativo di Gaetano Pesceuno che a definirlo architetto o designer fai una figuraccia, è un artista punto e basta – e può essere uno dei suoi 50-60 oggetti/arredi che si sono installati in casa mia, o magari il catalogo di una sua mostra che è sempre un libro d’artista, o persino l’invito a una di quelle mostre, anch’essi dei gesti creativi e ne ho tappezzato una parete di casa mia. In ognuno dei suoi oggetti (una sedia o un vaso o una cornice) c’è assieme qualcosa di implacabile, da quanto vi è acuminata la prepotenza della sua vena creativa, e assieme qualcosa di rasserenante perché una volta che l’hai piazzata da qualche parte quella dannata sedia o vaso o cornice se ne sta lì tranquilla come se fosse quello il posto nell’universo che le ha assegnato Iddio. A casa mia sono di Gaetano le due appliques in resina che accendi appena entrato in casa, la poltrona su cui guardo la televisione e quella su cui ascolto il mio impianto stereo, la celebre “Feltri” progettata per Cassina negli anni Ottanta e di cui troverete 73 mila richiami su Google.

 

Qualche anno prima di comprare venti e passa anni fa la casa in cui abito adesso, e dunque sarà stato il 1995 o il 1996, entrai nel fatidico negozio romano della Cassina a via del Babuino e alla direttrice del negozio chiesi se li avessero alcuni degli arredi che Pesce nel tempo aveva disegnato per Cassina, arredi da perderci la testa per come li avevo visti nei libri di design che colleziono. Lei mi rispose di essersi commossa alla mia domanda perché era la prima volta che un cliente entrato nel suo negozio le faceva la richiesta di quei capolavori che oggi costituiscono il vanto dei musei di design sparsi nel mondo.

 
Gaetano in carne e ossa lo incontrai per la prima volta più o meno in quegli anni. Ai titolari di un raffinato negozio di design milanese dove avevo comprato alcuni vasi in resina della primissima collezione denominata “Fish Design”, lui aveva detto che in occasione di un suo viaggio a Roma avrebbe avuto piacere a incontrare un qualche romano che conoscesse e amasse il suo lavoro. Loro gli fecero il mio nome. Andai a prendere Gaetano in un albergo che stava alla sommità della scalinata di Piazza di Spagna. Da lì facemmo una lunga camminata sino alla mia vecchia casa di via della Trinità dei Pellegrini, una camminata che oggi né le mie né le sue gambe ci consentirebbero. Deliziosamente ignaro delle cose italiane (vive a New York dal 1980), di tanto in tanto Gaetano mi chiede se qualcuno che gli ha chiesto un’intervista è un tipo di cui fidarsi.

  

Lui è uno dei nostri non molti artisti internazionali, uno che ha come platea il mondo. I suoi collezionisti stanno a New York, a Parigi, in Cina, in Belgio. E difatti le sue mostre lui le va disseminando in giro per il mondo, ad esempio quella imponente mostra in Cina dal titolo “Nobody’s Perfect” (dal nome di una sua mirabile sequenza di sedute e tavoli) inaugurata il 2 ottobre 2021 e chiusasi il 27 febbraio di quest’anno. Toccante la mostra genovese in onore di Germano Celant che ha appena chiuso i battenti. Me ne è arrivato pochi giorni fa lo stupendo catalogo, ennesimo libro d’artista. La forma del volume è ricalcata sul profilo di Celant e ha per titolo “Ricordo di un Amico”.

  
Quasi sempre quando mi arriva il catalogo di una mostra di Gaetano, ne compro qualcosa compatibilmente con le finanze del poveraccio che sono. Non lo fossi questa volta avrei comprato cinque o sei cose, e invece mi sono limitato all’acquisto di uno scintillante vaso in resina flessibile che ha per nome “Yellow Legs” e ti dà l’aria difatti che da un momento all’altro si metterà a camminare e verrà a chiederti come va il mondo. Varrà a ricordarmi per sempre  la volta che Gaetano e Celant vennero a cena a casa mia, e Celant bussò con i piedi perché nelle mani aveva uno splendido oggetto della Alessi che mi aveva portato in dono, se ricordo bene il vaso portaghiaccio in plastica disegnato da Bruno Munari: per dire di un altro artista che nel mio personale Olimpo se ne sta lassù in alto, giusto accanto a Gaetano.

 

Da quello che credo di capire, le gallerie d’arte americane stanno facendo uno sforzo sovrumano per convincere i loro potenziali clienti che il design di gran qualità merita prezzi non  lontani da quelli delle arti tradizionali seppure contemporanee. Che il quadro di un pittore moderno costi 50 mila o 100 mila euro o 200 mila euro, quelli che sono usi comprarli non battono ciglio. Un oggetto di design, e a parte i quotatissimi oggetti “storici” di un Carlo Mollino o di un Jean Prouvé o di un Carlo Bugatti e altri della loro razza, restano lontani da quelle valutazioni. Ebbene, ricevo mail a caterve in cui vengono offerti oggetti di design a prezzi salatissimi, oggetti che hanno l’ambizione di presentarsi quali oggetti di valore artistico. Spesso sono pura stramberia, lampade che non hanno né capo né coda da quanto sono inutilmente arzigogolate, e altre cose così che tradiscono l’essenza del design, quella di comprendere oggetti nati per avere una funzione. Tutta roba che non regge il confronto con la creatività di Gaetano, il quale ascende a cime inesplorate sempre partendo da quello che l’oggetto deve e vuole essere. Una sedia di Gaetano è una sedia di Gaetano, ad esempio la spettacolare “Pratt Chair” da lui creata nell’istituto di chimica di una università americana. Persino l’armadio che fa da omaggio alla memoria di Anna Frank, e di cui non sai dire se è piuttosto mirabolante o piuttosto commovente, è innanzitutto un armadio. Un celebre mercante belga ne ha l’esemplare originale in copia unica. Io ho il modellino iniziale da cui Gaetano partì per la sua avventura creativa.

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