Terrazzo

Essere Carlo Aymonino

Unico dei grandi architetti romani a costruire a Milano: apre  la grande mostra in Triennale. I quaderni, e la saga familiare

Tre mostre “pazzesche”, insieme, alla Triennale di Milano: e quando ricapiterà?  Le divinità locali Enzo Mari e Vico Magistretti e poi, e poi un romano, addirittura (sarà la nuova costituency della Milano inclusiva post Covid?).

 

Ecco la colossale mostra su Carlo Aymonino, uno dei rarissimi romani a costruire a Milano (insieme al glorioso Luigi Moretti, che però si limita a qualche edificio, mentre Aymonino fa interi quartieri “iconici” come il Gallaratese, oggi di gran moda per video di primari e fondamentali trapper). 


Il Gallaratese è una ribellione all’idea che la periferia debba essere per forza grigia, sciatta, ripetitiva, alienante. I grandi volumi neoespressionisti di Aymonino, coloratissimi e muscolari, evocano le strutture dei mercati traianei (amatissimi) e giocano molto nel contrasto con la parte di Aldo Rossi (allievo che coinvolgerà nel progetto), e che invece è candida e metafisica, rumore contro silenzio. Sarà per questo che continuano a girarci videoclip Coma cose, Annalisa (+Rkomi), Fede Kampa (ma prima, vent’anni fa, già c’erano i Casinò Royale). E’ una scenografia che nemmeno a Cinecittà, però qui vera (in mostra, le sublimi immagini del fotografo Paolo Rosselli). Anche “Zero”, l’ultima serie Netflix, assai fumettistica, usa il Gallaratese per il suo manifesto.


Nipote di Marcello Piacentini, cugino dei Busiri-Vici, dei Quaroni, noblesse di spada piemontese (il padre, generale di corpo d’armata, e assistente di campo di Umberto di Savoia), Aymonino fu un personaggione: tavolo fisso all’Harry’s Bar giusto, quello veneziano, si butta a sinistra con grande scorno dello zio fascistone; si iscrive al Pci aizzato dalla prima fidanzata Luciana Castellina, poi tre mogli notevolissime. La prima, Ludovica Ripa di Meana, sorella di Carlo, intellettuale collaboratrice di Giorgio Bassani alla Feltrinelli e di Elio Vittorini da Mondadori; la seconda, Roberta Carlotto, padovana, che fa le interviste impossibili con Manganelli, Arbasino e tutti i più grandi, oltre a portare il teatro in radio e in tv; la terza, Luciana Tissi, produttrice cinematografica e televisiva (suo “Il maresciallo Rocca”). 

 

Quattro figli “uno più bello dell’altro” scrive Aymonino nella sua biografia di mezza pagina che chiude la mostra: Aldo, architetto, Livia, nella comunicazione, Silvia, costumista, Adriano, storico dell’arte a Londra. Molti nipoti sparsi tra Roma, Milano e l’Inghilterra, il clan Aymonino è una serie tipo i Cesaroni però girata da Wes Anderson o i Tenenbaum fatti da Ettore Scola, dove compare tutta l’aristocrazia rossa dei Reichlin, dei Melograni, dei Trombadori, dei  Ferrara (Giuliano citato già come  piccolo giornalista a 9 anni). La morte di Togliatti coglie Aymonino a Capri (e dove, sennò). 

 

Gran diarista, come si vede nella mostra curata dal nostro Manuel Orazi. E calligrafo, uno dei più bravi disegnatori e illustratori del suo tempo; nei cahier d’infanzia  i fratellini Aymonino fanno gli scherzi e le caricature agli Agnelli in vacanza con loro in Versilia; poi i quadri, i quaderni di schizzi di architettura e città, gli album di famiglia dove compaiono anche gli architetti del momento, i giornalini scritti coi figli con storie divertenti di favole ma anche di monumenti, i bloc notes delle villeggiature, i giochi. Ma soprattutto sono notevoli i disegni che Aymonino non smette mai di comporre in tutte le salse, bellissimi e lunari se pensiamo che oggi gli architetti praticamente non disegnano più, al massimo qualche schizzo striminzito alla Fuffas/Crozza. Altri tempi, signora mia. 


 

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