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terrazzo

I parchi di Parigi

Valeria Sforzini

La città come un corpo, nel pensiero di Andreas Kipar, fondatore e direttore creativo dello studio d’architettura Land, e di Philippe Chiambaretta dello studio parigino PCA-Stream e mente del piano che dovrebbe trasformare entro il 2030 gli Champs-Élysées in una foresta urbana

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Entrambi considerano la città come un corpo: l’uno la vede come un malato che ha bisogno di cure, in cui verde e strade a misura d’uomo agiscono come dei piccoli bypass in grado di rimettere in funzione gli organi principali. L’altro vuole intervenire sul “metabolismo urbano” limitando le macchine e utilizzando dei sensori per mitigare l’impatto ambientale.

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Entrambi considerano la città come un corpo: l’uno la vede come un malato che ha bisogno di cure, in cui verde e strade a misura d’uomo agiscono come dei piccoli bypass in grado di rimettere in funzione gli organi principali. L’altro vuole intervenire sul “metabolismo urbano” limitando le macchine e utilizzando dei sensori per mitigare l’impatto ambientale.

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Il primo è Andreas Kipar, fondatore e direttore creativo dello studio d’architettura Land, che ha trasformato in isole verdi le aree milanesi di Porta Nuova, Bicocca e Parco del Portello. Lo stesso che, nei primi anni Duemila diede vita al progetto dei raggi verdi di Milano: otto arterie cittadine che a partire dal centro si diramano verso l’esterno, per poi ricongiungersi in un anello che circonda tutta la città. Nel progetto di Kipar, in queste vie che collegano centro e periferia, la natura dovrebbe fondersi con la strada, rendendola percorribile a piedi, con lentezza.

  

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Il secondo è Philippe Chiambaretta, founder dello studio parigino PCA-Stream e mente del piano che dovrebbe trasformare entro il 2030 gli Champs-Élysées in una foresta urbana, riportandoli all’antica magnificenza. Una visione già approvata dalla sindaca ecologista parigina Anne Hidalgo, che prevede la piantumazione di mille alberi, aree verdi triplicate, circolazione di automobili ridotta, più spazio per pedoni e biciclette e un maggior controllo dell’inquinamento acustico. Il tutto per un totale di 250 milioni di euro e non prima del 2024, l’anno in cui Parigi ospiterà le Paralimpiadi, come inizialmente sperato. I rendering diffusi dallo studio di Chiambaretta mostrano un futuro in cui l’Arc de Triomphe sarà circondato da alberi, da Place Charles-de-Gaulle si dirameranno dei raggi-viali dove a piante e aiuole si alterneranno caffè e botteghe e in cui la passeggiata diventerà la nuova dimensione di fruizione di una delle vie più trafficate della capitale.

 

L’abito di una città si può cambiare, ma solo se prima si è ragionato sul corpospiega Kipar, che da sempre si definisce un giardiniere, oltre che paesaggista e urbanista – Per giudicare il progetto di Parigi dobbiamo capire a che punto è la città. Penso che la capitale francese sia arrivata dove è oggi grazie a un sindaco che, come dicono i parigini, fa sul serio. Con il suo primo mandato ha dato un forte segnale di cambiamento e ora sta procedendo per arrivare a creare la città dei 15 minuti. Tutta Europa guarda a Parigi”.

 

Per Kipar, la nuova vita degli Champs-Élysées non è il primo, ma l’ultimo anello di una catena. “Non si tratta di décor o di urbanistica tattica. Possiamo mettere un’aiuola, un po’ di vernice, ma conta quello che c’è sotto. – continua – Io non mi considero un estremista. Dico sempre: ‘allegro, ma non troppo’. Anne Hidalgo, con il suo essere radicale, è sulla strada giusta per diventare il modello di una trasformazione intelligente. Non si tratta di portare solo il verde nei giardini, ma di impostare un controllo del traffico, gestire sapientemente il trasporto pubblico, ripensare gli orari di ingresso e di uscita dagli uffici. E tutto questo fa parte di un disegno multidimensionale”.

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Quello per cambiare il volto della ex via più bella del mondo, secondo Kipar rappresenta uno “statement” su ciò che, d’ora in avanti avrà la precedenza in città. “In una metropoli come Milano è possibile vivere anche rimanendo nel proprio isolato, ma in tanti se ne sono accorti solo quando hanno iniziato a conoscere i propri vicini cantando dai balconi – continua – I raggi verdi sono nati all’inizio del nuovo millennio, anno avuto il via con Expo, ma non sono stati terminati. Oggi sono inseriti nei piani del comune e vengono portati avanti un poco alla volta, a seconda delle necessità, ma non fanno parte di un disegno multidimensionale come dovrebbe essere. Anche prima della pandemia i raggi verdi venivano associati alla salute ma oggi, più di prima, ci stiamo rendendo conto di quanto sia importante vivere il nostro quartiere e passeggiare nelle nostre città senza aver bisogno di scappare”.

  

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