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La scomparsa di Ernesto Gismondi

Il genio nelle lampade

Michele Masneri

L'epopea di Artemide, il rapporto con Sottsass, il ricordo di Michele De Lucchi

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“Ernesto Gismondi aveva una grande passione per il mare, era sempre in dubbio se comprare nuove vele, quelle da corsa, che costano un sacco. Poi le comprava. Era particolarmente eccitato quando correva per la Giraglia, una famosa regata, dove gareggiano tutti i milanesi, e aveva una speciale competitività con Marco Tronchetti Provera. La barca di Gismondi si chiama Edimetra, cioè Artemide al contrario”.

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“Ernesto Gismondi aveva una grande passione per il mare, era sempre in dubbio se comprare nuove vele, quelle da corsa, che costano un sacco. Poi le comprava. Era particolarmente eccitato quando correva per la Giraglia, una famosa regata, dove gareggiano tutti i milanesi, e aveva una speciale competitività con Marco Tronchetti Provera. La barca di Gismondi si chiama Edimetra, cioè Artemide al contrario”.

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Michele De Lucchi, designer di uno dei pezzi più celebri della Artemide fondata da Gismondi, la lampada Tolomeo, ricorda col Foglio l’amico e imprenditore scomparso nei giorni scorsi. Le risulta che l’azienda l’avesse chiamata così perché voleva un nome che iniziasse con la A, in modo da comparire prima di altri rivali, tra cui la milanese Azucena? “Ah, può darsi”, dice De Lucchi. Sui nomi, si capisce che erano anni in generale fantasiosi. Il portapenne di plastica gemello del portaombrelli, fatto a panettone traforato, se lo giri, dietro c’è il nome “Emma Gismondi Schweinberger”. “Era il nome della moglie, che lui utilizzava ogni tanto. Ma altre volte si firmava in altri modi, con nomi simil-finnici, perché c’era la moda dei designer finnici all’epoca. Ma quando vedeva che qualcosa poteva farsela per conto suo se la faceva per conto suo”. Ci sono infatti una serie di lampade che portano il suo vero nome. E non sono mica brutte. “Per niente”, dice De Lucchi.  “Per qualche tempo Artemide si avventurò  anche nell’arredamento,  ci sono complementi per ufficio celebri, una linea Selenia disegnata da Vico Magistretti”, continua De Lucchi . “Ma poi si concentrarono sulle lampade”.

 

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Un settore che sembra banale ma non lo è per niente: “c’è un tema tecnologico non indifferente, quando ho cominciato a disegnare io c’erano le alogene e le incandescenti, poi dopo son venute fuori a gas, a mercurio, a basso consumo, a led. Un settore che cambia continuamente. E oggi è diventato un’altra cosa, la lampada si è come smaterializzata e allo stesso tempo la luce è diventata ancora più importante, una componente dell’ambiente. Un ambiente che non abbia una luce studiata perfettamente non esiste”.

 

Gismondi era all’avanguardia anche in questo. “Aveva fatto grandi investimenti sulla luce colorata. Aveva lanciato un sistema che si chiamava Human light, quattro colori fondamentali che si potevano mischiare aumentando e diminuendo la potenza di ciascun colore, creando diverse atmosfere, grazie a un programma elettronico”. A Gismondi non mancava la poliedricità. Era ingegnere aeronautico e “per anni ha insegnato al Politecnico Ingegneria missilistica. Ogni tanto mi insegnava come si calcola una traiettoria. Poi ebbe la scoperta del design delle lampade, insieme a un architetto, Sergio Mazza”. Realizzano alcune leggende, come l’Eclisse di Magistretti (“aveva una passione per Vico”), la Tizio di Sapper, e la Tolomeo dello stesso De Lucchi, la lampada più venduta al mondo.

 

Una gara, tra quelle due lampadone da scrivania, la prima soprattutto nera, simbolo degli anni Ottanta, la seconda argentea e riflessiva. Con la Tolomeo avete fatto un sacco di soldi. “Fu abbastanza un boom. Per qualche anno veniva centellinata perché c’era troppa richiesta. Ne ordinavi dieci, te ne davano una. In Ungheria, a Budapest, c’è un’azienda che costruisce solo Tolomeo. Ha così tante varianti, ogni piccolo pezzo si è trasformato praticamente in una lampada diversa”. Chi vince? “La Tizio è bellissima ma aveva una particolarità: funzionava solo con le lampade alogene, perché nasceva come lampada a basso voltaggio: siccome la corrente passa per i bracci della lampada direttamente, cioè senza fili ma proprio per il ferro, non poteva usare che l’alogeno. La Tolomeo invece è stata disegnata per funzionare con tutte le lampadine del mondo”. A proposito di sistema, è vero che si è ispirato anche alla Aggregato, la fantastica lampada declinabile in mille tipologie di Enzo Mari? “Sì, certo. Però la Aggregato, che è appunto fantastica, per regolarla devi svitare e riavvitare una vite. Ma rimane bellissima. E ha un nome, bellissimo”. Già, Enzo Mari era anche un grande copy.

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Dopo aver sfondato con le lampade, Gismondi si butta in un’avventura soprattutto intellettuale, la Memphis, quella specie di collettivo leggendario guidato da Ettore Sottsass che rivitalizza il design italiano tra kitsch e postmoderno. “Tra i due c’era molto rispetto; Ernesto teneva una foto di loro due insieme in ufficio. Ma erano due codici mentali completamente opposti, fatti per non capirsi. Sottsass voleva aprire show room in giro per il mondo, ma Gismondi aveva intuito subito che il successo della Memphis non sarebbe mai diventato commerciale. Sottsass sosteneva: in tutti i progetti che faccio sono io designer alle dipendenze dell’industria. Con Memphis voglio che l’industria sia dipendente dal design”. Finì come prevedibile. “Non divenne mai un’azienda commerciale. I compratori erano collezionisti, musei, gallerie d’arte. Erano oggetti molto artigianali, 40/50 progetti l’anno, e produrli, presentarli, venderli, non era poco. Senza Ernesto non ce l’avremmo mai fatta. Per fortuna Karl Lagerfeld il primo anno comprò l’intera collezione per arredarci interamente la sua casa di Montecarlo”.

 

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E adesso che ne sarà di Artemide? A differenza di altri gruppi, l’azienda è rimasta del tutto familiare. “E ci tengono molto a rimanerlo. Carlotta de Bevilacqua, ultima compagna di Gismondi, vice presidente e ceo, andrà avanti, consapevole di dover gestire una grande eredità, oltretutto in un mondo che sta cambiando. Pochi grandi gruppi che decidono tutto. Adesso il mercato che va per la maggiore è quello delle lampade ricaricabile, a batteria. Poi c’è tutto il mondo ‘contract’, quello delle lampade fatte per grandi progetti, grandi alberghi, aree pubbliche: un mondo in cui bisogna sgomitare per entrare in contatto con i grandi developer”. La storia di Gismondi con la sua terza e ultima compagna fu un piccolo scandalo nella Milano del design e da film della Wertmüller: “a un certo punto d’estate Ernesto scomparve da Filicudi, e nessuno sapeva più dov’era. Scappò con Carlotta, che stava, all’epoca, con Pierluigi Nicolin, architetto e direttore della rivista Lotus. Da allora non si sono più lasciati”.

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