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terrazzo

Andar per cimiteri

Michele Masneri

Luoghi monumentali, depositari di fascino non solo romantico ma a volte anche paesaggistico, specie quelli nordeuropei che somigliano più a parchi

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Non c’è solo il turismo di massa a esser stato rovinato dal Covid. Una sottospecie molto elegante e di nicchia – resa improvvisamente lugubre e sconveniente - è quella cimiteriale: luoghi monumentali, depositari di fascino non solo romantico ma a volte anche paesaggistico, specie quelli nordeuropei che somigliano più a parchi (rinomatissimi i picnic tombali al cimitero di Copenhagen). Chi, a Parigi, non è mai stato a portare un fiore sulla tomba di Chopin, Modigliani, Proust, Colette, Jim Morrison o della Callas? Nel Famedio del Monumentale di Milano riposano invece, fra gli altri, Manzoni, Guido Crepax, Dario Fo e Franca Rame, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci. All’Acattolico di Roma, Gramsci, Keats, e tutto un generone assai chic (secondo Oscar Wilde l’Acattolico è il vero, unico luogo sacro di Roma).

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Non c’è solo il turismo di massa a esser stato rovinato dal Covid. Una sottospecie molto elegante e di nicchia – resa improvvisamente lugubre e sconveniente - è quella cimiteriale: luoghi monumentali, depositari di fascino non solo romantico ma a volte anche paesaggistico, specie quelli nordeuropei che somigliano più a parchi (rinomatissimi i picnic tombali al cimitero di Copenhagen). Chi, a Parigi, non è mai stato a portare un fiore sulla tomba di Chopin, Modigliani, Proust, Colette, Jim Morrison o della Callas? Nel Famedio del Monumentale di Milano riposano invece, fra gli altri, Manzoni, Guido Crepax, Dario Fo e Franca Rame, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci. All’Acattolico di Roma, Gramsci, Keats, e tutto un generone assai chic (secondo Oscar Wilde l’Acattolico è il vero, unico luogo sacro di Roma).

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Ammiratori postumi e turisti artistici possono ammirare le migliori sculture del liberty italiano al cimitero genovese di Staglieno, coi capolavori di Leonardo Bistolfi, o quelle milanesi di Adolfo Wildt che riposa nello stesso cimitero in cui ha lavorato a lungo, in un’edicola disegnata da Giovanni Muzio. In generale i cimiteri, le città dei morti, sono lo specchio della vita e somigliano alle città in cui si trovano e alle forme sociali di derivazione. Ecco allora i vari cimiteri di Trieste (cattolico, ortodosso, ebraico, evangelico/anglicano, islamico, militare, armeno), quelli di Livorno (cui si aggiunge un raro cimitero olandese) e quello di Venezia che naturalmente è un’isola o meglio un arcipelago nell’arcipelago lagunare dove riposano Igor Stravinsky, Ezra Pound e Joseph Brodsky (ampliato ultimamente da David Chipperfield).

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I cimiteri ebraici meriterebbero un discorso a parte, separati come lo sono sempre almeno nelle città del centro-nord, il più bello senz’altro quello medievale di Ancona che è a picco sull’Adriatico e oggi parte del parco comunale del Cardeto. Una nicchia significativa è poi quella  dei cimiteri disegnati da archistar (cimitero nel bosco di Sigurd Lewerentz a Stoccolma, Tomba Brion di Carlo Scarpa a San Vito d’Altivole, cimitero di Modena di Aldo Rossi). Esiste ormai logicamente anche una vasta pubblicistica cimiteriale:  guide, saggi, elucubrazioni varie che vanno dalle fantasticherie morbose allo studio scientifico. A quest’ultimo gruppo appartiene La foresta che cammina. Le sepolture dei soldati tedeschi 1920-1970di Marco Mulazzani, che classifica decine e decine di sacrari che la Germania ha costruito non solo sul suolo patrio, ma in tutta Europa e anche in Africa, visto il raggio d’azione crescente delle operazioni belliche della Prima e Seconda guerra mondiale.

 

  

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Ovviamente sono anche molto diversi, da quelli spartani della Repubblica di Weimar a quelli megalomani nazisti, per terminare con quelli via via sempre più sobri del dopoguerra. La Repubblica Federale infatti non si sottrasse all’imperativo di onorare la memoria neppure di chi aveva sbagliato, obbedendo forse a un impeto archetipico, come ha scritto Elias Canetti in Massa e potere: “Il simbolo di massa dei tedeschi era l’esercito. Ma l’esercito era più di un esercito: era la ‘foresta che cammina’. In nessuna parte del mondo il senso della foresta è rimasto vivo come in Germania. La rigidità e il parallelismo degli alberi ritti, la loro densità e il loro numero riempiono il cuore tedesco di gioia profonda e segreta… L’inglese si vede volentieri ‘sul mare’; il tedesco si vede volentieri ‘nella foresta’; è difficile esprimere più concisamente ciò che li divide nel loro senso nazionale”. Sono circa una dozzina i cimiteri tedeschi costruiti in Italia, sparsi dalla Sicilia al Friuli-Venezia Giulia, in seguito alle guerre mondiali. Si apprende che l’ultimo è anche il più bello, perché antiretorico, quello sul passo della Futa sull’Appennino tosco-emiliano: nella sua semplicità segue le linee della collina senza sovrastarla, distinguendosi così per la “sua tormentata orografia, concreta espressione del destino di sofferenza, non di gloria, dei soldati”.

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