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Le Corbusier torna in Svizzera

Manuel Orazi

Al Teatro dell'architettura di Mendrisio una mostra sui primi schizzi, acquarelli e tentazioni dell'architetto e designer svizzero. Un romanzo di formazione in immagini 

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Lontano da anniversari e revival, il Teatro dell’architettura di Mendrisio progettato da Mario Botta dedica una mostra ai disegni giovanili di Le Corbusier (fino al 24 gennaio), o meglio a Charles-Édouard Jeanneret-Gris ovvero il ragazzo prodigio svizzero che girò in lungo e in largo l’Europa e parte del medio oriente fra il 1902 e il 1916, scoprendo il mondo esteriore e informando quello proprio interiore, vale a dire dandogli una forma. Lo scrive lui stesso: “Per l’artista, il disegno è l’unica possibilità di dedicarsi senza limitazioni alla ricerca del gusto, alle espressioni della bellezza e dell’emozione. Il disegno è lo strumento attraverso cui un artista cerca, scruta, annota e classifica, è strumento per servirsi di ciò che desidera osservare, capire e poi tradurre per esprimere… il disegno è anche un gioco”. Età delicatissima quella della formazione, decisiva perché decide di per sé il futuro di un uomo attraverso gli incontri e le esperienze più formative, appunto. E dunque 1902, anno di ingresso nella scuola di arti applicate nella sua città natale nel cantone francofono di Neuchâtel, citata niente poco di meno che nel Capitale di Karl Marx: “La Chaux-de-Fonds può essere considerata come un’unica manifattura orologiera”.

 

Infine 1916, anno di trasferimento a Parigi dove il giovane, mai laureatosi in Architettura (stigma dei maestri secondo Bruno Zevi), assumerà il nome universalmente noto di Le Corbusier a imitazione del suo primo maestro L’Éplattenier. Fu lui a stabilire ad esempio le tappe del suo primo viaggio in Italia del 1907: Milano, Firenze, Pisa, Siena, Ravenna, Venezia. E poi, Budapest e Vienna, dove prevalgono gli aspetti decorativi dei monumenti disegnati o acquarellati e non poteva essere altrimenti visto che veniva da una scuola di arti applicate, termine che peraltro Corbu detestava tanto che uno dei suoi primi libri si intitola L’art decoratif d’aujourd’hui (1925), presente in mostra, scritto appunto per correggere il concetto. Se fino al 1907 aveva disegnato la natura alpina, gli animali autoctoni come la vacca bernese in ossequio ai sentimenti del padre, alpinista patriottico, nel 1907 scopre l’architettura nel modo più genuino possibile disegnandone o acquarellandone cioè non solo gli aspetti esteriori, ma pian piano anche quelli più interiori come i dettagli costruttivi e la tettonica specie nel Viaggio d’Oriente del 1911 dove ha l’epifania del Partenone (“un cubo rosso”), costruendo nel viaggio di avvicinamento un vero e proprio repertorio di soluzioni spaziali e materiali cui attingerà per tutto il resto della vita. Nel bel saggetto di Jacques Gubler che accompagna la guida alla mostra, si spiega bene come tutti questi disegni e quadri giovanili, provenienti da collezioni private svizzere, siano capitoli di un unico romanzo di formazione disegnato, avvincente specie per gli studenti di architettura che si trovano nella medesima condizione esistenziale.

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Il giovane Corbu è qui ancora tentato dalla pittura e dalla scultura – arti che riprenderà in età matura, dipingendo al mattino e scendendo nello studio professionale al pomeriggio – e tutta l’opera fa risaltare la ricchezza dei suoi colori. Per un pregiudizio dovuto alla pubblicazione su riviste e libri in bianco e nero, abbiamo infatti creduto per decenni che tutta l’architettura moderna fosse in bianco e nero, da Alvar Aalto a Giuseppe Terragni, e invece il suo campione ci dimostra quanto quello sul colore fosse un lavoro certosino e quotidiano parallelo e non inferiore a quello sul disegno: bene ha fatto Marco Della Torre a inserire i riquadri della palette lecorbusieriana lì dove serviva, una sorta di pantoni d’autore che poi verranno usati in moltissimi progetti fino a quelli trionfali del dopoguerra a Chandigarh, la capitale del Punjab. Sono in corso di pubblicazione tutti i disegni di Le Corbusier, a cura di Danièle Pauly, che è anche la curatrice della mostra, quattro volumi preziosissimi. In tempi di spostamenti limitati è infatti prezioso riflettere sull’importanza formativa, insostituibile del viaggio e del suo bon usage, come scrive ancora Gubler: “se lo schizzo è lo sviluppo di una scrittura personale, allora la questione conclusiva diventa: chi ammiro? E chi copio?”

 

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