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Ghosn fuori custodia

Michele Masneri

Oltre alla fuga c’è di più. La pirotecnica conferenza stampa del manager che accusa la (mala) giustizia giapponese

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Non si sa se Favino abbia altri impegni, dopo “Hammamet” appena uscito al cinema, ma si deve assolutamente preparare. La fuga rocambolesca di Carlos Ghosn (pronuncia come gone, andato, partito proprio), il manager franco-libano-brasiliano scappato chiuso in baule non è infatti stata ancora opzionata da Netflix. Questa la notizia-chiave della conferenza stampa fiume tenutasi mercoledì a Beirut.

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Non si sa se Favino abbia altri impegni, dopo “Hammamet” appena uscito al cinema, ma si deve assolutamente preparare. La fuga rocambolesca di Carlos Ghosn (pronuncia come gone, andato, partito proprio), il manager franco-libano-brasiliano scappato chiuso in baule non è infatti stata ancora opzionata da Netflix. Questa la notizia-chiave della conferenza stampa fiume tenutasi mercoledì a Beirut.

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Nella capitale libanese dove si è autoesiliato l’ex re di Renault-Nissan, il più grande manager automobilistico del mondo, si è concesso a cento giornalisti accorsi da ogni dove, parlando con la consueta modestia di sé in terza persona, mostrando gigantografie di atti giudiziari, alternando inglese, arabo, francese e portoghese. Il manager si è vantato di aver risollevato in passato una compagnia decotta, la Nissan, e di aver avuto in cambio questa bella ricompensa, le manette. Ha gigioneggiato sugli “oltre venti libri scritti su di me”, e poi soprattutto ha sferrato un attacco frontale al sistema giudiziario giapponese. 

 

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Sono fuggito non dalla giustizia, ma dalla malagiustizia”, ha detto Ghosn, accusato di aver preso una mega liquidazione in nero (140 milioni di dollari), e di averne sottratti altri 5 dalle casse aziendali. Lui però si considera perseguitato da un sistema giudiziario che “viola i più basilari principi di umanità”, ha detto, specificando come si sentisse “un ostaggio”. Ghosn è stato tenuto infatti in manette e poi con “una specie di guinzaglio”, insomma è stato trascinato in ceppi, nipponici ma sempre ceppi. Pare che in Giappone sia talvolta come in Italia, “il processo è la pena”, come diceva il grande avvocato Carnelutti. Grande manager, grande pena (preventiva): Ghosn si è fatto comunque 4 mesi di carcerazione senza processo, un classico per il sistema giudiziario giapponese, famoso per essere sbilanciato tutto sul lato dell’accusa. Il sistema dell’hitojichi-shiho o “ostaggio di giustizia” prevede che l’imputato sia messo dietro le sbarre finché non si autoaccusi del reato di cui è imputato. Conoscendo come vanno le cose molti imputati confessano immediatamente. Se poi sei un ricco manager straniero, sei fregato. Negli anni Ottanta, ricorda il Guardian, un top manager di nome Hiromasa Ezoe fu accusato di frode e si rifiutò di confessare. Dopo dieci anni di processi, fu riconosciuto innocente. Nel 2010 ha pubblicato un libro, “Dove sta la giustizia?”, in cui descrive il sistema giapponese come privo della presunzione di innocenza, e dove gli imputati sono quasi automaticamente considerati colpevoli. Il 99 per cento delle accuse si risolve in condanne, e i giudici praticamente obliterano le richieste dei pm.

 

Ghosn ha fornito tutto questo ai giornalisti, ma sui media internazionali è passata più la sua storia romanzesca, e sui giapponesi invece non è passato nulla, perché il famigerato manager è considerato un membro privilegiato delle élite, per di più straniere, dunque al paese reale-imperiale non gliene può fregare di meno.

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Protetto dalle autorità locali e dalla mancanza di un trattato di estradizione col Giappone, se ne sta a Beirut da uomo pieno di energie, lontano dal declinante Bettino Craxi portato al cinema da Gianni Amelio in “Hammamet”: eppure le similitudini sono tante, e seducenti. Nessuno ha ancora capito che giudizio dare della vicenda. C’è anche la tesi del complotto, quello degli “individui vendicativi e senza scrupoli” che avrebbero rimestato per arrivare al suo arresto, ha detto Ghosn, intendendo i piani alti della Nissan che non volevano che Renault arrivasse a uno strapotere nella conglomerata Renault-Nissan-Mitsubishi su cui Ghosn regnava. Lui era infatti l’uomo forte arrivato da Parigi a comandare dopo che il gruppo francese aveva messo su il primo produttore mondiale di auto del mondo, con leadership dell’elettrico, e la prospettiva di inglobare anche Fca (ma le trattative si bloccarono proprio dopo il suo arresto, ha detto il manager).

 

Che non è sicuramente uno stinco di santo: l’anno scorso si è accordato per pagare 1 milione di dollari alle autorità americane per chiudere la stessa vicenda, e non potrà più dirigere una compagnia quotata per dieci anni. Ma il Daspo da Wall Street non è bastato. In Giappone hanno preferito arrestarlo, nel novembre 2018. Carcerato, poi rilasciato su cauzione, poi nuovamente imprigionato ad aprile 2019, dopo aver annunciato una conferenza stampa in cui avrebbe annunciato la sua versione dei fatti.

 

Ma la vicenda giudiziaria sbiadisce rispetto al colore, tra Balzac e Graham Greene: ecco la questione della festa a Versailles, la festa stile Maria Antonietta per i 50 anni della seconda moglie Carole, nella ex reggia francese, duecento persone con Alain Ducasse a cucinare per tutti, pagati secondo l’accusa da Renault-Nissan, mentre per Ghosn si trattò di una cortesia istituzionale, dato che il gruppo era sponsor del palazzo (sul filone gourmand indagano i francesi). Insomma, nella sua Beirut-Hammamet Ghosn si ritiene esiliato, mentre i giapponesi lo considerano un fuggitivo come gli altri. Altrove è un eroe: in Francia c’è un comitato di liberazione, in Libano dove è cresciuto è stato immediatamente ricevuto dal presidente Michel Aoun, e circolano cartelloni con la scritta “Siamo tutti Carlos Ghosn”.

 

E poi la fuga leggendaria: in autunno, ha detto Ghosn al Times, i suoi avvocati gli hanno spiegato che il suo caso sarebbe durato almeno cinque anni, “una violazione del diritto a un’equa durata del processo”, secondo il magnate. Ma la decisione finale di fuggire l’avrebbe presa solamente il mese scorso, dopo il rifiuto da parte del tribunale di poter passare le vacanze natalizie con sua moglie. Così il piano è partito: squadre di ex militari prezzolati hanno studiato i migliori (cioè peggiori) aeroporti tra Tokyo e Osaka, e poi via. Il giorno prima della partenza, il 29 dicembre, Ghosn ha cenato nel suo ristorante preferito di Tokyo, si è fatto una bella foto insieme ai dipendenti, ed è andato a dormire tranquillo. Poi la storia è abbastanza nota: lo scalo a Istanbul dopo un primo volo privato da Osaka in cui è arrivato in una cassa per strumenti musicali. A Istanbul cambio di aereo e destinazione Beirut (quanta CO2). Una squadra speciale di 15 persone ha gestito tutta l’operazione. Ghosn ha detto che organizzare la sua fuga “dalla malagiustizia giapponese” è la cosa che l’ha tenuto vivo in questi mesi. “Ricordati sempre cosa ti hanno fatto, non dimenticartelo mai”, si diceva per tenersi su. Finora il film ha avuto un lieto fine.

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