Il secolo di Castiglioni

Michele Masneri

Alla Triennale di Milano si inaugura la grande mostra per i cento anni del designer milanese (1918-2002)

C’è Castiglioni in Triennale! Per il centenario della nascita, la Triennale di Milano dedica ad Achille Castiglioni (1918-2002) una grande mostra curata dall’allieva Patricia Urquiola (che nel 1989 si laurea con lui al Politecnico di Milano), insieme a Federica Sala. La mostra, a pochi metri da quello che era lo studio di Castiglioni a piazza Castello, cerca di raccontare il mondo castiglionico non in ordine cronologico ma attraverso “zone” e “percorsi” e “temi” che intersecano il lavoro del più poliedrico designer italiano del Novecento.

 

Si può partire da “Comunicare”, con gli allestimenti fieristici, tantissimi e geniali che lo vedono “consulente artistico” per la Rai dal 1950 al 1969 con stand di massima eleganza per la radiotelevisione nazionale; “Costruzioni” (studi sui materiali “nuovi” come il poliuretano, utilizzato per la poltrona finta-comme-il-faut “Sanluca”); “dislivelli”, studi domestici di “interni totali”, a Villa Olmo (1957, una specie di incubatore o acceleratore di progetti castiglionici: lo sgabello Mezzadro, la poltrona Cubo, lo sgabello color “Gazzetta dello Sport” poi conosciuto come Sella, la lampada da terra Luminator, tutto ancor oggi in produzione), la birreria immaginifica Splügen Bräu di Milano dove disegna tutto, dalle lampade poi celebri per Flos ai condotti dell’aria condizionata all’invenzione dei soffitti industriali “a vista” a panchette da Neuschwanstein milanese (con insegna by Max Huber, 1960).

 

Poi ancora: “Forse non tutti sanno che”, con la leggendaria accumulatoria castiglionica, lo studio degli oggetti figli di nessuno, “mettilo lì che poi matura”, diceva di oggetti comuni, primordiali. “Ci troviamo d’innanzi a degli oggetti banali, banali nel senso che sono comuni, però̀ alle spalle hanno tutta una evoluzione”, sosteneva. Wc, banchi da scuola, miscelatori, maniglie, vasi e vasetti, che sempre accoglie e talvolta addirittura modifica e nobilita con sommo understatement. Come con l’interruttore rompitraccia che si trova ancor oggi su certe lampade, disegnato insieme al fratello Pier Giacomo nel 1968. Piccolo monumentino di modestia, con un doppio guscio di plastica dagli angoli arrotondati e una scanalatura circolare per il nottolino; diffuso in tutto il mondo, intuitivo anche al buio, dotato persino di un “bel rumore”, summa progettuale castiglionica. E il celebre cucchiaio per maionese sagomato sulle curve di un barattolo per raccogliere fino all’ultima goccia. E poi ancora, altre categorie: “Fumo” – coi celebri posacenere d’acciaio a molla Alessi, “Geometrie” con gli studi quasi scultorei sulla lampada Arco dove il funzionalismo lombardo incontra la classicità del marmo di Carrara (con foro per poter sollevare il mammozzone con un manico di scopa); “Innovazioni”, in tutti i settori, anche radiofonico con le leggendarie radio monumentali per Brionvega; e lampade rivoluzionarie Taraxacum per Flos fatte spruzzando polimeri su lampadari che ruotano tipo zucchero filato; “Keep it simple”, con la Parentesi, la lampada che sta su solo con l’attrito di componenti comuni come la corda metallica, il gancio a espansione a soffitto e il tenditore in acciaio da barca, tutto in pochi pezzi, da montare facilmente, venduti in un packaging ergonomico in plastica (disegnato dallo stesso Castiglioni); e poi “L’è un Gran Milan”, gran finale, per rendere omaggio al Gran Lombardo del design italiano.

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