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Leggere le categorie di Netflix & Co. è ancora divertente, poi arriva l'abbiocco

Mariarosa Mancuso

La serialità televisiva è diventata un eterno ritorno, un'industria di cloni. Tutto suggerito dall'algoritmo

La vertigine della scelta. Sembra che l’essere umano sia in grado di scegliere con soddisfazione tra una dozzina di possibilità soltanto. Numero abbastanza alto per solleticare la voglia di varietà, e abbastanza basso da essere governabile. Sotto la dozzina, siamo delusi (“c’era poco da scegliere”). Sopra la dozzina, siamo confusi (soprattutto se abbiamo il sospetto che due cose siano abbastanza simili, che a noi ne piacerà davvero una soltanto, e non riusciamo subito a capire quale).

La pagina d’apertura di Netflix propone 140 titoli. Appena ne scegliamo uno, ne sputa fuori un’altra decina: “Se ti è piaciuto questo allora guarda questo”. All’algoritmo non importa se non abbiamo ancora afferrato cosa succede nelle prime scene della serie prescelta. Parlando di film, segna tra i titoli “visti” la manciata di minuti che prelude all’abbiocco. Per le serie forse è un pochino più paziente, ma certo non arriva all’intero episodio, per breve che sia. Siccome oltre a Netflix quasi tutti abbiamo Prime Video, Disney Plus, Apple Tv, e guardiamo on demand Sky Atlantic (che riprende le serie di Hbo Max, e ancora non è sbarcata da noi Hulu), la confusione sfiora il delirio. 

Volendo fare una scelta ragionata, la serata trascorre mandando messaggi agli amici, in cerca di consigli: “Qual era la serie che ti era piaciuta tanto?” (di solito era piaciuta da impazzire qualche settimana prima, quindi neanche ricordano più il titolo). La serata trascorre così, sapendo che il giorno dopo arriveranno altre novità – se siete in questo mood da indigestione, meglio non scorrere le liste delle uscite mensili o settimanali. Nuove serie, nuove stagioni, titoli di film che paiono scelti a casaccio (sempre meno, comunque: gli acquisti non rientrano nel modello di business, meglio produrre in proprio, e puntare agli Oscar). Nel catalogo statunitense sono molti di più: un supermercato dove le corsie sono fantasiose. Esiste la categoria “film che durano meno di 90 minuti”, mentre “Brian di Nazareth” dei Monty Python sta tra i titoli adatti al consumo familiare. Leggere le categorie diventa un divertimento a sé, se non un lavoro, e nel mentre davvero si crolla sul divano.

In materia di categorie e di “argomenti di vendita” –  le righe che gli editori mettono in fondo alle schede delle novità, onde segnalare al libraio che sarà facile smerciarlo perché la scrittrice ha già venduto altri libri, o sono previsti passaggi televisivi da Fabio Fazio o da Bruno Vespa – spicca su tutti Mubi, piattaforma streaming che tende al cineclub. Per evitare lo smarrimento, ogni giorno propone un titolo. Del resto sarebbe difficile orientarsi tra oscuri registi dell’est Europa o giovani geni arrivati dall’oriente. Ogni tanto la pesca miracolosa riesce. 

Speranze per il futuro? Non immediate. La Entertainment Guide di Polygon chiarisce subito che il 2021 è stato un anno generoso,  ma il 2022 lo sarà anche di più. Brivido. Una decina di titoli nuovi solo a gennaio. Altro brivido. Vabbè, allora qualcosa troveremo, scavando (o facendo scavare i professionisti). Basta un’occhiata per capire che non sarà facile.  La serialità televisiva – tranne rare eccezioni – sta diventando un’industria di cloni. L’Eterno Ritorno dell’Identico fatto serie tv. Il successo di “Euphoria” produce belle ragazze drogate. La fine di “Game of Thrones” genera storie medievali, con o senza streghe ma sempre nel semibuio. Ridere si ride poco, ormai è proibito. Va parecchio il soprannaturale, da chi scrive fuggito come la peste bubbonica. Per non parlare degli indigesti mischioni suggeriti dall’algoritmo: teen drama con naufragio, fantascienza con ricette di cucina.

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