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I nostri premi a Sanremo

Simonetta Sciandivasci

Situazionismo, spirito del tempo, frasi da ricordare, fuori onda e altre chicche da conservare  per ricordare il Festival. I riconoscimenti ufficiali li conoscete, questi sono i nostri. Un catalogo pazzo

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Cari lettori, pagelle festivaliere non ne abbiamo fatte, ma qualche premio, senza pretese, lo elargiamo anche noi in paese. 

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Cari lettori, pagelle festivaliere non ne abbiamo fatte, ma qualche premio, senza pretese, lo elargiamo anche noi in paese. 

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Miglior canzone: “Bianca Luce Nera” degli Extraliscio con Davide Toffolo. Ci scuseranno i Maneskin, ma noi siamo semi anziani, ci manca il liscio e ci manca il punk, che in fondo non sono slegati, non proprio a caso i CCCP dicevano “non a Berlino ma a Carpi”, intendendo che per fare la rivoluzione o avere almeno un’avventura, si può anche stare a casa propria, si può fare il punk con il liscio e viceversa. Preveniamo le ire dei puristi specificando che sì, sappiamo che Carpi è in Emilia e il liscio è romagnolo, ma siamo in fluid, abbiate pazienza.

 

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Premio a tutto a Fiorello. 

Premio a tutto, pari merito, ad Amadeus. 

 

Migliore strofa: “Mi ricordo di te, mi vedevano ridere sola, ma eri te, ho baciato un foglio bianco e la forma delle mie labbra ha scritto da dove nasci tu e che non morirai e se negli occhi delle serrande si stenderanno e io sparirò, l’ultimo soffio di fiato darà la voce a quella che è l’unica cosa più viva di me, voglio che viva a cent’anni da me perché in giro mi chiedono di me e mi chiedo di te anch’io”. Madame, naturalmente. 

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Premio Kamikaze a Beatrice Venezi, la più giovane direttrice d’orchestra d’Europa, la quale, quando Amadeus le ha chiesto come volesse essere chiamata, se direttore e direttrice (come siamo ridotti), ha risposto che per lei conta il talento e, soprattutto, che “le professioni hanno un nome preciso e nel mio caso è ‘direttore d’orchestra’. Mi assumo la responsabilità di quello che sto dicendo”.

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Premio Loredana Bertè a Loredana Bertè. 

  

Premio Roxy Bar a Orietta Berti. Non ha lesinato sulle paillettes; si è fatta beccare dai carabinieri mentre sgattaiolava dalla sarta dopo le dieci di sera, in pieno coprifuoco; ha allagato la stanza del suo albergo; ha chiamato Naziskin i Maneskin, dicendo candidamente che ci avrebbe cantato assieme molto volentieri, e quando le è stato fatto notare che aveva sbagliato il nome degli ancora non vincitori, è andata da loro a scusarsi personalmente, mica come facciamo noialtri barbari, che ci scusiamo con un tweet. Orietta, vita maleducata di una signora impeccabile. 

  

  

Vincitrice fuori concorso, Ornella Vanoni. Vincitrice a vita. 

 

Miglior arrangiamento. Prego? Ma non scherziamo, siamo mica di quelli che nei film notano il montaggio. Chiedetele a Scanzi queste cose, no? 

  

Martire del Codacons per il biennio ’19-’21: Chiara Ferragni, la quale ha fatto quello che qualsiasi moglie, amica, parente, segretaria, conoscente, affine di un partecipante al festival avrebbe fatto e fa: chiedere di votarlo. Ferragni ha raccomandato ai suoi follower, 22 milioni e passa di anime, di televotare Fedez e s’è aperto il cielo, il solito cielo, la solita pioggia, e poi scuse, accuse e scuse, senza ritorno: la par condicio violata, la meritocrazia umiliata, il familismo amorale. 

  

  
Imperatrice: Elodie. 

Imperatore: Elodie. 

 

  

Premio alla mascolinità tossica a Zatlan Ibrahimovic, che avendo noi tutti il patriarcato introiettato abbiamo amato follemente. Non è più vero che ogni donna ama un fascista: da oggi, ogni donna ama un esteuropeo. 

 

Targa all’ubiquità. Elisabetta Sgarbi, tra gli autori del testo degli Extraliscio. Dove questa donna non mette mano, in questo paese, non nasce il sole. Viva Betty.

  

Migliori tweet dall’Ariston: Ghemon. “Ma se arrivo penultimo a fine festival, retrocedo a “Sanremo Giovani”, giusto?”; “Ho vinto, non mi pare vero”; “Vabbè, ma ci credo che hanno vinto i Maneskin. Erano in quattro, io ero da solo, facile così”. 

 

    

Miglior tweet da casa: Ester Viola: “Draghi, sentimi, durante il prossimo medley di Elodie prendeteci la patrimoniale”. 

  

Achille Lauro spiegato bene: Guia Soncini: “Lo scorso festival aveva come ospite fisso Tiziano Ferro, l’ultima popstar italiana, uno che la la voce e il repertorio e i ritornelli che sapremmo riprodurre al karaoke e almeno una decina di canzoni che tutti conosciamo; questo festival aveva come ospite fisso Achille Lauro, uno che ha uno stylist”. 

  
Miglior fuori onda: Emanuela Fanelli, attrice, prima di salire sul palco insieme a Francesco Pannofino, ospite come lei de Lo Stato Sociale nella sera delle cover, manda per sbaglio un vocale al suo assicuratore. Lo scrive su Instagram, condivide il vocale, ride nel pianto, Repubblica ci fa un pezzo. 
Vedete che succede a fare le persone serie?

  

Oscar all’hackeraggio: Papa Francesco va in Iraq, Raiuno trasmette la diretta della messa che dice a Erbil, rubando molti minuti a Mara Venier, che infatti è costretta a disdire la tradizionale esibizione di tutti i concorrenti nel suo salotto a “Domenica In”. Elisabetta Sgarbi s’arrabbia e Mara le rimprovera di non avere rispetto per il Pontefice. 

  

Premio Achille Occhetto a Claudio Baglioni, il primo a portare l’indie all’Ariston, anche se tutti i meriti vengono dati ad Amadeus, che è arrivato quando gli incendiari erano già belli che pompieri. 

  

Miglior sit in. Lo Stato Sociale. Probabilmente sono stati loro a ispirare il camping delle sardine al Nazareno. 

  

  

Premio Romano Prodi a Lodo Guenzi, che retrocede da frontman de Lo Stato Sociale, senza comunicati, avvocati, Instagram Stories. 

   

Corona all’antipatia per Colapesce e Dimartino. Una a testa, facciamo due. Per sicurezza. 

  
Ripescato illustre: Fausto Leali, che finita la diretta pare abbia costretto la povera Cinquetti a chiacchierare per ore e ore dei bei tempi andati, il Pleistocene, e di quelli di là da venire. Irriducibile. 

   

Campione di sottovalutazione. Fulminacci. 

  

Campione di sopravvalutazione. Achille Lauro. 

  
Telegatto a Francesca Barra e Claudio Santamaria, per la migliore rievocazione del Bagaglino risultata dal riadattamento (ma perché) del balletto di Uma Thurman e John Travolta in “Pulp Fiction”, durante il secondo coso di Achille Lauro. 

 

Premio tu la mia canzone la lasci stare a Samuele Bersani, il quale, onde evitare che Willie Peyote gli straziasse “Giudizi universali”, l’ha cantata con lui, praticamente quasi per intero. 
Mille e lode. 

  
Trittico #nomidimerda: La Rappresentante di Lista; Random; Willie Peyote. Poi non lamentiamoci se Berti non vi chiama per nome. 

  

Miglior appropriazione culturale: la musichetta gitana che ha accompagnato tutti gli ingressi di Ibra. Immaginate se al posto suo ci fosse stato Will Smith 

 

Premio cancel culture e Barbara Palombelli, che durante il suo monologo ha detto che in Italia, negli anni Sessanta, non c’erano droghe. 

 

Premio Elena Ferrante a Gaia e Lous and The Yakuza, per l’interpretazione di “Mi sono innamorato di te” di Luigi Tenco. 

 

Miss incanto, Malika Ayane.  

 

Ospiti sgradevoli: Alberto Tomba e Federica Pellegrini.

 

Premio ma che davero a Gigi D’Alessio, sul palco in piumino, circondato da trequattro bravi ragazzi di Posillipo, anch’essi in piumino. 

 

Vincitrice del Lucca Comics: Casadilego. 

 

Record di vessazioni: Amandoti dei Cccp, stavolta straziata da Manuel Agnelli, una vita a torso nudo, secondo solo all’arazzo di Ferragni, e i Maneskin, durante la serata delle cover, che quest’anno è stata per metà uno strazio e per metà una sorpresa, come un secondo appuntamento. 

 

    

Miglior medley: Michielin e Fedez, i quali, furbescamente, dovendo camuffare l’incapacità interpretativa di Fedez, hanno proposto un Frankenstein con dentro più di cinque pezzi, una canzone per ogni verso, hanno cioè adottato l’infallibile metodo tris d’antipasti che usano certi ristoratori quando ti propinano un menù di assaggi, così non hai modo di sentire il sapore di niente, tutto ti sembra buonissimo e invece fa schifo.   

 

Miglior verso sulla condizione femminile ieri, oggi, domani: “Metà sono una donna forte decisa come il vino buono, metà una venere di Milo che prova ad abbracciare un uomo”. Fiamme negli occhi, Coma_Cose.

   

Premio e ci dispiace per gli altri ai Coma_Cose, che hanno cantato guardandosi negli occhi, fuoco nel fuoco, uno di fronte all’altra, nudi da vestiti, infuocati da spenti, uniti divisibili. Alla fine dell’ultima esibizione, lei ha teso la mano a lui, all’anulare aveva una candela, lui l’ha accesa e lei ci ha soffiato su. 

 

    

Miglior passata inosservata: Vittoria Ceretti, co-conduttrice della terza serata. E va bene che il palco era orfano inconsolabile di Elodie, ma forse si sarebbe potuto fare qualcosa in più per non retrocedere ai tempi delle vallette, quando era lecito scrivere, senza finire in tribunale, che il loro era “un mestiere non troppo difficile” (Natalia Aspesi a un lettore trentenne che, nel febbraio del 1995, le chiedeva come fare per liberarsi della sua ossessione per Claudia Koll).

   

Migliore inserto: la raccolta di ritratti dei concorrenti fatta dai loro colleghi, pubblicata sull’ultimo numero di Rolling Stone, quello con Madame in copertina. Tra le chicche: Malgioglio su Orietta Berti, Gazzelle su Fulminacci, Enrico De Ruggeri su Ermal Meta. 

  

Miglior verso sullo Zeitgeist: “Metti un po’ di musica leggera perché ho voglia di niente, anzi leggerissima”, Colapesce e Dimartino. Secondo classificato: “La gente purtroppo parla”, Maneskin. 

 

Miglior performance situazionista: Max Gazzè che si sbottona la camicia, resta in maglietta di Superman e si lancia sulle poltrone vuote della platea. 

  

Premio Meghan Markle a Willie Peyote, che a festival finito ha detto che Francesco Renga ha “cagato sul microfono”; Ermal Meta è stato un ruffiano per aver cantato “Caruso” di Dalla la sera delle cover; Barbara D’Urso, avendo condiviso il suo pezzo, non deve averlo capito. 

  

A Fasma dovremo pur dare qualcosa, poverino, ma cosa? Scriveteci. 

  

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