Fabio Fazio (foto LaPresse)

Nella Rai sovranista l'unica idea chiara è cosa censurare, per il resto buio pesto

Luciano Capone

Panico a Viale Mazzini: via Fazio, ma che mettiamo al suo posto?

Roma. Il problema della nuova Rai non è tanto la chiusura di programmi indigesti, ma cosa metterci al loro posto. Perché è facile individuare cosa non piace, cosa va eliminato, i conduttori “buonisti” e le trasmissioni della sinistra “radical chic” ad esempio. Ma per sostituire format e personaggi televisivi che fanno ascolti bisogna avere idee e trovare nuovi volti capaci di rappresentarle. E’ forse questo ciò che distingue la censura dal cambiamento: il successo di ciò che viene dopo. Lavorare per sottrazione è semplice, aggiungere un pochino più complicato.

 

Fabio Fazio e la chiusura anticipata di “Che tempo che fa” sono un caso emblematico. Matteo Salvini non ha fatto mistero di non gradire la trasmissione, non solo perché non ci ha mai voluto mettere piede, ma perché dall’inizio dell’anno ha sferrato nei suoi comizi almeno ottanta attacchi pubblici contro Fazio, tanto da farlo diventare un tema della campagna elettorale europea. Si è deciso quindi di terminare prima la trasmissione e di togliere di mezzo Fazio, quanto meno da Rai 1.

 

Il primo ostacolo è che il conduttore ha un contratto che scade nel 2021, quindi alla fine una soluzione potrà essere lo spostamento su Rai 2 o su Rai 3, decisione che consentirebbe di sfoltire il budget (in nome dell’austerity anticasta). Per rimuovere, sottrarre o spostare, un modo lo si trova sempre. Le complicazioni arrivano quando bisogna decidere cosa mettere al suo posto: serve qualcosa che duri tre ore e che faccia gli stessi ascolti nella fascia di prime time sulla rete ammiraglia. L’idea che circola in Rai al momento è di metterci una fiction, che però ha un costo di circa 700 mila euro l’ora, più un quiz. Non si sa cosa, quindi, ma di certo una soluzione del genere verrebbe a costare circa 30 milioni di euro a stagione, molto di più di “Che tempo che fa” che costa 410 mila euro a puntata per un totale di 13 milioni l’anno. La Rai si troverebbe quindi a spendere più del doppio, al momento senza un’idea definita e senza la certezza di poter replicare gli ascolti di una trasmissione storica e con un pubblico consolidato. Alla fine la campagna elettorale di Salvini e la volontà di tagliare di qualche centinaia di migliaia di euro il budget affidato alla casa di produzione di Fazio potrebbe costare molto cara, considerando appunto che la trasmissione batte due volte su tre la concorrenza (nell’ultima puntata “Che tempo che fa” ha fatto 4 milioni di telespettatori, doppiando la concorrenza di Canale 5).

 

Il caso Fazio non è altro che la replica del film già visto su Rai 2. Con l’arrivo del sessantottino e neogrillino Carlo Freccero, in perfetta sintonia con il post-missino e neosalviniano Gennaro Sangiuliano al Tg2, è partito l’esperimento della costruzione della prima rete sovranista a motore ideologico rossobruno. La parte facile è stata quella di togliere: via il tg satirico di Luca e Paolo, via Costantino della Gherardesca da Pechino express e via pure, aveva annunciato Freccero, Ncis perché è roba americana (“meglio una replica italiana che fa poca audience”), anche se poi è rimasto. Quando si è passati a riempire i vuoti di idee e contenuti le cose non sono andate benissimo: “Tg2 Post” non decolla; “Povera patria” – il programma di approfondimento sovranista e signoraggista – va maluccio ed è stato spostato; “Popolo sovrano” è già stato chiuso per gli ascolti molto bassi (Freccero dice che è colpa di Bruno Vespa). Lo scapigliato direttore di Rai 2 aveva pure annunciato un programma chiamato “L’ottavo blog”, che doveva dare spazio ai complottisti, alla cosiddetta informazione “alternativa”. Ma nessuno è riuscito a dare una forma alla scombiccherata idea frecceriana, che a un certo punto prevedeva un confronto tra giornalisti “mainstream” e quelli “alternativi” moderati da un giornalista che fosse entrambe le cose o nessuna delle due (si era pensato, ovviamente, a Luca Telese). Si sarebbe trattato, insomma, di una specie di “Gabbia” di Paragone. Alla fine, anche a causa dei precedenti insuccessi, il progetto è sospeso (in attesa della scadenza del contratto di Freccero) per motivi economici: non tanto per le risorse che servono a fare il programma, ma per quelle che rischia di far perdere.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali