PUBBLICITÁ

sound check

Fortnite vs Apple e Google, le nuove sfide del mercato digitale

Lorenzo Borga

Nello scontro in atto per molti è in gioco il principio della concorrenza, per altri la libertà d’impresa. Una possibile via d’uscita

PUBBLICITÁ

Un videogioco di azione per giovanissimi contro le più grandi aziende al mondo. Quella tra Fortnite, un videogioco sviluppato dall’azienda americana Epic Games con 350 milioni di utenti nel 2020, e il duo Apple-Google è una vera e propria guerra commerciale. A metà agosto sull’app mobile di Fortnite è stata offerta agli utenti Apple e Android l’opzione di fare gli acquisti attraverso le normali carte di credito o Paypal. Fino ad allora infatti l’unico canale per farlo era il metodo di pagamento affiliato ad Apple (se iOS) o Google (se Android). Una situazione che stava stretta a Epic Games, perché richiedeva che il 30 per cento di tutti gli importi fosse incassato dai giganti tecnologici che facevano da intermediari. Per la novità Fortnite è stata bannata in poche ore prima dall’Apple Store e poi anche dal Google Play Store dei cellulari e tablet Android per la stessa ragione.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Un videogioco di azione per giovanissimi contro le più grandi aziende al mondo. Quella tra Fortnite, un videogioco sviluppato dall’azienda americana Epic Games con 350 milioni di utenti nel 2020, e il duo Apple-Google è una vera e propria guerra commerciale. A metà agosto sull’app mobile di Fortnite è stata offerta agli utenti Apple e Android l’opzione di fare gli acquisti attraverso le normali carte di credito o Paypal. Fino ad allora infatti l’unico canale per farlo era il metodo di pagamento affiliato ad Apple (se iOS) o Google (se Android). Una situazione che stava stretta a Epic Games, perché richiedeva che il 30 per cento di tutti gli importi fosse incassato dai giganti tecnologici che facevano da intermediari. Per la novità Fortnite è stata bannata in poche ore prima dall’Apple Store e poi anche dal Google Play Store dei cellulari e tablet Android per la stessa ragione.

PUBBLICITÁ

 

Non è una notizia nuova che chi ha fatto dell’innovazione il proprio mantra negli ultimi tre decenni ora sia sotto accusa per pratiche anti-concorrenziali, cioè l’opposto stesso dell’innovazione. L’audizione di Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Tim Cook e Sundar Pichai è solo di alcune settimane fa. Nonostante questi comportamenti assomiglino a pratiche che sono state sanzionate negli anni scorsi, non tutti sono però convinti che si tratti di lesioni alla concorrenza. In nome della libertà di impresa, c’è chi ritiene le pratiche di Apple e Google legittime, sulla base di un principio semplice: loro le piattaforme, loro le regole. Perché – si chiede chi ha questa posizione – lo stato dovrebbe intromettersi in affari di compagnie private che hanno basato il proprio successo sull’apprezzamento dei propri prodotti tra il pubblico?

 

PUBBLICITÁ

Si potrebbe rispondere a questa obiezione che la libertà termina dove inizia la libertà degli altri, anche nel mercato. Ma la questione è ovviamente più complessa. E seria: dopo Fortnite si sono rafforzate le voci di critica anche da parte di altre aziende, in particolare contro le pratiche dell’App Store di Apple (visto che Android invece è più poroso e meno centralizzato, e l’approvazione di Google è quindi meno determinante). Si tratta di colossi tecnologici alla pari (e loro stessi, ora o in passato, sotto accusa per pratiche anti concorrenziali): Microsoft e Facebook. Facebook da settimane sta criticando i criteri utilizzati da Apple per l’accesso al proprio mercato delle app. L’azienda di Mark Zuckerberg ha lanciato un proprio portale per permettere agli utenti di seguire le dirette dei giocatori “broadcaster” che si filmano mentre utilizzano videogiochi e di giocare a propria volta, ma per l’Apple Store è stata costretta a rimuoverne una parte. Facebook ha infatti dichiarato che la pubblicazione dell’app integrale è stata rifiutata più volte dall’azienda di Cupertino negli ultimi mesi. Lo stesso starebbe per accadere a Microsoft, che sta per lanciare xCloud: una piattaforma per giocare in streaming, cioè attraverso una connessione di rete e non il download dei file, ai videogiochi. Il cloud gaming permette infatti di godersi un gioco sfruttando la connessione a internet, senza dover installare il software. Si può quindi giocare sulla propria tv, smartphone, pc o tablet a prescindere dalla potenza delle macchine. Anche in questo caso Apple però si è opposta: i giochi in streaming violano le sue regole perché non può rivedere e approvare tutti i contenuti, poiché il catalogo dei giochi offerti sarebbe troppo vasto per verificarli tutti.

 

Fin qui però almeno si tratta di servizi su cui Apple non offre un proprio prodotto. Dunque le limitazioni e gli alti costi che impone non avvantaggiano un proprio servizio in diretta concorrenza. Questo però accade in altri settori. Come quello della musica in streaming. Spotify si è dovuta rivolgere alla Commissione europea che ha aperto un’inchiesta, poiché anche in questo caso Apple trattiene il 30 per cento degli importi pagati dalle app. E dunque delle somme pagate per gli abbonamenti mensili o annuali per ascoltare la musica in streaming di Spotify senza pubblicità. Tanto che la compagnia svedese ha eliminato la possibilità di acquistare gli abbonamenti per la musica direttamente dalla sua app, perché troppo costosi. Ora è possibile farlo solo dal browser, in modo più complicato per l’utente ma almeno senza la tariffa del 30 per cento per Apple. E in questo mercato la mela morsicata offre un proprio servizio, Apple Music, che è in diretta concorrenza con Spotify. Un paragone forse può aiutare a chiarire. Giacomo e Michela, due panettieri, si fanno concorrenza perché i propri negozi si trovano uno di fronte all’altro su una delle vie principali della città. A Michela però il sindaco del comune, tra le altre cose anche padre di Giacomo, impone che il 30 per cento del suo fatturato venga dato al panettiere concorrente.

 

In questo caso in realtà Apple si difende affermando che i costi servono a garantire sicurezza e qualità dei servizi messi a disposizione degli utenti. Ma l’azienda di Cupertino avrebbe utili a sufficienza per ripagare le proprie spese sull’App Store senza dover imporre il 30 per cento.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Negli ultimi giorni anche gli editori di alcuni giornali americani presenti sull’App Store, tra cui New York Times e Wall Street Journal, si sono fatti avanti per chiedere di ridurre la ritenuta sui ricavi. Mettendo in luce anche il fatto che Amazon è invece riuscita a strappare un accordo ad Apple per pagare il 15 per cento, la metà rispetto agli altri, per i clienti di Amazon Prime Video.

 

PUBBLICITÁ

Ma forse il punto che può mettere tutti d’accordo è un altro. Apple e Google non vendono solo sistemi operativi per smartphone (oltre ai cellulari in sé). Vendono un mercato. Non a caso chiamano “store” i software da cui scaricare le applicazioni. E come ogni mercato che si rispetti, il più grosso non può imporre regole anti concorrenziali agli altri che vendono la propria merce.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ