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Contro gli stregoni del No 5G

Federico Ronchetti

Si diffonde il movimento che si oppone alla nuova tecnologia delle telecomunicazioni. Perché c’è ancora chi tenta di leggere la complessità del reale con gli strumenti del pensiero magico e non con quelli del metodo scientifico. E trova una politica pronta a sostenerlo. Un’indagine

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Nietzsche pensava che il nemico della verità non fosse la menzogna ma la convinzione: credo sia una delle migliori definizioni operative possibili di bias cognitivo: ossia uno di quegli stati psicologici in cui la persona ha già deciso, secondo modalità spesso inconsapevoli, di credere a determinate affermazioni che sente come proprie convinzioni, indipendentemente da qualsiasi riscontro fattuale. Oggi non occorre fare riflessioni di filosofia morale per rendersi conto che le società democratiche sono drammaticamente esposte al pericolo di dipendere da un’opinione pubblica incapace di decodificare la complessità del reale usando gli strumenti cognitivi tipici del pensiero razionale e del metodo scientifico e non quelli del pensiero irrazionale e magico.

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Nietzsche pensava che il nemico della verità non fosse la menzogna ma la convinzione: credo sia una delle migliori definizioni operative possibili di bias cognitivo: ossia uno di quegli stati psicologici in cui la persona ha già deciso, secondo modalità spesso inconsapevoli, di credere a determinate affermazioni che sente come proprie convinzioni, indipendentemente da qualsiasi riscontro fattuale. Oggi non occorre fare riflessioni di filosofia morale per rendersi conto che le società democratiche sono drammaticamente esposte al pericolo di dipendere da un’opinione pubblica incapace di decodificare la complessità del reale usando gli strumenti cognitivi tipici del pensiero razionale e del metodo scientifico e non quelli del pensiero irrazionale e magico.

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Evoluzione del 4G, il 5G è un protocollo software che permette un aumento delle prestazioni della rete mobile grazie a latenze minori

Arthur C. Clarke, lo scrittore di fantascienza autore di “2001, Odissea nello Spazio” (che era anche un fisico-matematico) affermava che “qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia” e probabilmente il problema che si sta presentando alla nostra società in questa fase prende le mosse da questa constatazione di Clarke.

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Fronti antisistema come No Tav (No Tap, No Triv) e No Vax, già attivi da diversi anni, rappresentano il fallimento pratico della società italiana nel formare cittadini-elettori in grado di applicare i principi di base della logica induttivo-deduttiva tipici del pensiero strutturato. In questi mesi, inoltre, sta venendo allo scoperto un nuovo movimento antagonista che ha occupato la scena e catalizzato (non solo in Italia) una forte opposizione ad alcune decisioni che hanno un valore strategico per lo sviluppo economico e sociale del paese: il movimento Stop 5G, che ostacola, spesso con il supporto incomprensibile delle amministrazioni locali, l’installazione delle infrastrutture per la rete mobile digitale 5G. Evoluzione del 4G, il 5G è più un protocollo software che una “nuova tecnologia” e permette un aumento delle prestazioni della rete mobile grazie a latenze minori ed ottimizzabili con tecniche di partizione della banda (slicing) e trasferimento dati fino 20 GB/s in download. Molte stazioni radio-base 4G di ultima generazione possono essere upgradate al 5G mediante un aggiornamento software.

 

Colmare il cosiddetto digital divide usando tecnologie versatili come il 5G consentirà varie forme di telelavoro e servizi digitali

L’opposizione al 5G in quanto “nuova e potenzialmente pericolosa tecnologia” era già in essere prima della pandemia perché, anche se infondate per ogni uso in circostanze normali e ragionevoli, le preoccupazioni per gli effetti fisiologici delle onde elettromagnetiche rappresentano una costante da decenni. Tuttavia è innegabile che la pandemia abbia svolto un ruolo di catalizzatore di queste paure proprio in quegli strati della popolazione che sarebbero invece più avvantaggiati dall’avere collegamenti digitali veloci e stabili in aree bianche, rurali o spopolate. Colmare il cosiddetto digital divide usando tecnologie versatili come il 5G consentirà varie forme di telelavoro e servizi digitali. Le telecomunicazioni giocheranno un ruolo sempre più essenziale per la tenuta sociale e lo sviluppo in un paese che probabilmente dovrà continuare a praticare il distanziamento fisico proprio a causa del post pandemia. E’ ovvio che didattica, medicina, servizi saranno sempre più virtuali, quindi le aree del paese che già oggi sono sottosviluppate rischiano semplicemente di essere tagliate fuori e collassare se non vengono connesse. A causa della incapacità di applicare il principio di causa ed effetto, sono proprio le persone che più beneficerebbero di una certa opzione a schierarsi fortemente contro quell’opzione. Nel caso delle telecomunicazioni il fenomeno sta prendendo addirittura la forma di una sorta di “Alleanza contro il 5G” che annovera al momento circa 500 sindaci, anche di città medio-grandi del nord e del sud. Queste amministrazioni emanano delibere, create in serie con un copia-e-incolla di affermazioni infondate e complottiste, che mirano a bloccare l’installazione di impianti con tecnologia 5G.

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Le motivazioni dell’opposizione al 5G sono varie e fantasiose: le più strampalate associano la comparsa del Sars-Cov-2 (ovviamente creato in laboratorio) con la necessità di installare surrettiziamente gli impianti 5G in giro per il mondo (epicentro del complotto sarebbe la città di Wuhan), fino alle più classiche preoccupazioni sull’uso delle frequenze nel campo delle microonde che sarebbero in grado di cuocere il cervello delle persone e far strage di uccelli e insetti. Come nota di colore, ma non troppo, è facile trovare sul Web vecchi articoli dal tono allarmistico riguardanti anche i primi tv a colori a tubo catodico, i piani di cottura a induzione e le auto elettriche ibride e plug-in (i motori elettrici emettono microonde) la cui circolazione andrebbe soggetta a blocco se i sindaci che aderiscono al movimento Stop 5G fossero davvero coerenti con l’applicazione del cosiddetto “principio di precauzione” invocato per giustificare ordinanze e delibere. In questo articolo non intendo soffermarmi troppo sui principi fisici che governano le onde elettromagnetiche e la loro interazione con la materia, ho già trattato questi argomenti su Twitter in modo abbastanza esteso.

 

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Voglio solo richiamare l’attenzione sul fatto che dal punto di vista degli effetti biologici la radiazione (definita come energia che si sposta da un punto all’altro dello spazio) si divide in due grandi categorie: radiazioni ionizzanti e non ionizzanti. Le radiazioni ionizzanti trasportano abbastanza energia per danneggiare atomi e molecole (quindi anche i tessuti biologici) alterandone la struttura e quindi la chimica. Le radiazioni ionizzanti sono quindi potenzialmente cancerogene. Viceversa, le radiazioni non ionizzanti non hanno abbastanza energia per produrre questi effetti. Le onde elettromagnetiche usate nelle telecomunicazioni non sono ionizzanti perché la loro frequenza è troppo bassa (per avere effetti ionizzanti occorre andare ben oltre i segnali radio e arrivare oltre le frequenze ottiche, nel regime dell’ultravioletto). Un’altra cosa che preoccupa molto i movimenti Stop 5G sono le potenze in gioco che però sono molto basse. Probabilmente il fatto di usare il termine microonde attiva associazioni mentali arbitrarie: la potenza di un forno a microonde è dell’ordine del kiloWatt (concentrata in un volume di qualche decina di decimetri cubi) mentre quella dei segnali 5G/4G che raggiungono gli utenti è dell’ordine di qualche milliWatt: tra i due regimi c’è un fattore quasi un milione.

 


I sindaci da volantino complottista. È accettabile che un amministratore pubblico ignori fatti scientificamente accertati e prenda decisioni senza basi razionali, per un fantasmatico principio di precauzione?


   

La digressione tecnica porta a una valutazione di carattere generale perché il costituirsi dell’Alleanza dei sindaci contro il 5G solleva una questione di principio sul tipo di cultura politico-amministrativa che esiste in Italia. In altre parole: è accettabile che un amministratore pubblico (che può consultare personale tecnico qualificato a livello comunale o regionale) ignori fatti scientificamente accertati, tecnicamente verificati e verificabili e prenda decisioni senza alcuna base razionale, producendo delibere usando volantini complottisti ciclostilati, in ossequio a un fantasmatico principio di precauzione? I decisori pubblici di ogni ordine e grado sarebbero tenuti ad ascoltare i propri tecnici e a decidere ciò che è meglio per i cittadini in base a dati e valutazioni forniti loro dagli esperti, senza invocare vaghi principi che suonano più come pretesti.

 

Il principio di precauzione si applica solo a casi in cui i rischi siano impossibili da valutare perché manca una base di dati consolidata. Fasce di popolazione già svantaggiate vedranno aumentare il divario che le separa dai loro concittadini che hanno invece accesso a certe tecnologie

Il principio di precauzione si applica solo a casi in cui i rischi siano impossibili da valutare perché manca un’esperienza pregressa e una base di dati consolidata e non è il caso dell’esposizione della popolazione alle onde elettromagnetiche alle frequenze usate per le telecomunicazioni. Il risultato finale di questo modo di procedere è, come si diceva, che fasce di popolazione già svantaggiate vedranno aumentare il divario che le separa dai loro concittadini che hanno invece accesso a certe tecnologie. Considerazioni simili si applicano al livello legislativo nazionale. Ad esempio, i limiti italiani di emissione media sulle 24h per il campo elettrico sono ultra-conservativi: 6 V/m contro i 61 V/m definiti dall’EU (che già sono 50 volte inferiori alla soglia di sicurezza stabilita dall’ICNIRP). Questa scelta timorosa fatta dal legislatore italiano svariati anni fa, forse per scarsa comprensione della materia, è stata anche oggetto di critica nel cosiddetto Piano Colao. Un limite così rigido è infatti controproducente in quanto obbliga spesso gli operatori a tappezzare i territori di stazioni radio-base meno performanti mentre in alcuni casi ne basterebbero probabilmente un numero inferiore ma più potenti.

 

Occorre mettere limiti sensati (alcuni paesi Ue adottano 40 V/m) in modo da dare agli operatori flessibilità nel coprire le aree di un paese come l’Italia che è molto diversificato a livello architettonico e di territorio. Una scarsa copertura rischia di vanificare i vantaggi della tecnologia 5G e paradossalmente finisce per domandare una maggiore potenza emessa dalle antenne degli smartphone per compensare il basso segnale della radio-base traducendosi in una maggiore esposizione che era ciò che si voleva evitare col limite ultra-conservativo.

 

Pur godendo di un benessere materiale e morale che poggia quasi interamente sull’applicazione del paradigma tecnico-scientifico, dobbiamo fronteggiare un tremendo deficit di conoscenza scientifica diffusa, che rischia di arrivare a minare l’esercizio di una democrazia effettiva

La questione legata al 5G rischia di passare dal livello locale a quello nazionale, esattamente come accadde per la Tav o i vaccini. In futuro questioni in cui una valutazione tecnico-scientifica non banale sarà richiesta alla classe dirigente del paese saranno sempre più frequenti. Come scienziato e fisico, per esempio, credo che la costruzione di un grande acceleratore di particelle di nuova generazione sia una scelta strategica per il rilancio del paese. Un collider che fosse capace di produrre fisica di frontiera, oltre che riportare il paese ai vertici scientifici internazionali, sarebbe in grado di generare un indotto economico enorme a livello di commissioni non solo per le industrie che fanno alta tecnologia ma anche per il tessuto economico e produttivo in cui verrebbe innestato. Uno studio del 2019 commissionato dalla European Physical Society stima che l’output economico delle industrie che utilizzano le competenze sviluppate nell’ambito della ricerca e sviluppo in fisica ammonta al 12 per cento del totale per l’Unione europea, ossia 1.450 miliardi di euro l’anno. E’ una cifra decisamente superiore a settori ritenuti comunemente molto redditizi come il commercio (4.5 per cento), le costruzioni (5.3 per cento) e i servizi finanziari (5.3 per cento). Queste cifre servono a dare un’idea dell’importanza strategica degli investimenti in infrastrutture scientifiche a livello economico e sociale. In passato, in effetti, si era pensato di costruire un acceleratore di questo tipo presso l’area di Tor Vergata a Roma. Grazie alla presenza dei centri di ricerca di Frascati, l’intera zona avrebbe il potenziale per trasformarsi in un vero e proprio distretto tecnico-scientifico in cui la ricerca di base, quella applicata e il trasferimento tecnologico verso industrie già (o ancora) presenti nella cosiddetta “Tiburtina Valley” potrebbe svilupparsi al massimo grado. Tuttavia, il progetto di questa macchina acceleratrice è stato ridimensionato varie volte e poi annullato. Ma anche mettendo da parte per un momento le sommarie valutazioni economico-scientifiche qui formulate, come potrebbe essere rilanciato e realizzato questo “Cern italiano” quando il paese non riesce a costruire una ferrovia o a installare delle antenne per comunicazioni cellulari?

  

Evidentemente, il flusso continuo di informazioni e nozioni che provengono dal web e da una moltitudine di canali informativi (come i social) ha travolto chi non era equipaggiato ad assorbire e attribuire senso a questo bombardamento cognitivo. L’approccio scientifico alla realtà, la sua capacità di stabilire attraverso processi di induzione-deduzione verità relative che si sostengono vicendevolmente, guadagnando consistenza a ogni passaggio, come un edificio ben progettato e costruito, ha portato a un controllo crescente dell’ambiente circostante ed è stato il principale fattore di aumento del benessere, rappresentando sempre più un elemento chiave di sviluppo delle società avanzate. Pur godendo, ogni giorno della nostra vita, di un benessere materiale (evidente) e morale che poggiano quasi interamente sull’applicazione del paradigma tecnico-scientifico, ci troviamo a dover fronteggiare un tremendo deficit di conoscenza scientifica diffusa, che rischia di arrivare a minare l’esercizio di una democrazia effettiva.

 

Molte delle scelte, per esempio in caso di referendum, e delle valutazioni, come quelle relative al giudizio sull’operato dei governi, che sono poste di fronte ai cittadini-elettori, devono essere esercitate nel contesto di un mondo totalmente interconnesso plasmato da fattori tecnico-scientifici che necessitano di essere compresi e condivisi dal maggior numero possibile di persone. Nella società odierna, la mancanza di una cultura scientifica di base tende a creare compartimenti stagni in cui il diritto di ognuno a far valere la propria opinione è invalidato dalla mancanza di un giudizio consapevole, che è cosa diversa dall’essere “informati”. L’informazione, da sola, non crea consapevolezza e non garantisce protezione rispetto ai condizionamenti che puntano alla distorsione o iper-semplificazione della realtà innestandosi su una serie sempre maggiore di bias cognitivi. Inoltre, oggi fronteggiamo una situazione in cui settori disgiunti (spesso minoritari) della società si polarizzano, a volte anche in modo oltranzista, su specifiche questioni (single issues).

   

  

I social network giocano un ruolo cruciale nel rafforzamento delle convinzioni di queste minoranze, consentendo di superare i vincoli geografici, se ce ne sono, e permettendo ai vari gruppi di consolidare la fiducia in se stessi data dal riconoscersi a vicenda e dalla consapevolezza di non essere i soli a “pensarla in un certo modo”. L’ignoranza, infatti, è vissuta come uno stato pristino e il rifiuto della competenza degli esperti in favore di certe categorie astratte, tipo l’“onestà” o il “naturale” serve a evitare ogni contaminazione dello stato d’innocenza primigenio che permette di vedere le cose come sono “veramente” senza i paraocchi che il “sistema” ci costringe a indossare: in questo modo si costruisce un sistema para-logico in grado di smontare qualsiasi prova fattuale e di dimostrare con una serie di salti logici qualsiasi tesi, anche la più fantasiosa: la verità viene sottomessa alla convinzione cui fa rifermento Nietzsche, e trasformata in quello che oggi chiamiamo “verità alternativa”.

  

Le verità alternative tendono a proliferare non appena le cose vanno molto storte e la recente pandemia di Covid-19 rappresenta la tempesta perfetta. I già labili argini della logica induttiva-deduttiva vengono meno e l’irrazionalità dilaga anche in territori che prima erano considerati al riparo. Le spiegazioni più assurde come virus biologici che viaggiano grazie alle onde del 5G o esposizioni a onde elettromagnetiche atte a modificare il Dna della “gente” per qualcuno possono apparire sensate o realistiche e costituire un problema o un pericolo da cui difendersi e contro cui mobilitarsi.

  


Il ruolo cruciale dei social network nella diffusione del pensiero magico. La Brexit, il primo grande bubbone di una malattia cognitiva che si aggira nelle società occidentali da decenni. L’Italia, un paese culturalmente impreparato a quello che sta per arrivare. Una società entropica e bulimica


   

I No Vax sono stati il primo gruppo a rivendicare il diritto della scelta di un singolo, in nome di una loro speciale verità alternativa, di esercitare un impatto negativo sulla società nel suo insieme dovuto al non vaccinarsi o al non vaccinare i propri bambini. E hanno ottenuto un endorsement politico

Il sottile velo del razionalismo, che accoglie agevolmente sotto la sua ala le faccende della vita di tutti i giorni, viene immediatamente stracciato quando si tenta di proiettare nel sociale un’idea di come funziona il mondo. Il pensiero magico, mai veramente sconfitto, è comunque sempre presente nella rappresentazione che le persone si fanno della realtà che è, a ben guardare, anche in condizioni ordinarie, popolata da stregoni: il medico che promette una dieta che fa vivere fino a 150 anni, il politico che promette di risolvere problemi globali in qualche mese e l’onnipresente astrologo che non ne azzecca una ma non manca mai. Non a caso, in Italia il fatturato dell’occulto è ragguardevole ed è stimato in 8 miliardi di euro all’anno. Alla scienza in quanto tale si chiede, anche da parte della classe dirigente, di trasformarsi in magia e “risolvere subito” i problemi (veri o presunti) facendoli sparire o, in subordinata, di fornire la formuletta precisa e pronta per essere recitata dal cittadino o dal decisore politico.

   

Nel lungo termine, il continuo esercizio del pensiero irrazionale e magico finisce per danneggiare la società nel suo insieme partendo proprio dai suoi strati più deboli, sia a livello economico che cognitivo (anche le la correlazione tra le due condizioni non è totale) e finendo poi per contaminare anche le persone più istruite. Un macro-esempio, ormai chiaramente decrittato, di questo meccanismo infernale, è sotto gli occhi di tutti ed è rappresentato dalla Brexit: l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Le tesi che sono state portate a favore del Leave erano palesemente assurde e basta andare a ripescare gli spot pro Leave dell’epoca per rimanere sconvolti dall’insipienza degli argomenti e dal totale fallimento dell’applicazione del principio di causa ed effetto, che è una delle definizioni più accurate possibili della stupidità (personale o collettiva). Grazie a una montante isteria, alimentata dalla manipolazione attraverso i social network è stata scelta con convinzione una falsa soluzione a un falso problema che sta danneggiando proprio coloro che la sostenevano più accanitamente e che paradossalmente erano più tutelati e avevano più beneficiato dello stato di cose precedente (l’appartenenza all’Ue).

   

Ma Brexit è stato il primo grande bubbone di una malattia cognitiva che si aggira nelle società occidentali da decenni. All’estero come in Italia, ci sono state molte avvisaglie di queste dissonanze cognitive legate a questioni apparentemente circoscritte a determinati campi ma in realtà spie dello spostamento di paradigma che andava preparandosi per il salto di livello e che ha finito per investire anche la sfera politica. Ripercorrendo alcune tappe della realtà internazionale e italiana ricordiamo, nel campo della fisica, la bufala sulla fusione fredda e quella più nostrana sul piezo-nucleare che fu addirittura invocato per invalidare la datazione al C14 del tessuto della Sindone. La medicina è un campo pure molto soggetto a suggestioni (anche perché i malati sono soggetti chiaramente psicologicamente fragili): gli esperti vengono facilmente dipinti come scienziati cattivi (apprendisti stregoni) al soldo delle multinazionali che sfruttano le persone malate facendo esperimenti senza scrupoli. Ricordiamo la questione del “siero di Bonifacio”, un miscuglio di feci e urina di capra che avrebbe avuto azione anti cancro (il paralogismo si base sul fatto che le capre sembrano poco soggette ai tumori). In seguito sono arrivate le “cure” Di Bella e Stamina. Il salto di qualità in questo campo è avvenuto proprio col movimento No Vax che si aggirava furtivo per i meandri della società italiana almeno dai primi anni 2000. I No Vax sono stati il primo gruppo a rivendicare il diritto della scelta di un singolo, in nome di una loro speciale verità alternativa, di esercitare un impatto negativo sulla società nel suo insieme dovuto al non vaccinarsi o al non vaccinare i propri bambini. La cosa sorprendente è che queste posizioni hanno avuto un endorsement, a volte esplicito altre volte furbamente ambiguo, da parte di alcuni politici nel tentativo di capitalizzare il consenso di questo gruppo giudicato evidentemente consistente dal punto di vista elettorale. Qualcosa di simile potrebbe accadere ora con il movimento Stop 5G, che infatti sembra aver già trovato rappresentanza, almeno a livello locale. Ora, dopo un periodo rocambolesco, molte polemiche e diverse battaglie perse (a mio avviso non risolutive), i gruppi No Vax ora sono alla finestra. La mia personale convinzione è che torneranno all’attacco nel momento in cui sarà disponibile una vaccinazione contro la Covid-19 ponendo così la politica e la società nel suo insieme di fronte a scelte difficili. La paura del Nuovo, quasi sempre infondata come dimostra la Storia, si estende facilmente alle nuove infrastrutture quasi sempre viste come un esproprio e mai come necessarie alla creazione di ricchezza e nuove opportunità (specie per i giovani) in un mondo globalizzato.

  

   

Il problema, prima di essere politico, tecnico o economico, è pre-politico. La pandemia ha mostrato uno spettacolo inquietante in cui la politica locale e nazionale è stata lenta a capire (non poteva essere altrimenti viste le carenze cognitive) e ancora più lenta e impacciata nell’agire perché incapace di decodificare la gravità della situazione e di ascoltare le indicazioni degli esperti (non essendo semplici formule magiche). Il tradizionale andamento della politica, essenzialmente un grande volano di dichiarazioni polemiche che lentamente e ciclicamente si scarica e riparte senza trasferire energia al sistema si è letteralmente avviluppato su se stesso chiaramente scardinato dalla portata dell’evento pandemico.

   

Purtroppo però, situazioni di shock per i nostri sistemi sociali ed economici potrebbero ripetersi molto presto, anche se non saranno pandemie: presto avremo sistemi di intelligenza artificiale in grado di effettuare diagnosi mediche e operazioni chirurgiche in modalità autonoma. Avremo a che fare con automobili a guida autonoma che potrebbero dover prendere decisioni critiche in caso di incidente stradale o badanti robotiche per anziani infermi e malati di Alzheimer. Scenari come questi sconvolgeranno non solo il nostro sistema economico ma anche l’etica e il sistema legale perché bisognerà attribuire delle responsabilità per le azioni intraprese dai sistemi autonomi. Le sfide del cambiamento climatico, dell’approvvigionamento energetico, la produzione di cibo da allevamenti e colture intensivi sono ampiamente dibattute ma in modo superficiale e ideologico mentre andrebbero anch’esse affrontate in modo scientifico, senza trasformare l’ambiente in una nuova divinità.

   

L’impressione generale è quindi che il paese non sia affatto pronto per quello che sta per arrivare, non tanto da un punto di vista economico o industriale (dove è sempre possibile intervenire quando lo si voglia veramente) ma sia culturalmente impreparato perché incapace di uscire da una visione irrazionale e magica della propria storia e del mondo mentre è urgentissimo che si doti degli strumenti cognitivi che consentano il funzionamento del pensiero razionale e scientifico che ha, in un paio di secoli, radicalmente modificato ogni campo del sapere umano, anche oltre il dominio delle scienze esatte. Medicina, biologia, scienze sociali e scienze economiche si avvalgono tutte, sebbene in diversa misura, di metodologie e/o tecnologie derivate dalla ricerca scientifica ed è quindi molto rischioso che la classe dirigente di un paese si dimostri indifferente, annoiata o persino sospettosa nei confronti della scienza mentre ogni cittadino, paradossalmente, divora tecnologie derivate dall’applicazione su vasta scala della ricerca tecnico-scientifica che però finiscono per essere percepite come estranee, invasive e da contrapporre ad una natura benigna e mitizzata.

  

Molto del nostro benessere attuale deriva semplicemente da maggiore igiene, vaccini, una manciata di farmaci e dal fatto che le macchine effettuano molti lavori pesanti al posto nostro. Queste condizioni ci hanno svincolati dalla pressione selettiva dell’ambiente le cui variazioni incontrollate erano fonti di crisi economiche, carestie e guerre. Tuttavia la psicologia della “gente” è rimasta totalmente disconnessa dall’immane cambio di paradigma dovuto a questa rivoluzione cognitiva e metodologica. La maggioranza delle persone tenta ancora di interpretare il mondo con categorie che appartengono a un tempo che non esiste più, come anima e destino se consideriamo lo spazio psichico oppure deplora il fatto che viviamo in modo innaturale senza ricordare il fatto che quando si viveva in modo “naturale” l’aspettativa di vita media era sui 40 anni. Nello spazio fisico le categorie mitizzate equivalenti sono quelle della località e della prossimità: ci si illude che le nostre vite dipendono solo dai “primi vicini” quando invece, come abbiamo visto, qualcosa che accade in un mercato cinese può sconvolgere la nostra vita quotidiana in poche settimane.

   

Dal dopoguerra a oggi la società italiana e occidentale ha avuto un certo successo nel creare ricchezza diffusa, ma appare chiaro che qualcosa non ha funzionato nella creazione di una consapevolezza diffusa specie riguardo le basi del pensiero scientifico e razionale. Molte persone semplicemente non hanno mai avuto gli strumenti cognitivi per decodificare la realtà, ma il problema è emerso nella sua drammaticità solo quando la complessità ha superato un certo livello oltre il quale è diventata ingestibile dal punto di vista cognitivo. Molti accusano i social network della destrutturazione del pensiero ma sembra un punto di vista riduttivo, indotto dalla coazione a ripetere la massima di Umberto Eco per cui i social hanno dato voce a legioni di imbecilli. In realtà il processo degenerativo era già iniziato da molti anni a causa di problemi mai risolti nel sistema scolastico e alla sclerotizzazione della cultura intesa come tempio da difendere contro ogni forma di modernità. Da anni, in Italia, gli intellettuali (o presunti tali) sono impegnati nella difesa delle rovine del Tempio della Cultura ormai vuoto e mentre si trastullavano in ciò, non si sono accorti di quello che stava accadendo “là fuori”. Chiaramente, non stiamo invocando una società fatta esclusivamente di scienziati, ingegneri o matematici e dove i primi ministri abbiano un dottorato in chimica quantistica come Angela Merkel. Al contrario, le nozioni di matematica, fisica e chimica che si studiano al liceo sarebbero già sufficienti a pensare in modo razionale e non “magico”: un liceale di oggi ha potenzialmente a disposizione la conoscenza accumulata dal genere umano in millenni, ma mancano gli strumenti cognitivi necessari a processare queste conoscenze per applicarle in modo corretto.

  

Vivere e lavorare in un mondo dominato dai paradigmi di scienza e tecnologia che non escludono l’immateriale e l’immaginario ma li concepiscono in modo diverso e dove il pensiero magico fallisce sempre, provoca un senso di estraniamento e una frustrazione profonda. La sensazione di impotenza del cittadino-elettore di fronte alla complessità del mondo globalizzato e così plasmato prende due strade: il rifiuto, modulato con vari gradi di contraddittorietà, delle tecno-scienze in nome di una perduta “naturalità” basata sulla falsa assunzione che l’Uomo si stia allontanando dal “Creato” vilipeso dalle stesse attività umane; oppure il tuffo in un consumismo bulimico delle opportunità materiali e morali che la tecno-società mette a disposizione praticamente di chiunque. Entrambe queste reazioni, che possono anche coesistere nello stesso individuo, finiscono per definire una sorta di “stato di minorità”. In un contesto sociale “liquido” (à la Bauman), percepito solamente come creatore di entropia, in continuo e disordinato movimento, ci si difende con rivendicazioni identitarie senza vera sostanza, invocate solo per colmare un vuoto quasi sempre solo percepito, che finisce per essere poi oggettivato a livello sociale e divenire terra di contesa per nazionalismi, verità alternative e teorie del complotto che si pongono appunto come un surrogato di identità (noi siamo quelli che sono contro qualcosa, noi contro di loro).

 

Questa miscela pericolosa, potenzialmente esplosiva, è agitata anche dall’informazione mainstream che, dominata da logiche stringenti, non è affatto interessata alla scienza né agli scienziati a meno che la prima possa essere presentata come magia. Non voglio tuttavia risparmiare gli stessi scienziati dalla critica. Spesso siamo noi ricercatori ad alimentare i cliché che ci riguardano e pensiamo di poterci proporre al pubblico senza adattare il nostro modo di comunicare. Il problema è molto grave specie per quello che riguarda la gestione dei social media in ambito scientifico. L’impatto dei social è estremamente potente e viste le limitazioni dell’approccio classico alla divulgazione scientifica, in cui il giornalista non svolge il ruolo di intermediazione perché spesso fallisce lui stesso nell’applicare le basi del pensiero scientifico, l’unica strada che rimane alle istituzioni scientifiche e ai singoli ricercatori è quella di instaurare un rapporto diretto con la società.

  

La sensazione di impotenza del cittadino-elettore di fronte alla complessità del mondo globalizzato prende due strade: il rifiuto delle tecno-scienze in nome di una perduta “naturalità”; oppure il tuffo in un consumismo bulimico delle opportunità materiali e morali che la tecno-società mette a disposizione

Per invertire tutti questi processi è necessario anche un cambio di paradigma all’interno della stessa ricerca scientifica. Un aumento dei finanziamenti per la ricerca di base e applicata, come proposto in questi giorni dal prof. Ugo Amaldi già a partire dal 2021, per proseguire fino ad arrivare ad impegnare l’1,1 per cento del pil nel 2026 (che è quello che la Germania spende già oggi) è un primo e fondamentale passo. Allo stesso tempo occorre però svincolare la ricerca scientifica dalle logiche della Pubblica amministrazione rendendo possibile un rapporto organico e disciplinato tra ricercatori e industrie per facilitare il trasferimento tecnologico e la creazione di startup.

  

Solo con un impegno massiccio in istruzione e ricerca a tutti i livelli sarà possibile trasformare la nostra società “liquida”, entropica e bulimica, narcisistica ma codarda, che venera il passato ma è priva di ambizioni e voglia di futuro, in una società della conoscenza in grado di reagire in modo collettivo e non livellante agli shock prossimi venturi e finalmente di proiettarsi in avanti.

  

Il paradigma collaborativo globale incarnato dalla ricerca scientifica odierna, in cui decine di migliaia di persone di nazionalità, sesso, età e fede religiosa diverse, accantonano le loro differenze per concentrarsi sul comune obiettivo di portare avanti la frontiera della conoscenza umana, fornisce un prototipo di un nuovo umanesimo scientifico in cui il valore della collaborazione è prevalente rispetto alla competizione e l’autorevolezza prevale sull’autorità. Questo tipo di comportamento sociale potrebbe essere la chiave per il passaggio dalla società liquida, incoerente ed entropica, a una sorta di “società superfluida”, collettiva e resiliente.

  

Qualcosa del genere accade in fisica quando un materiale passa dallo stato liquido, caratterizzato da entropia e attriti, a uno stato superfluido, altamente ordinato, senza viscosità ed entropia in grado reagire istantaneamente ai cambiamenti mantenendo una coerenza collettiva. Probabilmente la “società liquida” si troverà presto davanti a un bivio: subire un ulteriore aumento del disordine e dell’entropia o trasformarsi in una nuova società, più simile al superfluido che a un liquido, in grado di reagire in modo ordinato e superare gli ostacoli che appariranno presto all’orizzonte della Storia.

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