Eric S. Yuan (foto LaPresse)

La storia delle videochat di Zoom, che dal business sono saltate nelle nostre vite

Eugenio Cau

Da quando è cominciata l’emergenza da coronavirus tutti i servizi per la comunicazione digitale hanno conosciuto picchi di utilizzo sensazionali. Ma il vero fenomeno è la società fondata da Eric S. Yuan

Milano. Nelle ultime cinque settimane, a Wall Street, il valore delle azioni di un’azienda che si chiama Zoom Technologies è aumentato del 300 per cento. Facile, direte voi, con mezzo mondo chiuso in casa a fare videoconferenze tutti vogliono un pezzo di Zoom, il famoso servizio di videochiamate online. Peccato che Zoom Technologies non sia quello Zoom. Il nome ufficiale di quello Zoom è Zoom Video Communications, ma gli investitori sono così ansiosi di mettere i loro soldi in Zoom che hanno comprato azioni della compagnia sbagliata, tanto che alla fine l’agenzia che controlla la Borsa americana ha sospeso l’altro Zoom, che è una piccola azienda del Delaware. Curiosamente, lo Zoom giusto ha aumentato il valore delle sue azioni soltanto del 30 per cento, che è comunque una cifra enorme, se si conta che l’aumento è coinciso con un crollo storico delle Borse mondiali.

 

Lo sappiamo: da quando è cominciata l’emergenza da coronavirus e i governi in tutto il mondo hanno chiesto ai propri cittadini di stare a casa, tutti i servizi per la comunicazione digitale hanno conosciuto picchi di utilizzo sensazionali. Le riunioni di lavoro, le chiacchiere in famiglia, i giochi da tavolo con gli amici, le lezioni universitarie, i cocktail party: al tempo del coronavirus si fa tutto in videochat, e ogni prodotto che ci consente di comunicare, di parlarci e di vederci è cercato e scaricato. Mark Zuckerberg di Facebook ha detto che in questo momento il suo problema principale è tenere su l’infrastruttura dei suoi prodotti (compresi WhatsApp e Instagram), perché il numero di persone che chatta e si videochiama è aumentato esponenzialmente. Servizi un tempo di nicchia come Houseparty, app per giocare assieme da remoto che era quasi sulla via della dismissione, hanno visto aumentare i download del 2.500 per cento dal 15 febbraio scorso.

 

Ma il vero fenomeno è Zoom, che ha avuto un aumento del 1.300 per cento dei download a partire dalla metà di febbraio e che è entrato nella cultura popolare. Per i pochi che non lo sanno: Zoom è uno strumento che fino al mese scorso era molto amato negli ambienti tech e nelle aziende perché fa una sola cosa ma la fa bene: le videoconferenze di gruppo. Skype è meglio per le chiamate tra singoli, ma quando c’è da parlare in tanti da remoto, magari condividendo lo schermo o in modalità lezione frontale, come a scuola, Zoom non ha rivali. I lavoratori chiusi a casa a fare smartworking, che già usavano Zoom per le riunioni, hanno cominciato a farci anche le videochat con gli amici, i professori lo apprezzano per le lezioni, i giornalisti per le interviste.

 

Ed è così che una parte consistente di vita di milioni di persone si è trasferita su Zoom. La rivista online OneZero ha intervistato un gruppo di bambini americani che amano molto “vedere i loro amici su Zoomy”, il verbo zoomare non riguarda più l’arte della fotografia, e la compagnia americana TripActions ha licenziato 100 dipendenti in massa in una videoconferenza su Zoom. Si è sviluppato il fenomeno dello zoombombing, in cui troll e malintenzionati piombano nella videoconferenze pubbliche (per esempio le lezioni, in cui chiunque abbia un certo codice può entrare) e scatenano il pandemonio. Ci sono anche gli scandali, visto che pare che Zoom passi un po’ troppi dati dei suoi utenti al solito Facebook.

 

Zoom è anche una piccola fetta di sogno americano. E’ stata fondata nel 2011 da Eric S. Yuan, un ragazzo cinese che negli anni Novanta desiderava con tutte le forze trasferirsi in America, perché era lì che con internet si stava costruendo il futuro. Yuan fece richiesta di un visto per trasferirsi in Silicon Valley e gli fu rifiutato. La fece di nuovo, e poi ancora, e soltanto la nona volta riuscì a ottenere l’autorizzazione a partire. Da allora è diventato cittadino americano, è arrivato alla vicepresidenza del gigante Cisco e poi ha mollato tutto per fondare Zoom. Il suo obiettivo era di creare uno strumento per il business. Probabilmente nemmeno lui immaginava che oggi sarebbe diventato il luogo di ritrovo delle nostre riunioni di famiglia.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.