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Golden power e sicurezza al test 5G. Parla Giulio Napolitano

Renzo Rosati

Intervista al docente di Diritto amministrativo a Roma Tre e consulente in staff dello studio Chiomenti, tra i maggiori d’Italia per gli investimenti stranieri

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Roma. La relazione 2019 dei Servizi d’informazione e sicurezza presentata a Palazzo Chigi da Gennaro Vecchione, nominato da Giuseppe Conte capo del Dis (Dipartimento per le informazioni) offre un quadro allarmistico dei rischi di attacchi dall’estero ai settori più sensibili dell’economia italiana, dilatandolo ad “azioni distorsive dei mercati ed elusive nei nostri interessi”, anche approfittando del calo di Borsa “di aziende rilevanti a seguito del coronavirus”. Il Dis parla di “forte, a tratti muscolare, azione di sistema di taluni partner europei volta a valorizzare i propri interessi a detrimento di quelli nazionali con possibili mutamenti nelle proprietà di player nazionali e tentativi di acquisizione da parte di investitori esteri con rischi di sottrazione del know how”. L’attenzione dell’intelligence si sofferma poi sulla rete unica a 5G “il cui consolidamento anche nel settore delle torri di trasmissione è suscettibile di attrarre operatori finanziari animati da logiche puramente speculative”. A parte gli aspetti di sicurezza, su questo dovrebbe però vigilare il Golden power, il diritto di orientamento strategico e veto riservato al governo anche in virtù di un regolamento europeo dello scorso anno.

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Roma. La relazione 2019 dei Servizi d’informazione e sicurezza presentata a Palazzo Chigi da Gennaro Vecchione, nominato da Giuseppe Conte capo del Dis (Dipartimento per le informazioni) offre un quadro allarmistico dei rischi di attacchi dall’estero ai settori più sensibili dell’economia italiana, dilatandolo ad “azioni distorsive dei mercati ed elusive nei nostri interessi”, anche approfittando del calo di Borsa “di aziende rilevanti a seguito del coronavirus”. Il Dis parla di “forte, a tratti muscolare, azione di sistema di taluni partner europei volta a valorizzare i propri interessi a detrimento di quelli nazionali con possibili mutamenti nelle proprietà di player nazionali e tentativi di acquisizione da parte di investitori esteri con rischi di sottrazione del know how”. L’attenzione dell’intelligence si sofferma poi sulla rete unica a 5G “il cui consolidamento anche nel settore delle torri di trasmissione è suscettibile di attrarre operatori finanziari animati da logiche puramente speculative”. A parte gli aspetti di sicurezza, su questo dovrebbe però vigilare il Golden power, il diritto di orientamento strategico e veto riservato al governo anche in virtù di un regolamento europeo dello scorso anno.

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Giulio Napolitano, ordinario di Diritto amministrativo a Roma Tre e dal 2018 consulente in staff dello studio Chiomenti, tra i maggiori d’Italia per gli investimenti stranieri, spiega al Foglio quali sono i problemi per conciliare apertura dei mercati, rafforzamento patrimoniale delle aziende, Golden power e sicurezza, in particolare per il 5G. “Sin dall’inizio il legislatore aveva chiarito che le Tlc sarebbero state uno dei principali oggetti del Golden power. Quello che non si immaginava era la sempre più stretta relazione con la sicurezza”, dice Napolitano che ha da poco pubblicato per il Mulino un’analisi dal titolo “Foreign Direct Investment Screening”, un’analisi aggiornata sulla materia. “La questione era emersa la prima volta a sorpresa nel caso Vivendi-Telecom, con l’effetto di allargare l’applicazione del Golden power agli investimenti europei che in via di principio beneficerebbero del regime di libera circolazione. Al di là della discussione sulla legittimità è evidente che l’effetto di spiazzamento del mercato è stato notevole. Sono enormemente aumentate le notifiche, anche solo a fini prudenziali, per evitare le pesanti sanzioni previste. Anche se ciò ha inevitabilmente rallentato e reso più incerte molte operazioni, ora che gli orientamenti interpretativi del governo sono più chiari, la condotta degli investitori è più consapevole. Il rischio Golden power quindi costituisce ormai un elemento naturale ma costoso di molte operazioni di investimento cross-border come sanno bene i grandi studi legali che le seguono”.

 

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Il governo, attraverso il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri,è nuovamente tornato alla carica perché Tim e Open Fiber uniscano le forze verso la rete unica a banda ultralarga; l’ex monopolista avrebbe trovato nel fondo americano Kkr un partner finanziario interessato inizialmente al 42 per cento della vecchia rete in rame e ora anche al 5G pur con un ritorno garantito elevato, del 9 per cento. Mentre restano le perplessità di Enel e Cassa depositi e prestiti, azionisti pubblici di Open Fiber, pochi giorni fa proprio Vecchione ha dichiarato che “la sicurezza nazionale va tutelata ma non dilatata all’estremo”. Ad alcuni è apparso un assist al reinserimento di Huawei, il colosso cinese che Donald Trump ha messo al bando invitando l’Europa a servirsi di fornitori come Nokia e Ericsson. Nel frattempo Huawei annuncia l’apertura di uno stabilimento in Francia. “Il fatto – dice Napolitano – è che con l’applicazione al 5G il Golden power cambia pelle. Oggetto di controllo non sono gli investimenti esteri ma i contratti di fornitura di tecnologia 5G. I soggetti gravati dagli obblighi diventano le imprese di Tlc, non gli investitori stranieri. E c’è sicuramente il rischio di ingolfamento nell’attività di impresa in un settore già così complesso e a redditività incerta e futura. Nell’ultimo anno la grande maggioranza dei decreti dei poteri speciali riguarda proprio il 5G, mentre le relative prescrizioni sono note solo ai singoli destinatari. Così, però, il principio di prevedibilità della regolazione rischia di svanire”.

 

La questione è diventata uno strumento di politica estera? “Il mondo è andato in ordine sparso. Donald Trump ha condotto in prima persona una campagna contro gli operatori cinesi a cominciare da Huawei e a maggio 2019 ha adottato ordine esecutivo con rigidi divieti, anche se poi sospesi e rinviati. In Europa a gennaio la Commissione di Bruxelles ha scelto un approccio più calibrato in cui si richiede agli stati di adottare misure di regolazione e controllo e di prevenire la formazione di posizioni dominanti. In questo quadro il Golden power dovrebbe costituire solo uno degli strumenti di intervento, insieme alle misure di sicurezza cibernetica, di regolazione e di tutela del mercato, di politica industriale. Il ritardo della nuova disciplina di sicurezza cibernetica e le più complesse misure di politica industriale e tutela del mercato hanno finito per scaricare sul Golden power la responsabilità di una prima risposta. Ma alla lunga ciò può generare gravi storture e inefficienze”.

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