Il mistero dell'allenatore
Il rapporto di mentorship fra un tecnico e il suo atleta è quanto di più complicato e difficilmente raccontabile esista al mondo
Ho sempre ammirato, anzi invidiato, i miei colleghi della scherma, sport meraviglioso che non a caso è il più grande produttore di medaglie olimpiche (125) del nostro Paese e che ancora ha il coraggio e l’orgoglio di chiamare Maestri i suoi allenatori. In quest’epoca di attacco alle competenze è un’operazione doppiamente meritoria perché rivendica, nella bellezza di una parola, autorità, capacità, dignità del ruolo. Che miserabile errore è stato quello di prosciugarla, quella dignità, ai nostri insegnanti, ai nostri formatori, ai nostri allenatori. Allora prendo un turno di riposo dal racconto di una disciplina sportiva e dedico il pezzo di oggi a una figura che di tutte le discipline sportive è protagonista, magari nella penombra: l’allenatore.
Il rapporto di mentorship fra un allenatore e il suo atleta è quanto di più misterioso, complicato e difficilmente raccontabile esista al mondo. Il leggendario coach della squadra di football americano dei Dallas Cowboys, Tom Landry, ha provato a spiegarlo così: “Un allenatore ha il compito di far fare a qualcuno ciò che non vuole fare, per fargli ottenere quello che vuole ottenere”. Rileggete un paio di volte e coglierete la complessità del ruolo. Il gesto dell’allenare, peraltro, non è esclusivo di chi lo esercita su un campo di calcio, pallavolo o basket. È il gesto che devono padroneggiare tutti coloro che scelgono persone, tentano di trasformare gruppi in squadre, definiscono obiettivi e orientano le proprie organizzazioni verso una performance, cosa che succede quotidianamente in un impianto sportivo, certo, ma anche in un’azienda, in un ospedale o in una scuola.
Elisa Chiari, milleottocento anni dopo, riprende con grazia e talento l’argomento, pubblicando il suo L’altra faccia della medaglia (Limina, 2005), raccontando emozionanti intrecci di grandi maestri e di grandi campioni. I protagonisti, per una volta,
Schizofrenie da coach. Gente strana, come dice Elisa Chiari, sospesa a metà strada tra la figura di un padre e la coperta di Linus.