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Parla il fondatore di Nextome, l’app (premiata dall’Ue) per orientarsi lì dove “non c’è rete”

Elena Bonanni
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Domenico Colucci, 26 anni, informatico pugliese di Noci, è da poco tornato da Helsinki. Nella capitale finlandese è stato premiato dalla Commissione europea come miglior giovane imprenditore dell’anno al concorso Europioneers 2015. Insieme a due colleghi, Vincenzo Dentamaro e Giangiuseppe Tateo, nel dicembre 2013 ha fondato la start-up up Nextome che ha sviluppato un’applicazione per la geolocalizzazione all’interno di spazi chiusi dove il Gps non funziona e dove non è disponibile una connessione internet. La stessa Commissione ne ha intuito le potenzialità per lo sviluppo delle smart cities, proponendo l’utilizzo di questa tecnologia nel settore dei trasporti, per esempio le metropolitane, in chiave turistica: segnalare ai viaggiatori negozi, musei, attrazioni, ristoranti vicini alla loro posizione anche in luoghi chiusi dove non funzionano le app con Gps e non c’è una connessione wi-fi. La parabola Nextome è partita, come spesso succede, da un’idea nata al tavolino di un bar per risolvere un problema pratico (la ricerca urgente di un bagno nei sette piani della Rinascente). E’ stata aiutata da una buona dose di intraprendenza e da promettenti prospettive di crescita. Non senza difficoltà. “Abbiamo 700 richieste in pipeline da evadere”, ha raccontato Colucci al Foglio spiegando che non vengono evase “perché per ora il team è piccolo e ci vogliono persone che seguano i singoli progetti, andando sul luogo a fare le rilevazioni”. La gestione commerciale è una delle maggiori criticità per molte start-up. Non basta avere un prodotto valido, bisogna essere in grado di chiudere contratti in fretta, per finanziarsi e crescere velocemente. Prima che il team si scoraggi. O che entrino in campo pesi massimi tipo Apple e Google. E spesso è necessario capire velocemente che è urgente cambiare direzione. “La nostra applicazione è nata originariamente per i musei – dice Colucci – dal punto di vista dei numeri era un ambito promettente, c’è un museo ogni due comuni. Ma la realtà è un’altra, le procedure sono molto lunghe, non compatibili con i tempi di una start-up. Tanto più che non c’era ancora neanche un sistema di ticket online, culturalmente era quindi ancora più difficile percepire che c’era bisogno di una applicazione che integrava e geolocalizzava i contenuti in modo multimediale. Ma noi avevamo bisogno di trovare clienti subito. Così abbiamo dovuto cambiare il nostro piano puntando a sviluppare un’applicazione versatile, utilizzabile in diversi ambiti. Ora l’obiettivo è validarla in diversi spazi chiusi come ospedali, musei, retailer”. D’altra parte, la differenza con le altre tecnologie di geolocalizzazione indoor già esistenti sta proprio nell’intuizione di Colucci e soci di applicarla in ambiti commerciali. “Fino ad allora si trattava di tecnologie usate in ambito industriale, per esempio nella gestione dei magazzini, per lo spostamento dei pacchi – dice Colucci – il problema era il grado di precisione, che arrivava al massimo a 8-9 metri, troppo per fare una geolocalizzazione utile di negozi ed esercizi commerciali. La nostra chiave di volta, che ci ha permesso di aumentare la precisione, è stato l’utilizzo dei sensori iBeacon”. Nel frattempo sono arrivati i primi clienti: il polo fieristico di Verona, una sperimentazione all’interno dell’Ospedale di Modena, un museo in Puglia e persino una galleria d’arte a San Francisco. Non solo. Anche Fca ha scelto la tecnologia pugliese per la ricerca all’interno degli stabilimenti dei carrelli per rifornire le linee produttive. Eppure, far girare la macchina non è semplice. “Originariamente – dice Colucci che insieme agli altri due soci ha investito i propri risparmi e vinto un piccolo finanziamento della regione Puglia – pensavamo di poter fare da soli. Abbiamo investito un sacco di energie nella creazione di video e presentazioni. Poi abbiamo capito di avere bisogno di una persona che ci indirizzasse”. Nei tre ragazzi pugliesi ci ha creduto e investito l’angel investor Marco Bicocchi Pichi, da giugno presidente di Italia Startup. Ora si è aperta una nuova ricerca di finanziatori: “In Italia si è parlato molto di start-up ma i parametri per investire in queste realtà sono diventati sempre più severi, la percentuale di chi trova finanziamenti è molto bassa. I capitali ci sono ma, culturalmente poco avvezzi al rischio, devono ancora aprirsi a investire nei giovani e nelle start-up”.
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