Un'immagine della partita tra Italia e Scozia al Sei Nazioni 2022 (foto LaPresse)

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Massimo Cuttitta è ancora una presenza nel mondo del rugby

Marco Pastonesi

Sabato a Edimburgo Scozia e Italia si giocano la Cuttitta Cup oltre la vittoria nell'ultima partita del Sei Nazioni 2023, il trofeo che unisce Highlanders e Azzurri nel ricordo di Massimo, 70 presenze in Nazionale e sei anni responsabile della mischia scozzese

I piloni – mischia, prima linea, uno a destra, l’altro a sinistra, in mezzo c’è il tallonatore – sono le fondamenta di una casa, i fanti in trincea della Grande Guerra, il leggere e lo scrivere in prima elementare. Senza, crolla tutto. Hanno soprannomi da animali (“Os”, bue, per il sudafricano Jocobus Petrus Du Randt), o legati alle dimensioni dei capoccioni (“Watermelon”, anguria, per il gallese Gethin Jenkins), o riferiti alla superficie base per altezza (“Bus” per l’inglese Jason Leonard, anzi, “Fun Bus” per riconoscerne la vena umoristica). A Massimo Cuttitta fu regalato un soprannome che non sembra avere nulla a che fare con la sua stazza, la sua forza, la sua possanza: “Mouse”, topolino. Ma la dedica risale a quando era un bambino e sul campo si muoveva rapido, scattante, imprendibile.

   

Sabato alle 13.30 a Murrayfield, Edimburgo, in Scozia-Italia, la prima delle tre partite dell’ultima giornata del Sei Nazioni 2023 (diretta su SkySport1 e Tv8), è in palio la Cuttitta Cup, il trofeo che unisce e divide Highlanders e Azzurri nel ricordo di Massimo, 70 presenze nella Nazionale italiana e sei anni responsabile della mischia della Scozia. La coppa è stata voluta dalla Federazione scozzese: quattro chili e mezzo, realizzata in argento dagli argentieri della gioielleria Hamilton & Inches di Edimburgo, è fatta di otto pezzi come i giocatori che compongono il pacchetto degli avanti, cioè il basamento in legno di noce dell’East Lothian per richiamare il legame con la Scozia, la targa con l’incisione Cuttitta Cup in caratteri romani per ricordare l’origine italiana, un pallone da rugby con i loghi di Scottish Rugby Union e Federazione italiana rugby, un raccordo di appoggio per il pallone, le bandiere che circondano il trofeo, i due manici come se fossero i due piloni, e l’iscrizione che ribadisce la forgiatura del trofeo a Edimburgo. Un anno fa la prima edizione della Cuttitta Cup venne conquistata dalla Scozia, che a Roma vinse 33-22.

     

“Mouse” era speciale. Davvero. Sul campo sprigionava solidità e veemenza, come se con la maglia numero 1 indossasse anche un’armatura, e una tempra, metalmeccanica. Fuori dal campo era di una timidezza, di una riservatezza, anche di un pudore sorprendenti. Gli amici confidano come fosse sufficiente la presenza di una donna, senza neppure il barlume di un vago corteggiamento, perché Massimo tradisse la sua sensibilità e in viso diventasse rosso. Il giorno in cui il superclub Italian Classic XV lo laureò ad honorem chiamandolo a una lectio magistralis, tema la mischia come maestra di vita, Massimo non se la sentì di alzarsi dal suo posto confuso nel pubblico e salire sul palco, ma si accontentò di assistere a introduzioni, prolusioni, spiegazioni, discorsi, filmati e saluti. “A suo modo – dice Giorgio Monaco, amministratore delegato di Italian Classic XV – fu una lectio magistralis di pudore”. “Massimo era serio, sincero, disponibile, affidabile – aggiunge Massimo Giovanelli, compagno e capitano di “Mouse” anche in Nazionale –, il meglio che si possa desiderare da uno che, sul campo, gioca con te per la vita o la morte”.

   

Il rapporto più stretto, ancora prima di nascere, fu con il gemello (monozigote) Marcello. Che racconta: “Inseparabili, uno l’ombra dell’altro. Se uno si ammalava, anche l’altro si sentiva male. E questa facoltà è continuata per sempre. A fine carriera, a Prato, quando ero giocatore e allenatore dell’Alghero, subii la frattura scomposta dell’omero sinistro. Lui stava giocando a Roma, si alzò da una mischia e chiese che cosa mi fosse successo. Nessuno lo sapeva. Fui io a chiamarlo al telefono e a raccontargli l’infortunio”. Il gemellaggio venne allontanato, di poco, nello sport: Massimo pilone e Marcello ala sui campi da rugby, Massimo peso e disco e Marcello 200 e 400 metri sulle piste di atletica. L’educazione sudafricana contribuì a forgiarne il carattere e rivelarne il talento. Per Massimo un programma degno dei Marines: su e giù per le colline, scatti e accelerazioni a zig zag sui prati, infine – e qui “Mouse” ci mise del suo – sollevando pesi nel cortile. Un’arte elaborata studiando le posizioni statiche e le linee di forza per non disperdere energie. Non basta mettere le fondamenta per edificare una casa: la casa deve essere resa antisismica. E ogni mischia, si sa, equivale a un terremoto.

   

Massimo Cuttitta è morto due anni fa, l’11 aprile 2021, per complicazioni dovute al Covid. Aveva 54 anni. Furono giorni terribili. Poche ore dopo passò il pallone (il mondo del rugby usa dire così) anche Marco Bollesan, un altro guerriero, di un’epoca precedente. Quello fu coniderato il nostro tributo ovale a una epidemia planetaria. Ma i rugbisti (anche questo si usa dire fra i cittadini di Ovalia) non muoiono mai. “Mouse” continua a spingere non solo con la Cuttitta Cup, ma anche con la Cuttitta Challenge, un torneo internazionale giovanile che coinvolge un migliaio di piccoli rugbisti. Magari, chissà, forse un giorno uno di loro diventerà grande come Massimo. Il più grande topolino che si ricordi.

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