Foto LaPresse

Il viaggio dell'Elettrotreno di Forlì è terminato. L'addio a Ercole Baldini

Marco Pastonesi

La sua andatura in pianura, il suo ritmo a cronometro, la sua energia sul passo, la sua esplosività in corsa lo promossero immediatamente a erede di Fausto Coppi. Conquistò il record dell'Ora, vinse il titolo olimpico, un Giro d'Italia e un Mondiale

Signori, si scende. Il viaggio sull’Elettrotreno di Forlì è terminato alle 19 di ieri, giovedì 1° dicembre 2022. Locomotore e vagoni avevano 89 anni, quasi 90. Ormai sbuffavano e cigolavano, arrancavano e stridevano. Era giunto il tempo di fermarsi per sempre.

 

È morto Ercole Baldini, l’Elettrotreno di Forlì, così ribattezzato quando la sua andatura in pianura, il suo ritmo a cronometro, la sua energia sul passo, la sua esplosività in corsa lo promossero immediatamente a erede di Fausto Coppi. Il Campionissimo c’era ancora – e ci sarà sempre – ma si cominciavano a intravedere le luci del tramonto. E l’Italia non voleva perdere il primato nel ciclismo, lo sport più popolare, dunque più sociale, più stradale, dunque più teatrale, più giornalistico, dunque anche più letterario.

  

Il nome Ercole profetizzava imprese eroiche, il cognome Baldini sarebbe rimasto l’unico diminutivo di una vita, in bici e poi giù dalla bici, esplorata e consumata alla grande. Lui, campione anche in modestia, avrebbe poi confidato che la sua traiettoria agonistica è stata quella di una meteora. In tre anni conquistò il record dell’ora al Vigorelli e il titolo olimpico su strada ai Giochi di Melbourne nel 1956, il Giro d’Italia e il Mondiale nel 1958, nonché campionati italiani su strada e su pista, in tutto una quarantina di vittorie in otto anni di professionismo. E così da Elettrotreno fu promosso a Diretto, Direttissimo, Espresso, se avesse corso in questi tempi di alta velocità sarebbe stato una Frecciarossa. Il massimo, per il suo motore umanamente romagnolo, era un percorso piatto come una tavola di biliardo e diritto come quello dell’Orient Express. A queste due condizioni, era irresistibile, perfino per uno specialista di classe ed eleganza cone Jacques Anquetil. A tradirlo, forse, anche, il vagone ristorante: a tavola, spesso, non sapeva tirarsi indietro. E ogni granno, in salita, si moltiplica fino a diventare un chilo.

  

Ercole Baldini era, del Giro d’Italia, il più antico vincitore della classifica generale, il più antico proprietario di una maglia rosa, il più antico vincitore di tappa. Bisognerà aggiornare le statistiche. Accompagnò Coppi, il suo idolo giovanile, in un trionfale Trofeo Baracchi, quello del 1957, la cronocoppie che chiudeva le stagioni e consacrava i vincitori. Meno affettuoso il rapporto con la Dama Bianca, impaurita dell’ombra con cui Ercole avrebbe potuto oscurare il suo Fausto (o farne dimagrire gli ingaggi). Per tutti gli altri corridori Baldini sarebbe stato compagno, amico, mentore, guida, maestro, esempio, modello, soccorritore, punto di riferimento. Prima da corridore, poi da direttore sportivo, quindi sempre nel ciclismo procurando contatti e contratti, sponsor e finanziamenti, e ancora ricordi e testimonianze. La sua generosità era proverbiale. Quando affidò le proprie memorie a Rino Negri, storica firma della “Gazzetta dello Sport”, chiarì immediatamente che l’intero ricavato del libro sarebbe andato in beneficenza. Per dire solo di una delle sue iniziative, forse la più modesta nei guadagni. E quando riunì le sue memorabilia – biciclette, maglie, scarpe, caschi, giornali, libri, dorsali, fotografie, figurine, cartelloni pubblicitari -, vi dedicò uno spazio all’interno della propria villa, ma aperto a scuole, società ciclistiche, semplici appassionati alle prese con una esigente nostalgia. La verità è che non si tirava mai indietro. “Un giorno ricevetti una telefonata da Dino Zandegù. Ercole, mi devi aiutare, comprami un po’ di vino, sennò mi licenziano. Gli risposi sì, dai, certo, mandamene un po’. Poco tempo dopo suonarono al cancello, fuori c’erano un camion e mezzo, carichi di scatoloni di Recioto e Amarone. Intasata la cantina, non sapevo più dove sistemarli. E nonostante mi sia impegnato, personalmente e anche con regali, ci sono ancora bottiglie da stappare. Fino a un certo punto il vino, invecchiando, migliora. Dopo quel certo punto, rischia di andare a male”.

 

Lui non è mai andato a male. Gli ultimi tempi non sono stati certo all’altezza della sua gloria, della sua forza, del suo altruismo. La testa c’era sempre, ma la vista si era annebbiata, le gambe rallentate, il cuore indebolito. Aveva battuto tanto, quel cuore. Aveva battuto il tempo, nelle cronometro. Finché ha battuto la fine, nel proprio letto. Signori, si scende.

Di più su questi argomenti: