Foto: Epa/Ali Haider

Il Foglio sportivo

La Formula 1 si è inventata i piloti bandiera

Umberto Zapelloni

Dopo Hamilton, Leclerc e Norris anche Verstappen firma un contratto lunghissimo: che cosa c’è dietro

La nuova era della Formula 1 sta per cominciare. Tra una settimana in Bahrain il primo Gran premio dell’anno darà il via alla stagione più lunga mai vista prima, considerando che Liberty Media e il suo nuovo consulente-ambasciatore, Flavio Briatore, stanno lavorando per inserire in calendario un 23esimo Gran premio dopo la sacrosanta cancellazione di quello in Russia. È l’anno della rivoluzione aerodinamica, di monoposto molto diverse tra loro che forse solo oggi nell’ultima giornata di test pre mondiali si toglieranno i veli facendoci capire chi ha indovinato la soluzione vincente. Per ora sono già ripartite le polemiche, le accuse, le proteste contro le forme rivoluzionarie della nuova Mercedes, così diversa dalla Ferrari e dalle altre pretendenti.

È una Formula 1 rivoluzionaria dal punto di vista tecnico, ma sorprendente anche da quello umano. Sta scoprendo i pilota bandiera, quelli che firmano contratti infiniti per restare praticamente a vita nella stessa squadra. Un campionato di Maldini e Totti per fare un paragone calcistico. I top team cambiano filosofia, vanno a caccia di giovani talenti, li prendono quando ancora devono diventare campioni e poi se li trattengono in casa per sempre. O quasi. Un diamante è per sempre. Un campione anche. Lewis Hamilton, pur rinnovando sempre per due, al massimo tre anni, è alla sua decima stagione con la Mercedes, quasi un record in uno sport abituato a bruciare in fretta i rapporti di lavoro. Ma se quello di Hamilton è un caso a parte, figlio anche del fatto che solo un pazzo avrebbe potuto lasciare la squadra dominatrice degli ultimi anni, diverso è il discorso relativo a Leclerc, Norris o Verstappen che hanno firmato legami lunghissimi con Ferrari, McLaren e Red Bull.

Leclerc nel dicembre 2019 aveva firmato un contratto quinquennale con Maranello, il primo così lungo nella storia del Cavallino che neppure a Michael Schumacher aveva mai offerto contratti che andassero oltre i tre anni. Norris qualche anno dopo ha fatto lo stesso con la McLaren prolungando il suo rapporto fino al 2025. Poche settimane fa il nuovo campione del mondo Max Verstappen ha firmato con la Red Bull con cui corre dal 2016 (ma già nel 2015 era nel team satellite, la Toro Rosso) un contratto che lo legherà alla squadra di Horner e Newey fino al 2028.

È anche uno dei contratti più ricchi di sempre, compresi i bonus probabilmente il più ricco di sempre visto che gli garantirà 45/50 milioni di dollari a stagione, ma non sono stati i soldi a comprare la sua fedeltà. Max è stato scoperto e allevato dalla Red Bull e non ha sentito il bisogno di andare a cercare guai da un’altra parte. Forse ha visto quello che è capitato a Vettel, passato alla Ferrari dopo i quattro mondiali con la Red Bull. La scuderia di Chris Horner che sta discutendo la partnership motoristica con il gruppo Volkswagen (si parla di Porsche) aveva bisogno di un contratto lungo con il nuovo campione del mondo almeno per due motivi: per sottrarlo alla concorrenza in agguato (Hamilton ormai ha 37 anni) e per offrire ai muovi motoristi un nome di assoluto richiamo.

Verstappen a fine contratto avrà totalizzato 10 stagioni in Red Bull, ma avrà solo 31 anni. Potrebbe ancora avere una vita altrove, anche se oggi proprio non se la immagina. Schumacher rimase 11 anni in Ferrari e poi, dopo la pausa, ritornò in Mercedes. Hamilton chiuderà la carriera in Mercedes dopo i primi 6 anni passati alla corte di Ron Dennis, l’uomo che lo aveva aiutato da bambino. Quando Niki Lauda e Ross Brawn gli proposero la sfida Mercedes (ci mise un po’ a diventare vincente), Hamilton si lasciò convincere tradendo il team che gli aveva dato tutto.

Oggi i top team hanno cambiato strategia. Non vanno a caccia di campioni già affermati. Scelgono un giovane, magari cominciano ad allevarlo nelle rispettive Academy, lo fanno crescere, lo plasmano come farebbe uno scultore con la sua opera d’arte, poi se lo tengono stretto ingabbiandoli con contratti che sanno tanto di legami per la vita. Una volta nessuna delle parti in causa si prendeva il rischio di un contratto così lungo. I legami duravano due, tre anni non di più. C’è quasi la sensazione che i team non vogliano correre il rischio di vedere vincere con altri piloti che si sono costruiti in casa. Non vogliono che capiti quello avvenuto con Hamilton e la McLaren per intenderci. Trasformare i giovani in campioni è un po’ la filosofia che aveva sempre seguito Enzo Ferrari. Pensate a Lauda o a Villeneuve. Presi dal nulla o quasi e trasformati in piloti vincenti.

A proposito di Ferrari, oggi è un giorno speciale: settant’anni fa a Maranello Enzo Ferrari metteva in moto la prima auto che portava il suo nome. Con la 125S stava cominciando una storia che è andata oltre i sogni. Era il 12 marzo del 1947, l’Italia e il mondo erano appena usciti da una guerra e un uomo di 49 anni si stava inventando una fabbrica destinata a diventare leggenda. Nessuno avrebbe immaginato sarebbe arrivata fin qui diventando quel che è diventata.