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e venne il cholismo

Dieci anni di Cholo a Madrid. Così Simeone ha cambiato l'Atletico

Federico Giustini

Il 21 dicembre di dieci anni fa i Colchoneros venivano sconfitti, ed eliminati, in Coppa del Re dall’Albacete, squadra di terza divisione. L'arrivo dell'argentino in panchina cambiò tutto

È stata la mano del Cholo. A qualcuno suonerà blasfemo: comprensibile. Oggi però ricorrono i dieci anni dall’arrivo di Simeone sulla panchina dell’Atletico Madrid e parlare ora di miracolo calcistico non è poi così assurdo.

A dicembre 2011 governava il caos. In quei giorni bandiere del club come Javier Irureta e Adelardo esprimevano pareri particolarmente sferzanti: “Alla radice di tutti i problemi c’è questa situazione di instabilità permanente” disse il primo; “È impossibile costruire una squadra comprando 12 giocatori nuovi ogni anno, così si perde il sentimento Atletico” fu invece l’analisi del secondo, vale a dire l’uomo con più presenze con la maglia dei Colchoneros.

 

Il 21 dicembre di dieci anni fa l’Atletico Madrid era stato appena sconfitto, ed eliminato, in Coppa del Re dall’Albacete, squadra di terza divisione. A pagare fu l’allenatore Gregorio Manzano, già pericolante per i risultati deludenti in campionato. Per ripartire, dal decimo posto in Liga e dopo un’estate che aveva visto la partenza di Agüero, Forlan e De Gea, fu scelto un idolo della tifoseria, invocato dai cori del Calderón nel secondo deludente tempo della sfida con l’Albacete: Diego Pablo Simeone. Di Simeone erano noti il carisma e l’attitudine a saper trascinare. Da giocatore, in riva al Manzanarre, era stato uno dei protagonisti della mitica squadra che nel 1996 vinse Liga e Coppa del Re. Da allenatore, in solo cinque anni di carriera, aveva già mostrato di saperci fare: ottimi erano stati i sei mesi a Catania e, prima ancora, aveva già vinto due campionati in Argentina (uno con l’Estudiantes, uno con il River Plate tra il 2006 e il 2008).

 

La dimensione dell’Atletico Madrid dell’epoca era quella di un club che si era rialzato dopo la retrocessione e i guai giudiziari che avevano coinvolto il presidente Jesús Gil a inizio millennio. Con Enrique Cerezo - produttore cinematografico ed ex vice di Gil -  e Gil Marin - uno dei figli dell’ex controverso patron -  al comando,  la squadra si era riuscita a stabilizzare nella parte sinistra della classifica e nel 2010 a vincere l’Europa League. La cessione dei protagonisti di quel successo assomigliava molto all’inizio di uno smembramento, la certificazione dell’assenza di un progetto.

L’arrivo di Simeone ha rappresentato invece un cambio di paradigma su tutta la linea. Un’idea tattica basata sulla solidità difensiva che diventa filosofia – quel cholismo spesso criticato per alcune punte di antisportività e per un agonismo talvolta eccessivo – e che finisce per dare vita a un modello efficiente di progettare calcio. Un circolo virtuoso in grado di far rendere al massimo giocatori che in altri contesti tattici hanno fatto molto fatica (Tiago, Diego, Filipe Luis, Mario Suarez, Arda Turan) e di generare utili per il club. Un dato colpisce particolarmente: 83 calciatori sono stati ceduti dall’Atletico Madrid durante la gestione Simeone, per una cifra complessiva di 1 miliardo di euro.

Anche i numeri relativi al fatturato rivelano i meriti dell’allenatore argentino: al 30 giugno 2011 il fatturato del club ammontava a 94,6 milioni di euro, mentre al 30 giugno 2021 è di poco inferiore ai 340 milioni. Merito dei risultati sportivi, in grado di generare ricavi con le numerose e ormai fisse partecipazioni alla Champions, ma anche degli investimenti della holding cinese Wanda (che inoltre versa 10 milioni l’anno per i naming rights del nuovo stadio) tra il 2015 e il 2018 e il recente aumento di capitale da 120 milioni versati dal fondo americano Ares Management (ora socio al 33,9%). Il debito del club è tuttavia rimasto superiore ai 500 milioni di euro, ma dal 2017 l’Atletico Madrid ha uno stadio di proprietà, il valore della sua rosa si è più che triplicato (745,9 milioni contro i 208 del 2011/2012 secondo le stime di Transfermarkt) e un monte ingaggi passato in dieci anni da 55,8 milioni a 236,3.

 

Riscontri più tangibili del decennale lavoro di Simeone popolano la sala trofei dell’Atletico Madrid: due campionati spagnoli, due Europa League, due Supercoppe Europee, una Coppa del Re e una Supercoppa di Spagna. Nel segno di un’identità chiara, che ha resistito al cambiamento di molti protagonisti in campo, soprattutto dopo gli addii di Godin, Miranda, Filipe Luis e Juanfran in difesa, grazie a un coraggioso – e costoso – ricambio generazionale. Il passaggio alla difesa a tre non ha scalfito convinzioni e dettami, così come l’addio del Mono Burgos, molto più che un vice allenatore, lo scorso anno. Sì, si è vista la mano del Cholo.

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