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40 anni di nazionale

Quando i cantanti divennero Azzurri: "Simpatia da 110 milioni"

Furio Zara

Le partite contro D'Alema, il ct che caccia Battiato, i 90mila dell'Olimpico per vedere la musica giocare a pallone (e riscrivere i record della beneficenza). Il racconto di Mingardi: "Quasi per gioco, nacque una squadra vera e amata da tutti"

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Quarant’anni fa - anno di grazia 1981 - nasceva la Nazionale Italiana Cantanti. Divenne subito un fenomeno di costume, impose un modo nuovo di fare solidarietà. Andrea Mingardi - uno dei fondatori - porta i suoi ottant’anni con il disincanto dei forever young. Il ricordo di quei giorni è limpido, divertito, affettuoso.
 

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Quarant’anni fa - anno di grazia 1981 - nasceva la Nazionale Italiana Cantanti. Divenne subito un fenomeno di costume, impose un modo nuovo di fare solidarietà. Andrea Mingardi - uno dei fondatori - porta i suoi ottant’anni con il disincanto dei forever young. Il ricordo di quei giorni è limpido, divertito, affettuoso.
 

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Mingardi, c'è un inizio prima dell'inizio, vero?
"Sì, già negli anni ’70 noi cantanti giocavamo partite amichevoli con gente dello spettacolo ed ex calciatori. Una volta giocai insieme a Piedone Manfredini, il centravanti della Roma anni ’60, e il grande Omar Sivori: (ride) capisci bene che così finisce che uno si monta la testa e insiste".

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E quindi avete insistito.
"Succede che dopo l'ennesima amichevole ci stiamo cambiando nello spogliatoio e Mogol, il più infoiato di tutti, ci fa: perché non facciamo una Nazionale? Lo guardo: e a noi chi ci seleziona? E Mogol: noi. Ridiamo tutti, ma da lì in poi si fa sul serio".


E nel 1981 nasce la Nic, Nazionale Italiana Cantanti.
"C’eravamo io, Mogol, Morandi, Sandro Giacobbe, Roberto Soffici, Claudio Daiano. A darci una mano furono due giovani impresari, Gianluca Pecchini e Gianmarco Mazzi. Capirono per primi l'enorme interesse che si era creato, ci fecero fare un periodo di amichevoli in Emilia e in Toscana, come una squadra vera. Ricordo una prova generale a Ponticino, dove abitava Pupo. I suoi avevano un albergo lì e allora veniva comodo, perché il bello è sempre stato giocare ma anche la cena, la tavolata, stare tutti assieme".


Lei era uno dei pochi che a calcio aveva giocato davvero.
"Portiere nelle giovanili del Bologna, fino a 18 anni. Ho giocato anche due partite con la nazionale juniores, contro Ungheria e Cecoslovacchia, vinte entrambe per 2-0. Ma per debuttare in A sarebbero dovuti morire tre portieri (ride). Nel 1959 mi chiese la Spal del presidente Mazza, lo chiamavano il Mago di Campagna. Il Bologna chiese un'enormità: 10 milioni di lire e la Spal si tirò indietro. All'epoca suonavo già la batteria con i “Golden Rock Boys”, prendevo anche i primi soldini e davanti ai miei genitori - che chiedevano: ma che lavoro è? - potevo dire: canto e suono, e pure mi pagano. Così lasciai il calcio e scelsi la musica".


E intanto la Nazionale Cantanti diventò una cosa seria.
"Nel 1984 a Genova c'erano 40.000 persone sugli spalti, con noi c'era già Ramazzotti che aveva vinto Castrocaro  e a Sanremo quell’anno aveva cantato «Terra promessa»: le ragazze erano pazze di lui. In quegli anni i colleghi facevano la fila per giocare, tutti volevano esserci. Nel 1991 per la Partita del Cuore all'Olimpico toccammo quota 90.000 spettatori. Quello è stato il periodo d'oro, gli incassi sono sempre finiti in beneficenza e solidarietà: in quarant’anni abbiamo raccolto l'equivalente di 110 milioni di euro, tutti controllati e tracciati, è una bella soddisfazione".


Vi siete molto divertiti.
"Da matti. Abbiamo giocato contro tutti: farmacisti, camionisti, piloti, becchini, giornalisti, donne. Contro i politici passai un tempo a prendere in giro D'Alema, perché l’avevano schierato sulla destra. La verità è che la Nazionale Cantanti ha dato la stura a tutte le nazionali atipiche".

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Racconti: quella volta che?
"Senti questa: primi anni ’80, giochiamo a San Siro contro la Nazionale Femminile, erano toste, c’era la Betty Vignotto, un fenomeno. Il nostro allenatore era l’ex Milan “Cina” Bonizzoni, un omone dai modi spicci, un milanese che parlava solo dialetto meneghino. Si presentano due nuovi, sono Battiato e Cocciante. Bonizzoni vede Battiato che si cambia, era così magro, uno scheletro senza muscoli, i calzettoni non gli stavano nemmeno su. Bonizzoni gli fa: lei ha mai giocato a pallone? Battiato con la sua voce sottilissima dice che una volta, da ragazzino, con l’Akragas, sì, forse una volta ha giocato, ma non si ricorda bene. Tremiamo tutti nell'attesa di vedere cosa succede. Bonizzoni lo squadra dall'alto in basso e poi: si rivesta, grazie".

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E vabbè. Sul ponte sventola bandiera bianca.
"Mica è finita. In un angolo c'è Cocciante, è tutto contento perché ha delle scarpe da calcio nuove, belle lucide. Bonizzoni lo porta in panchina, ma prima dice alla squadra: sta a vedere che fa gol di testa ‘sto piccoletto. Tieni conto che Cocciante seduto in panchina con i piedi non toccava terra. Alla fine Bonizzoni fa entrare tutti ma non lui. Questo per dirti che ci tenevamo a vincere e fare bella figura, altro che".


Chi era il collega più bravo?
"Il più calciatore di tutti è Luca Barbarossa. Fisico, tecnica, senso della squadra. Gli davi il pallone in profondità e lui andava in porta, contro i dentisti e i dj non lo teneva nessuno. Anche Ramazzotti aveva qualità, però tirava in porta da casa sua. Ruggeri lo chiamavamo «Il tacco di Dio», se non faceva un colpo di tacco a partita non era contento. Una volta a metà campo mise il piede sul pallone e si guardò attorno. Così io urlai: Enrico non pensarci, è peggio".

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E il più scarso?
"Tante sciagure, ma ti dico il più presuntuoso: Massimo Bubola. Bravino, eh, ma come se la tirava. Eravamo amici, ma in campo gli avrei dato due cazzotti in bocca: non la passava mai, voleva fare tutto lui. Una volta c'è un calcio di punizione, ed ero io lo specialista. Mi avvicino al pallone e scambio un’occhiata con Morandi, avevamo una strategia. Sto per prendere la rincorsa, ma mi passa davanti Bubola, Morandi lo ferma in tempo e lo spinge via. Bubola allora spintona Morandi, così Gianni chiama l'arbitro e gli fa: lo cacci, mi ha spinto. Capito? Compagni di squadra, e Morandi fece cacciare Bubola. Un mito, Gianni, ci conosciamo da quando eravamo «cinni», in campo correva per due, ma sempre guardando per terra, tanto che lo prendevo sempre in giro: Gianni, hai perso il portafoglio?".


Mingardi, ha tenuto il conto delle partite che ha giocato?
«Certo, tra amichevoli e ufficiali sono 550, con 119 gol. La più bella? A Genova, contro i piloti Siamo sul 2-2, manca un minuto alla fine. Calcio di punizione, dico a Paolo Belli: vai dentro che te la metto in testa. Così è. Tuffo di Paolo, 3-2 per noi, mamma mia che goduria. Ho smesso nel 2005, a 65 anni, le mie ginocchia urlavano aiutooooo: poteva anche bastare, no?".

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