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Quando si accese (in anticipo) la fiaccola delle Olimpiadi di Roma 1960

<p>Fu Giancarlo Peris l'ultimo tedoforo di quell'edizione dei Giochi olimpici che iniziavano 60 anni fa. La storia di quei dieci minuti nel tunnel dello Stadio Olimpico in attesa del pronti-via</p>

Marco Pastonesi
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Non vedeva nulla. Non sentiva nulla. Non provava nulla. Aveva un solo pensiero: non sbagliare nulla. Un piede dopo l’altro, passi corti e sicuri, senza indugiare, senza scivolare, senza inciampare. Trecentocinquanta metri, dal sottopassaggio che va dallo Stadio dei Marmi fin dentro lo Stadio Olimpico, poi 92 gradini per salire dalla pista al braciere.

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Non vedeva nulla, Giancarlo Peris, ma dal buio del sottopassaggio fu poi investito dalla luce di quel pomeriggio romano. Non sentiva nulla, lo studente di Civitavecchia, ma dal silenzio dello Stadio dei Marmi fu poi scosso dal boato dello Stadio Olimpico. Non provava nulla, “Il fiaccolaro” (66thand2nd, solo ebook, 1,49 euro), ma la sua testa era come il centro di controllo delle missioni spaziali della Nasa, mille luci per segnalare qualsiasi eventuale anomalia, acido lattico zero, ma adrenalina a tutta.

  

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25 agosto 1960. Un giovedì. Ore 17.30. Sole, caldo. Diciassettesima edizione dei Giochi olimpici dell’era moderna. Roma, che quando è tirata a lucido, quando è messa giù da gara, non ha eguali nella bellezza. Giancarlo Peris aveva 18 anni, indossava una maglietta bianca a mezze maniche con uno stemma sul petto, la lupa e i cinque cerchi, i pantaloncini corti bianchi, le calze corte bianche, le scarpe – Superga - bianche. Gli consegnarono la fiaccola. Era già accesa. Era stata accesa il 12 agosto a Olimpia, nel tempio di Era, da un’attrice greca, Aleka Katseli, vestita da antica sacerdotessa, frapponendo una lente fra il sole e la torcia. Il primo tedoforo era stato un decathleta greco che avrebbe partecipato ai Giochi di Roma, Penaghiotis Eritropoulos. Poi la fiaccola aveva viaggiato, di mano in mano, per 330 chilometri, fino ad Atene, quando il 13 agosto era stata consegnata al principe Costantino. Da qui era giunta al Pireo, portata su una baleniera greca, poi trasferita sulla nave-scuola Amerigo Vespucci e il 18 agosto sbarcata a Siracusa vicino alla Fonte Aretusa. Quindi impugnata, sollevata e traslocata di giorno, in frazioni di mille metri (quando c’era una salita) oppure di 1500, ciascuna in cinque minuti e mezzo, da 1.198 tedofori, il primo era stato l’arbitro di calcio Concetto Lo Bello, l’ultimo, il numero 1.199, era lui, Giancarlo Peris, 18 anni, scelto perché campione di corsa campestre della provincia di Roma.

 

Come previsto, Pierantonio Di Ronzo, il tedoforo numero 1.198, arrivò puntuale, alle 17.29’50”. Peris avrebbe dovuto scattare alle 17.30’. Ma doveva aspettare il pronti-via. Una formalità. Ma il pronti-via non arrivava. Un minuto, due, tre. Peris, nervoso, con la fiaccola, accesa. Quattro minuti, cinque, sei. Peris, nervosissimo, con la fiaccola, accesissima. Sette minuti, otto, nove. Niente. Anni dopo, Peris incontrò Giulio Andreotti, all’epoca presidente del Comitato olimpico locale. Andreotti gli domandò, finalmente, il motivo di quel ritardo. Peris gli rispose, sinceramente, che era lui a voler ancora conoscere il motivo di quel ritardo. Allora Andreotti gli raccontò, confidenzialmente, che non sapeva più come tirarla per le lunghe. Perché, insomma, Andreotti aspettava un segnale dal tunnel e dal tunnel si aspettava un segnale da Andreotti.

  

Mentre Peris cercava di mantenersi freddo, tranquillo, concentrato, accanto a lui, Oscar Barletta, il suo allenatore, era di una calma – appunto - olimpica. Così olimpica che si avvicinò a Peris, allungò una sigaretta alla torcia e se l’accese. “Lo devo fa’ – gli disse -. E quando mai mi ricapiterà un’occasione del genere?”.

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Fu lì, con una decina di minuti di ritardo, che arrivò il pronti-via e fu lì che Peris non vide nulla, non sentì nulla, non provò nulla: 350 metri e 92 gradini, si ritrovò di fianco al tripode e, sempre con lo sguardo rivolto verso il centro della pista, avvicinò la fiaccola alla lamiera. Ma prima che lo facesse, il braciere si accese da solo. Per poco, per niente, per una frazione di secondo. Ma la fiamma divampò prima che Peris avesse calato la torcia. Era successo anche alla prova generale, una settimana prima. Peris aveva scoperto che la fiamma era già accesa ma, per sicurezza, al minimo: e che un addetto, al momento giusto, cioè contemporaneamente al suo gesto, avrebbe dovuto dare gas. Peris lo aveva avvisato – ahò, aspetta ‘n attimo! -, ma l’addetto al braciere dell’inaugurazione non era lo stesso addetto della prova generale, e anche lui si era fatto prendere dalla fretta, dall’ansia, dall’emozione.

  

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Ma nessuno se n’era accorto. Tutti suonati dalle bande, tutti storditi dal sole, tutti volati con i colombi, tutti percorsi dai brividi, tutti tedofori romani.

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