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il foglio sportivo

Una Champions League tedesca

Giorgio Dusi e Giorgio Tosatto

Come è successo che in finale ci sono andati Flick e Tuchel. Storie diverse di due allenatori simili

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La prima e fino all’altro ieri unica volta che due tecnici tedeschi si sono trovati l’uno contro l’altro in finale di Champions League risale al 2013. A Wembley, Bayern Monaco contro Borussia Dortmund. Jupp Heynckes contro Jürgen Klopp. Sette anni fa, Hans-Dieter Flick era vice di Joachim Löw nella Germania che un anno dopo avrebbe vinto il Mondiale. La panchina del Bayern probabilmente non era nemmeno nei suoi pensieri. Thomas Tuchel, invece, aveva ereditato il Mainz da Klopp e aveva appena chiuso la sua quarta stagione al tredicesimo posto in Bundesliga. Nel giro di sette anni, la loro carriera è cambiata. Come Klopp ed Herr Jupp sette anni fa, Flick e Tuchel sono l’uno contro l’altro in finale di Champions League. Per la prima volta nella loro carriera. Non si erano mai incrociati né da giocatori, né da allenatori, anche se Flick ha dichiarato di essere andato a trovare il collega a Parigi qualche tempo fa, apprezzandone il lavoro. Si stringeranno la mano al Da Luz. E chi se lo aspettava nel 2013.

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La prima e fino all’altro ieri unica volta che due tecnici tedeschi si sono trovati l’uno contro l’altro in finale di Champions League risale al 2013. A Wembley, Bayern Monaco contro Borussia Dortmund. Jupp Heynckes contro Jürgen Klopp. Sette anni fa, Hans-Dieter Flick era vice di Joachim Löw nella Germania che un anno dopo avrebbe vinto il Mondiale. La panchina del Bayern probabilmente non era nemmeno nei suoi pensieri. Thomas Tuchel, invece, aveva ereditato il Mainz da Klopp e aveva appena chiuso la sua quarta stagione al tredicesimo posto in Bundesliga. Nel giro di sette anni, la loro carriera è cambiata. Come Klopp ed Herr Jupp sette anni fa, Flick e Tuchel sono l’uno contro l’altro in finale di Champions League. Per la prima volta nella loro carriera. Non si erano mai incrociati né da giocatori, né da allenatori, anche se Flick ha dichiarato di essere andato a trovare il collega a Parigi qualche tempo fa, apprezzandone il lavoro. Si stringeranno la mano al Da Luz. E chi se lo aspettava nel 2013.

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Forse Tuchel, che già allora era stato individuato come possibile successore di Klopp sulla panchina del Dortmund. Stessa aggressività a livello tattico, diverso carisma, ma calcio entusiasmante e formazione scuola Mainz, come Kloppo. L’avvicendamento del 2015, però, come risultato avrebbe portato “solo” una Coppa di Germania e un addio senza troppi rimpianti, per nessuno. Tra le cause, la poca empatia con i giocatori. Il culmine: 11 aprile 2017, quarto di Champions contro il Monaco. Il giorno più drammatico della storia recente del club. Il viaggio in pullman della squadra verso il Westfalenstadion, lo scoppio della bomba, i giocatori sotto shock, Bartra ferito, la partita rinviata e le polemiche. Come raccontato dal giornalista Pit Gottschalk nel libro Kabinengeflüster (“Spifferi di spogliatoio”) il punto di non ritorno in un rapporto già non idilliaco tra l’allenatore, la dirigenza e lo spogliatoio si concretizza nella riunione tecnica la mattina seguente. Squadra in lacrime. Tuchel, sotto pressione, lancia la provocazione alla dirigenza: “Come posso battere il Bayern con questo branco di femminucce?”. Ora può provarci, anche se con un altro club. Il suo nome è stato in orbita Bayern per la prima volta per il dopo Ancelotti. Poi, la chiamata del PSG. Due anni tra amore e odio, una pioggia di trofei (non una novità a Parigi). Oggi il quarantasettenne ha l’opportunità di cambiare la propria storia e quella del club. Una responsabilità per cui servono spalle larghe. Le stesse che servono per allenare il Bayern. Forse le avrebbe avute: non ha mai avuto l’occasione di dimostrarlo, nonostante i flirt continui.

 

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Flick, invece, le ha. Come le aveva già da giocatore. I suoi maestri in cinque anni di Bayern, dal 1985 al 1990, si chiamavano Udo Lattek e Jupp Heynckes. Il gotha. Nel 1987 ha anche giocato la sua prima e unica finale di Champions League: titolare nel centrocampo del Bayern a 22 anni. Faceva reparto con Matthäus e Brehme, perse contro il Porto di Futre. Tuchel, invece, da giocatore ha ottenuto al massimo una manciata di presenze in seconda divisione. Si è formato con la forza delle idee, ispirate da Ralf Rangnick. L’ex manager del Lipsia è stato suo allenatore per un solo anno, all’Ulm, nella stagione 1997/98, l’ultima del Tuchel giocatore. Facile credere che sia stato proprio lui a convincere il 25enne Thomas a intraprendere il percorso da allenatore iniziato pochi anni dopo, proprio con Rangnick, a Stoccarda. E che lo avrebbe portato fino al top. “Già da allora si vedeva che voleva capire tutto e imparare, era chiaro che avesse il DNA per diventare un ottimo allenatore” ha poi detto Rangnick. Michael Reschke, dirigente del Bayern dal 2014 al 2017, ha confessato che Guardiola avrebbe voluto Tuchel come suo erede. Quando Pep se n’è andato, l’allora tecnico del Dortmund aveva sottolineato quanto fosse una perdita pesante per il calcio tedesco. Tra i due c’era affinità, non soltanto a livello di ideologia calcistica, ma anche come voglia di sapere, di conoscenze. Per la verità i pochi scontri diretti con Pep non finirono benissimo per Tuchel: un pareggio e quattro sconfitte, di cui una ai rigori in una finale di Coppa. Per la media, comunque, il rapporto tra Tuchel e il Bayern è quasi positivo: lo ha battuto per cinque volte in 17 incontri, in tre casi con il Mainz. L’ultimo successo è anche l’ultimo incontro: 26 aprile 2017, semifinale di Coppa di Germania, gara secca all’Allianz Arena. Memorabile 2-3, con uno show di Ousmane Dembelé. Quello che a Dortmund stregò tutti e si guadagnò il ruolo di erede di Neymar per 160 milioni. Lo stesso Neymar che oggi è la star della squadra di Tuchel.

 

Tre anni fa, invece, Hansi Flick stava lasciando il suo incarico dirigenziale nella Nazionale per tornare all’Hoffenheim, sempre dietro la scrivania, per qualche mese. La stagione 2018/19 l’ha vissuta da spettatore, poi la chiamata del Bayern Monaco, irrinunciabile. Cercavano un vice per Niko Kovac. Flick è sempre stato abituato a fare la spalla, sin da quando giocava. Lo è stato per due mesi con Trapattoni, poi i diverbi tattici hanno portato all’addio. Lo è stato con Löw per otto anni nella Mannschaft, finendo la corsa al Maracanã, con la Coppa del Mondo in mano. Lo è stato per quattro mesi anche con il croato, prima di prendere il suo posto ad interim. Definizione che gli andava stretta. I rumor lo davano come traghettatore, in attesa proprio di Tuchel. Ma dopo lo 0-3 contro il Chelsea di marzo, quando il Bayern sembrava tornato alla miglior versione, come non si vedeva dai tempi di Heynckes, Rummenigge gli ha regalato una penna per il compleanno: “Con questa al Bayern si firmano i contratti”. Un mese dopo, il rinnovo fino al 2023 e il primo incarico da capo allenatore ufficiale dopo quasi 15 anni dall’ultimo, chiuso con l’esonero all’Hoffenheim. Il ciclo dopo il suo era stato quello di Ralf Rangnick. Uno dei suoi allievi sarà il rivale in finale Champions League. Quando si parla di scuola.

 

Giorgio Dusi e Giorgio Tosatto 

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