PUBBLICITÁ

Da Sarri a Pirlo. La Juve ha cambiato architetto, nuova estetica per lo stesso progetto

Pierluigi Pardo e Lorenza Baroncelli

Dall’uomo della gavetta al genio senza panchine. La rivoluzione bianconera va avanti con un allenatore che dovrebbe interpretare la svolta “giochista” fallita dall'allenatore toscano

PUBBLICITÁ

Quando Salvador Dalì arrivò a Manhattan nel 1934 con sottobraccio una baguette di due metri per stupire il mondo dell’arte newyorkese venne ripagato dall’élite intellettuale di Coney Island con la più inaccettabile delle monete e la più feroce delle umiliazioni: l’indifferenza. Nessuno tra i critici e i giornalisti in conferenza stampa fece infatti un minimo accenno a quel pane gigantesco che teneva sottobraccio e che nelle ambizioni dell’artista spagnolo doveva rappresentare un vivente (e croccante) manifesto surrealista. Il suo arrivo fu un fallimento totale perché come racconta Rem Koolhaas in Delirious New York “Il surrealismo in quel momento era invisibile a Manatthan”. E pure il sarrismo alla Juve, oggi lo possiamo dire con ragionevole certezza. Le rivoluzioni, del resto, costano fatica, si fanno solo tutti insieme e se si è davvero convinti. Berlusconi difese Sacchi nei momenti di difficoltà, soprattutto dopo l’eliminazione contro l’Espanyol nel 1987, appena arrivato alla guida del Milan, perché nel profondo si fidava di lui, sapeva che quell’uomo poteva portarlo lontano. Il ministro dell’Urbanistica francese Dautry affidò nel 1946 il progetto della Cite Radieuse a Le Corbusier perché era stato profondamente sedotto dai suoi modelli teorici (che erano stati invece respinti a New York negli stessi anni di Dalì).

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Quando Salvador Dalì arrivò a Manhattan nel 1934 con sottobraccio una baguette di due metri per stupire il mondo dell’arte newyorkese venne ripagato dall’élite intellettuale di Coney Island con la più inaccettabile delle monete e la più feroce delle umiliazioni: l’indifferenza. Nessuno tra i critici e i giornalisti in conferenza stampa fece infatti un minimo accenno a quel pane gigantesco che teneva sottobraccio e che nelle ambizioni dell’artista spagnolo doveva rappresentare un vivente (e croccante) manifesto surrealista. Il suo arrivo fu un fallimento totale perché come racconta Rem Koolhaas in Delirious New York “Il surrealismo in quel momento era invisibile a Manatthan”. E pure il sarrismo alla Juve, oggi lo possiamo dire con ragionevole certezza. Le rivoluzioni, del resto, costano fatica, si fanno solo tutti insieme e se si è davvero convinti. Berlusconi difese Sacchi nei momenti di difficoltà, soprattutto dopo l’eliminazione contro l’Espanyol nel 1987, appena arrivato alla guida del Milan, perché nel profondo si fidava di lui, sapeva che quell’uomo poteva portarlo lontano. Il ministro dell’Urbanistica francese Dautry affidò nel 1946 il progetto della Cite Radieuse a Le Corbusier perché era stato profondamente sedotto dai suoi modelli teorici (che erano stati invece respinti a New York negli stessi anni di Dalì).

PUBBLICITÁ

  

La seduzione è spesso decisiva nell’affrontare i cambiamenti, aiuta a compiere atti di coraggio, una sfida nei confronti di se stessi e della propria comfort zone. Il discorso è ancora più vero quando queste innovazioni arrivano non a seguito di fallimenti ma come ulteriore tentativo di crescita. È certamente il caso della Juve con la sua lunghissima fila di scudetti vinti. Il cambio di mentalità richiede adesione totale e un po’ di leggerezza. “Che sarà mai?”, dice Francesco Piccolo nel suo Il desiderio di essere come tutti, con una liberatoria formula esistenziale che invita a guardare con filosofia alle piccole e grandi sfighe della vita. Prendersi poco sul serio e sorridere di fronte alle provocazioni. Quella di Sarri verso la filosofia tradizionale del mondo bianconero era oggettivamente un’utopia potente, ma alla fine non ha funzionato.

 

PUBBLICITÁ

Viene in mente la scultura col dito medio di Maurizio Cattelan in Piazza Affari, davanti alla Borsa di Milano. Doveva essere un’opera temporanea, ma è rimasta lì stabilmente. Perché quella scultura provocatoria verso l’universo del profitto e della finanza piaceva alla giunta di Giuliano Pisapia con Stefano Boeri in prima fila, perché non portava così male ai listini azionari e soprattutto faceva sembrare i geni della finanza anche campioni di autoironia.

 

Sarri no. La sua statua è stata abbattuta in un giorno, dopo l’eliminazione contro il Lione. La sua discontinuità non ha evidentemente convinto l’ambiente, i senatori e forse nemmeno il presidente Agnelli che il giorno della conferenza stampa di presentazione era seduto in prima fila tra i giornalisti e non al suo fianco come i maliziosi adesso si affrettano a ricordare. Altro indizio di un feeling estetico e umano forse mai sbocciato del tutto.

 

Il problema insomma non era (solo) di moduli, schemi o filosofia di gioco ma soprattutto di empatia. La prova definitiva potrebbe essere l'arrivo adesso di Andrea Pirlo. La rivoluzione bianconera va infatti avanti con un nuovo interprete che nelle ambizioni potrebbe avere confidenza con i giocatori e carisma alla Zidane interpretando comunque la stessa svolta “giochista” per cui era stato chiamato Sarri. E però con una estetica personale completamente nuova, moderna, identitaria. Dal più anziano al più giovane. Dall’uomo della gavetta assoluta, della favola di un posto in banca lasciato vacante per seguire la propria passione, alla vertigine (e l’azzardo) di un genio del calcio senza nemmeno una panchina nel curriculum. Dai filtrini delle sigarette smangiucchiati e la sudorazione importante che certe maglie tinta unita non aiutavano a nascondere alla forza espressionista di quel volto iconico e che fa pensare all’essenza stessa del football.

PUBBLICITÁ

  

PUBBLICITÁ

Non è certo da questi particolari che si giudica un allenatore. Ma a qualcosa servono. Physique du role direbbe Galliani.

 

PUBBLICITÁ

Se la “straordinaria inesperienza” per usare l’espressione del ministro Madia di qualche anno fa funzionerà nessuno può dirlo. Manca qualsiasi evidenza. “Mo’ so’ cazzi sua” del suo amico Gattuso è al momento il più poderoso, affettuoso e ironico degli exit poll. Vale per tutti gli allenatori, soprattutto quelli delle grandi squadre con aspettative altissime. E varrà per Pirlo che avrà addosso da subito molta pressione.

  

Certamente il tentativo è suggestivo e potrebbe essere appunto guardioliano, visionario. L’ambizione a un calcio che sia bello e non solo efficace. La Juve potrebbe proseguire in un percorso simile a quello di Edi Rama, attuale primo ministro albanese e tra l’altro appassionato tifoso bianconero, che ormai più di vent’anni fa spinse le persone a colorare le case di Tirana, cercando un’estetica nuova che sottolineasse la bellezza colorata della democrazia. Vincere rimane sempre la cosa che conta ma farlo con in panchina un aspirante Alvaro Siza può avere un altro valore. Un cambio di rotta totale, dal calcestruzzo armato dell’Unité d’Habitation di Le Courbusier, dai modelli dell’architettura funzionalista, brutalista, al gusto della bellezza e della leggerezza del Padiglione nel Parco delle Nazioni di Lisbona, della pulizia geometrica di un solaio in calcestruzzo che sembra una vela. Cambia insomma l’architetto ma la strada cominciata con Sarri sembra tracciata.

 

Lo scenario che si delinea è inoltre una sfida tra il mondo delle competenze, delle esperienze in senso stretto e l’idea che il talento carismatico possa invadere e funzionare in qualsiasi campo. Proprio Koolhaas torna utile e di buon auspicio per il nuovo allenatore bianconero. L’uomo che ha cambiato l’architettura contemporanea infatti era un debuttante, un “neo architetto”, quando teorizzando retroattivamente le griglie e i grattacieli di quella New York riuscì a fare quello in cui Dalí e Le Corbusier avevano fallito: diventare in poco tempo, quasi senza esperienza e patentini, il modello a cui guardare. Come Guardiola in quel giorno di ormai quindici anni fa quando si presentò nello studio del suo presidente Joan La Porta sfidandolo. “Non avrai mai le palle di farmi diventare allenatore”. Come è andata a finire lo sappiamo. Con il più poderoso cambiamento concettuale dai tempi di Sacchi. Avvicinarsi in un giorno possibilmente non troppo lontano a questo straordinario modello di successo è l’obiettivo sognato da Pirlo. La strada è ripida, difficile ma indiscutibilmente affascinante.

 

Pierluigi Pardo e Lorenza Baroncelli (direttore artistico alla Triennale di Milano)

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ