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Perché politica e sport fanno ancora a cazzotti

Umberto Zapelloni

Conte congela la riforma di Spadafora, Federazioni unite contro il ministro. Chi pensa alla ripartenza?

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Lo sport fa davvero male. A chi non lo conosce e forse non lo ama davvero. Ogni volta che la politica prova a mettere le sue lunghe mani da quelle parti rischia di scottarsi. Il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, è addirittura arrivato a presentare le dimissioni, dopo esser stato vittima del fuoco incrociato di amici e nemici, uniti nel criticare la sua legge di riforma dello sport italiano. Il premier Conte ha preso tempo, un po’ come il suo omonimo sulla panchina dell’Inter, rimandando tutto a dopo l’estate. Dimissioni congelate e di conseguenza congelata anche la riforma dello sport (“Ne riparleremo dopo l’estate”, la promessa del ministro), basata su concetti condivisibili, ma un po’ troppo zoppicante in alcuni dettagli che hanno denotato una scarsa conoscenza di un argomento molto più complesso di quanto si possa credere. Confondere libici con libanesi è grave, ma può essere considerata una svista da ansia di prestazione (social), non sapere a chi appartiene Palazzo H se si vuole cambiarne il proprietario è un errore grossolano. La bozza del ministro ha scontentato M5s, Pd, opposizione e pure tutto il Coni più unito che mai. Oltre al “mostro a quattro teste”, il Coni mette nel mirino la suddivisione dei fondi, il limite ai mandati, il peso economico del lavoro sportivo (esagerato per associazioni e società dilettantistiche già alla canna del gas, ma anche per chi come la Figc avrebbe dovuto assumere 32 mila arbitri), il vincolo sportivo indispensabile per gli atleti, ma pericoloso per le società.

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Lo sport fa davvero male. A chi non lo conosce e forse non lo ama davvero. Ogni volta che la politica prova a mettere le sue lunghe mani da quelle parti rischia di scottarsi. Il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, è addirittura arrivato a presentare le dimissioni, dopo esser stato vittima del fuoco incrociato di amici e nemici, uniti nel criticare la sua legge di riforma dello sport italiano. Il premier Conte ha preso tempo, un po’ come il suo omonimo sulla panchina dell’Inter, rimandando tutto a dopo l’estate. Dimissioni congelate e di conseguenza congelata anche la riforma dello sport (“Ne riparleremo dopo l’estate”, la promessa del ministro), basata su concetti condivisibili, ma un po’ troppo zoppicante in alcuni dettagli che hanno denotato una scarsa conoscenza di un argomento molto più complesso di quanto si possa credere. Confondere libici con libanesi è grave, ma può essere considerata una svista da ansia di prestazione (social), non sapere a chi appartiene Palazzo H se si vuole cambiarne il proprietario è un errore grossolano. La bozza del ministro ha scontentato M5s, Pd, opposizione e pure tutto il Coni più unito che mai. Oltre al “mostro a quattro teste”, il Coni mette nel mirino la suddivisione dei fondi, il limite ai mandati, il peso economico del lavoro sportivo (esagerato per associazioni e società dilettantistiche già alla canna del gas, ma anche per chi come la Figc avrebbe dovuto assumere 32 mila arbitri), il vincolo sportivo indispensabile per gli atleti, ma pericoloso per le società.

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Per il presidente del Coni Giovanni Malagò, che non a torto si ritiene un bersaglio del M5S, “si sta scherzando con il fuoco”. Per Gianni Petrucci, ex numero 1 del Coni e oggi presidente del basket, “siamo diventati appestati, ma quale altro settore italiano è sesto o settimo nel mondo come lo sport?”. Per Maurizio Casasco, numero 1 dei medici-sportivi, si tratta di “violazione della delega che sta uccidendo lo sport”. Per Sabatino Aracu, presidente italiano e mondiale delle rotelle e parlamentare di Forza Italia, è una “vergogna”. Per Paolo Barelli, presidente del nuoto e senatore di Forza Italia “il testo della riforma è già da riscrivere”. Per Angelo Cito del taekwondo “cercano di mettere le mani sullo sport come fanno da diversi anni”. Luciano Rossi, presidente del tiro a volo specializzato nell’acchiappare medaglie olimpiche parla di “devastazione terminale”. Gabriele Gravina è meno scenografico, ma molto concreto: “Siamo preoccupati dalla situazione generale legata alla ripartenza”, dice l’unico ad esser ripartito. Tutte dichiarazioni, rilasciate dopo giunta e consiglio nazionale del Coni, che vanno nella stessa direzione: mai i presidente federali erano stati così compatti. Anche chi è storicamente avversario di Malagò è sceso in campo per proteggere il Coni e la sua autonomia. Tutto questo nonostante Malagò in questi ultimi mesi qualche errore lo abbia commesso, perché vedere cinema e teatri riaprire, ma lo sport restare chiuso, se non addirittura fermo, non è un bel risultato per chi ne è il presidente a un anno dai Giochi di Tokyo. La guerra interna al governo ha portato unità tra federazioni e Coni, almeno fino alla prossima puntata. D’altra parte va ricordato che il Pd ai tempi del governo gialloverde votò contro la nascita di Sport e Salute, l’agenzia presieduta da Vito Cozzoli e ora che è al governo, giocando di sponda con Italia Viva, vuole ridurne il campo d’azione. Il gioco opposto a quello dei Cinque Stelle che puntano a smantellare il Coni e a far fuori il presidente Malagò. Un pasticcio chiama l’altro e tutto rischia di ridursi a un gioco di fazioni con postille scritte apposta per colpire vecchi nemici. Se la legge delega, che compie un anno in questi giorni, non viene attuata c’è la possibilità che diventi vecchia ancora prima di entrare in azione. Certo è quanto meno bizzarro che un ministro dello Sport per riscriverla chieda al Coni di dargli una mano e poi si sorprenda se i suoi alleati politici si arrabbino.

 

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Il tutto in un momento in cui lo sport dovrebbe preoccuparsi di altro, ovvero di come ripartire dopo l’estate. Nessuno sa ancora quando potrà ripartire e se potrà riaprire al pubblico e anche l’intervento previsto sul credito d’imposta per le sponsorizzazioni, richiesto a gran voce da Lega Pro, Lega Basket, Lega Pallavolo e Fidal, ha fatto storcere il naso perché non può essere risolutivo in queste dimensioni. Il calcio per ripartire ha speso 7 milioni di euro per i controlli di due mesi (56.397 tamponi e 17.594 sierologici) e non può pensare di continuare così. Figuriamoci gli altri. A questo si dovrebbe pensare. Malagò, però, continua a sventolare il fantasma del Cio e anche l’altro giorno ha ripetuto: “Se dovesse cadere la legge delega sulla riforma dello sport, le conseguenze in termini di sanzioni saranno sicure e immediate. Non stiamo bluffando, qui stiamo letteralmente scherzando con il fuoco. Al Cio dovrò mandare un report, gli si era detto che entro domani la questione sarebbe stata definita. Sono passati un anno e 8 mesi, stiamo andando fuori tempo massimo. L’impegno del governo era di chiudere entro agosto”. Un impegno che Conte prese dopo essersi incontrato con Bach e una delegazione del Comitato Olimpico Internazionale il 20 novembre a Milano. Malagò si dimentica di ricordare che a chiamare in causa Losanna denunciando quando stava accadendo in Italia è stato proprio lui, anche se con il cappello di membro Cio, obbligato a vigilare. Ma questo è un altro discorso, utilissimo però a capire il momento storico che stiamo attraversando.

 

Là fuori ci sono società sportive che rischiano di morire, leghe che non sanno come ricominciare i loro campionati e dentro i palazzi si litiga e ci si complica la vita. Là dove c’erano Coni, Sport e Salute e Cip oggi c’è anche il Dipartimento dello Sport che ha visto crescere i suoi funzionari da 16 a 71 con il risultato che dopo la fuga di Sabelli gira voce di un momento di scoramento di Vito Cozzoli, il quale però smentisce ogni pensiero di dimissioni e l’altro giorno è stato convocato con tutti i suoi dirigenti dal ministro per un confronto molto acceso ma con un lieto fine. Sport e politica non riescono ad andare d’accordo. La materia è troppo complessa per essere trattata con leggerezza. D’altra parte ci sarà un motivo se il Coni, nato come Federazione delle Federazioni Sportive, è stato riorganizzato solo due volte in oltre cent’anni di vita. La prima da un signore che oggi non va più di moda e vestiva in camicia nera, la seconda nel 1999 da una signora, Giovanna Melandri, che ha avuto la fortuna di poter festeggiare un Mondiale di calcio direttamente nello spogliatoio azzurro. Negli ultimi anni ci hanno provato Lotti, Giorgetti e il suo amico Valente, ora ci sta provando Spadafora. Sembra quasi che chi tocca lo sport poi rischi di farsi del male.

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