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Ripartire, sì, ma con che testa?

Patrizio Ruviglioni

Tre psicologi dello sport ci spiegano l’impatto di lockdown, pandemia e stadi vuoti sui giocatori

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Come cambia il calcio a porte chiuse? Zero fischi, niente cori, al massimo qualche insulto “benevolo” dalla propria panchina. Se il quando della ripartenza del calcio italiano è stato a lungo un rebus, il come era chiaro dall’inizio: a porte chiuse per evitare assembramenti, e con rigide norme igienico-sanitarie per sventare eventuali contagi. Ma uno stadio vuoto e silenzioso come influenzerà la mente dei calciatori?

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Come cambia il calcio a porte chiuse? Zero fischi, niente cori, al massimo qualche insulto “benevolo” dalla propria panchina. Se il quando della ripartenza del calcio italiano è stato a lungo un rebus, il come era chiaro dall’inizio: a porte chiuse per evitare assembramenti, e con rigide norme igienico-sanitarie per sventare eventuali contagi. Ma uno stadio vuoto e silenzioso come influenzerà la mente dei calciatori?

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“La verità è che il pubblico è fondamentale. Il rumore della folla e il tifo in tribuna, che siano della squadra di casa e di quella degli avversari, condizionano il gioco. Gli atleti ne avvertono la pressione, con conseguenti maggiore attivazione a livello emotivo e cognitivo. Per dire: io preparo i calciatori facendo loro sentire i suoni delle arene dove giocheranno, per predisporli agli stimoli”, spiega al Foglio Sportivo Marisa Muzio, psicologa dello sport ed ex nazionale di nuoto. E avverte: “Sono meccanismi inconsapevoli, ma con regole come quella di non abbracciarsi rischiamo un calcio meno ‘spontaneo’, con ricadute anche sul gioco, meno ‘fluido’. Poi, senza pubblico, c’è la possibilità che si perda la concentrazione e che molti giocatori percepiscano la gara come un allenamento-eccellente”.

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Anche per Alberto Cei, psicologo dello sport e autore del libro Psicologia dello sport (Il Mulino), potrebbero esserci “un calo dell’agonismo”. La presenza del pubblico, ci dice, “rende i calciatori più emotivi e competitivi. Ma per i prossimi mesi mi immagino un calcio più tecnico, dove ognuno eseguirà rigidamente gli schemi e i compiti”. Anche per questo Roberto Civitarese, mental coach al fianco di giocatori di Serie A e B, parla al Foglio Sportivo di un campionato “falsato”. Ovvero? “Le piazze più calde, come Bergamo, le romane, Lecce e Napoli saranno penalizzate dalle porte chiuse. Di fatto, scordiamoci il fattore campo, da cui deriva il condizionamento emozionale dei calciatori. Ne gioveranno le squadre più tecniche, perché il risultato conseguito in campo è frutto di un mix del suo stato d’animo e della tecnica. Ed ecco: nel silenzio dello stadio, ci si concentrerà solo sul secondo aspetto”. Cei e Civitarese ammettono che i giocatori più colpiti saranno quelli che dell’aspetto motivazionale e dell’agonismo hanno fatto le loro armi. Ma senza sottovalutare i giovani: “Molti di loro – avverte Muzio – solitamente giocano con famiglia e amici al seguito: potrebbero risentirne”.

 

“È l’effetto campo: uno stadio pieno che supporta i calciatori influisce sul loro sistema dopaminergico, favorendo la trance agonistica e rendendo più brevi i tempi di reazione”, precisa Aiace Rusciano, psicologo dello sport e neuropsicologo già collaboratore con NeuroLab del Milan, ora al Chievo. “Ma i giocatori mentalmente forti e più strutturati a livello neurologico non ne risentiranno. Quelli meno esperti, invece, sì. Per questo, gli allenatori dovranno spingere meno sugli schemi e più sull’idea di giocatore-pensante, sollecitando la creatività. E per i prossimi mesi, quindi, la leadership dei tecnici sarà fondamentale. Poi toccherà a dirigenze e proprietà prevenire gli infortuni e gestire i recuperi dal punto di vista psicofisico: spesso si pensa che un calciatore ‘sta bene’ quando non ha infortuni muscolari, ma seguendo il modello della psicologia sistemica bisogna prendere in considerazione anche l’aspetto mentale per un buon risultato finale. E del resto, secondo i nostri dati, il 20 per cento dei calciatori soffrirà di disturbi da stress dopo la quarantena”.

 

Già perché negli ultimi tre mesi anche il calcio è rimasto chiuso in casa: uno stop mai tanto lungo. “Per ripartire sarà importante il modo in cui i giocatori hanno trascorso la quarantena. Chi si è allenato in maniera più soft soffrirà maggiormente a livello mentale”, sostiene Cei. E ancora: “Sarà importante anche il mister: se nonostante la quarantena ha tenuto unito e in tensione il gruppo, sarà più facile ritrovarsi”. Senza contare che, comunque, nel frattempo alcuni calciatori sono rimasti contagiati. “La ripresa dipenderà dalla personalità di ciascuno: c’è chi può aver tratto forza dalla malattia, e chi invece si sentirà sfiancato da un lungo periodo di stress”. In ogni caso, si riparte. E per Civitarese significa che “tutto si azzera”. Perché? “A livello psicologico è questione di ‘moduli’: chi era inserito in un modulo positivo, ovvero in una condizione psicofisica di alto livello, dovrà ritrovare quel ritmo e non sarà facile; chi invece veniva da un momento difficile, avrà modo di ripartire ‘da capo’. In questo caso, la sosta può anche essere un’opportunità”.

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Comunque, tutti ritengono che il gioco a porte chiuse vada inserito nel contesto più ampio della pandemia e della quarantena: saranno tutti questi aspetti insieme a influenzare le partite post-Covid. Muzio: “Non dimentichiamoci che i calciatori hanno vissuto le nostre stesse paure e incertezze. E molte di queste paure potranno accompagnarli nel rientro in campo per gli allenamenti, nelle partite quando riprenderanno, magari nelle trasferte nelle zone più a rischio. Inoltre, inevitabilmente le rigorose norme di sicurezza negli spogliatoi potranno forse interferire con abitudini e rituali. Senza escludere, poi, la preoccupazione di infortunarsi”. Ma Rusciano, comunque, in riferimento alle esperienze passate spiega come “a questi livelli i professionisti sono mentalmente allenati a sopportare uno stress del genere. Il problema, semmai, sarà nella leadership. Perché la ripartenza non è stata gestita bene: in Germania l’obiettivo primario è giocare, considerando che qualcuno si possa infettare; da noi, se qualcuno si infetta verrà bloccato tutto. E questo trasmette insicurezza all’intero movimento, ma se crolla la leadership vengono meno i risultati”.

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Anche per gli altri, comunque, il ruolo dell’allenatore sarà importante. “Direi fondamentale”, aggiunge Muzio. “Leadership del mister, assertività, fiducia e costruzione di un clima positivo faranno la differenza nel quotidiano. Per il resto, sì, conteranno coesione di squadra, maturità del gruppo e professionalità degli atleti: chi ne avrà di più, si lascerà influenzare meno dalla pandemia”.

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