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il foglio sportivo

Chi ha voglia di ricominciare

Umberto Zapelloni

Incertezze sulla ripartenza rischiosa ma necessaria del calcio. Tra stop e porte chiuse, la nostra passione resisterà?

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Non è ancora chiaro se potremo tornare prima dal barbiere o in uno stadio di calcio. E lo stesso discorso vale per un palazzetto, un velodromo, una piscina, una palestra. E dire che per sentirci vivi basterebbe stare tutti fuori, aggrappati alle reti di recinzione, senza neppure il bisogno di una tribuna. Magari, quando arriverà il tempo, assomiglieremo tutti a Valderrama.

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Non è ancora chiaro se potremo tornare prima dal barbiere o in uno stadio di calcio. E lo stesso discorso vale per un palazzetto, un velodromo, una piscina, una palestra. E dire che per sentirci vivi basterebbe stare tutti fuori, aggrappati alle reti di recinzione, senza neppure il bisogno di una tribuna. Magari, quando arriverà il tempo, assomiglieremo tutti a Valderrama.

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Del calcio dei professionisti si stanno occupando in tanti, forse in troppi, come sta capitando in mille altri settori dalle nostre parti. In una delle ultime uscite pubbliche, il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora sulla Fase 2 ha fatto melina, anzi ha proprio sparato la palla in tribuna, infarcendola con le solite rassicurazioni: “La ripartenza è necessaria in considerazione non solo del valore economico, ma anche di quello sociale dello sport, però la prudenza è necessaria”. Il pallone movimenta circa 5 miliardi, che con l’indotto diventano 12, “la terza azienda del paese”, ripete ad ogni apparizione pubblica Gravina, il presidente della Figc, quello che va in tv a dire che non vuole “essere il becchino del calcio”. Non è più solo un gioco da un bel po’ di tempo. E non lo è più neppure in Lega Pro, campionato che, secondo uno studio appena presentato, genera un valore economico e sociale nel paese pari a 580 milioni di euro annui o tra i dilettanti che contano 12 mila società e 1 milione di tesserati, una serie che riveste un ruolo primario nel percorso di crescita dei giovani. Finora l’unico a portarsi a casa il pallone dicendo che non si gioca più è stato il direttore generale della Lega Pro, Francesco Ghirelli, un uomo che si fa sempre guidare dalla sua saggezza, ma il cui pensiero (tre promozioni sul campo, una a tavolino e il blocco delle retrocessioni) questa volta ha scatenato una mezza rivolta, ancora prima di arrivare sui tavoli del Consiglio Federale per essere approvato.

 

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A compattare il calcio c’è riuscita solo Sky (con Dazn) con la legittima richiesta di rivedere i conti. In caso di chiusura dei tornei per forza maggiore dovrà comunque pagare tutto, ma vorrebbe rivedere gli importi della prossima stagione. Toccati sul portafoglio, anche i paladini del no hanno detto sì: giochiamo. L’Uefa ha dato tempo fino al 3 agosto per chiudere i campionati e fino al 27 maggio per scegliere la formula in caso non si possano completare le giornate. E comunque una classifica per la partecipazione alle coppe andrà fornita. Su come finire il campionato il nostro calcio ha messo in moto una commissione, varato un protocollo, deciso delle misure di contenimento che proprio economiche non sono e che solo la serie A potrebbe permettersi. Sul quando deciderà il governo anche per non lasciare spazio a qualche causa. Soprattutto perché nessuno vuole essere il becchino del calcio. Questo è chiaro. Anche se alla fine è chiaro che tutti vogliono giocare per soldi e non per passione. E chi non vuole giocare (in Serie A) è chi ha paura di retrocedere e quindi di perdere un sacco di soldi. Eppure, continuare a considerare il mondo del calcio un mondo di privilegiati è troppo facile. Che il calcio non sia un mondo da prendere a esempio può anche essere vero. Che il calcio possa però trasmettere un messaggio positivo, un messaggio di speranza, è fuori di dubbio. “Chi invoca oggi l’annullamento della stagione non vuole bene né al calcio né agli italiani e toglie loro la speranza di futuro”, ripete sempre Gravina.

 

Quello che forse non tutti hanno compreso è che il calcio per un po’ lo vedremo (a giugno come a settembre) solo in televisione. Che la quarantena da calcio (e da sport in generale) potrebbe durare fino all’anno prossimo nella peggiore delle ipotesi. E non è che potremmo trovarci al bar a fare i tifosi… C’è chi in Danimarca ipotizza un enorme drive-in fuori dagli stadi. Maxischermi e autoradio. E gli abbonati? Chi aveva già sganciato i suoi soldini cosa farà quando le 124 partite ancora da giocare in A verranno disputate a porte chiuse? Ci sono clausole che non prevedono il rimborso. L’idea potrebbe essere comunque quella di regalare agli abbonati un pass per la tv sociale (e per chi non ha il canale del club, a una tv a pagamento). Sarebbe il minimo. “Gentile abbonato, ci hai dato soldi e fiducia per venirci a vedere e sostenerci, non possiamo più lasciarti accomodare in tribuna, ma almeno ti permettiamo di continuare a vivere la tua passione dal tuo divano di casa”.

 

Per Pier Paolo Pasolini “Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro”. Una frase che ai tempi del coronavirus andrebbe rivista. Di sacro rischia di restare ben poco anche perché il rito per un po’ non sarà più evasione. Basterà guardare le partite in tv per alimentare la passione? E il calcio che non ha le telecamere sempre accese che fine farà? “Ci sono società che rischiano di non riuscire ad iscriversi al prossimo campionato e calciatori che rischiano il posto di lavoro”, ha detto Damiano Tommasi. Perché noi pensiamo alla punta dell’iceberg, ma sott’acqua c’è un movimento enorme che alimenta la passione. “Stiamo parlando del calcio della formazione, delle piccole società, della base di questo sport e dell’aggregazione sociale”, dice Cosimo Sibilia pensando ai suoi dilettanti. “Siamo l’unica Lega che ha fatto un’analisi sull’impatto economico del 2020/2021 e abbiamo valutato il danno a circa 80 milioni – ha commentato Ghirelli, che come sempre guarda lontano – Si tratta di una stima conservativa. Giocheremo per tanto tempo senza pubblico. Senza pubblico non abbiamo risorse, non abbiamo sponsor. È un disastro già adesso ma il danno maggiore per noi è quello del prossimo anno”.

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Kpmg Football ha valutato che lo stop dei campionati porterebbe il calcio europeo a fronteggiare una crisi valutabile sui 4 miliardi. E al danno economico rischia di aggiungersene uno ancora più pericoloso. Il calo del desiderio, della passione. I riti diventano tali se c’è una ripetitività dei comportamenti. La partita di pallone è un rito perché andiamo tutti allo stadio o al bar a vederla con gli amici, pronti ad abbracciarci al gol, a urlarci in faccia al rigore negato. Tutto questo verrà meno per un bel pezzo. Neppure gli esperti riescono a prevedere quale sarà l’atteggiamento del dopo. Avremo perso la passione e la voglia di viverla tutti assieme? O al liberi tutti saremo spalla a spalla in tribuna a tifare come prima per dimenticare quel che abbiamo vissuto? Oggi non ci sono strumenti per saperlo con esattezza. Di sicuro i club dovranno lavorare molto per tenere alta la passione e farsi amare. Avranno un impegno in più. Ma probabilmente non vedono l’ora di mettersi alla prova.

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