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Aneddoti finiti, ci restano Totti e Er Faina

Jack O'Malley

Le notizie cercate sulle dirette Instagram dei calciatori sono peggio dei tornei di videogiochi in tv

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Fate presto, come titolava quello, perché ho l’impressione che tra un paio di settimane al massimo avremo finito gli aneddoti interessanti degli ex campioni e inizieremo con i paradossi e il fondo del barile (oltre al quale ci sono solo i like alle foto sulla “natura che si riprende i suoi spazi al tempo del coronavirus”). Adesso che le fonti di notizie sono le dirette Instagram degli atleti, la morte del giornalismo sportivo è definitiva. Certamente c’è più pepe nelle cazzate in libertà dette da calciatori non controllati passo passo da uffici stampa e responsabili della comunicazione, ma da qui a trasformare in virologo uno come Lukaku che parla di influenze sospette a dicembre all’Inter, senza nemmeno andare a controllare i bollettini medici dell’epoca, ce ne passa.

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Fate presto, come titolava quello, perché ho l’impressione che tra un paio di settimane al massimo avremo finito gli aneddoti interessanti degli ex campioni e inizieremo con i paradossi e il fondo del barile (oltre al quale ci sono solo i like alle foto sulla “natura che si riprende i suoi spazi al tempo del coronavirus”). Adesso che le fonti di notizie sono le dirette Instagram degli atleti, la morte del giornalismo sportivo è definitiva. Certamente c’è più pepe nelle cazzate in libertà dette da calciatori non controllati passo passo da uffici stampa e responsabili della comunicazione, ma da qui a trasformare in virologo uno come Lukaku che parla di influenze sospette a dicembre all’Inter, senza nemmeno andare a controllare i bollettini medici dell’epoca, ce ne passa.

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Capisco che dopo avere raccontato ogni partita della Nazionale dal 1934 a oggi, dopo avere dedicato palinsesti quotidiani più o meno a tutti i campioni degni di questo nome (a quando un Francesco Coco Day su Sky Sport?), dopo avere chiesto a qualunque giocatore del Mondiale 2006 cosa ha provato in quei giorni, uno non sa più cosa inventarsi. Dicevamo del paradosso, ed ecco che nei titoli online Paolo Maldini diventa, parole sue, “uno dei più grandi perdenti”, perché oltre ad avere vinto molti trofei ne ha pure persi tanti (io allora sono astemio tra una birra e l’altra). Il dirigente del Milan sarà comunque contento che finalmente si parli di lui per quello che dice e non per quello che non riesce a fare per la sua squadra.

 

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Maestro nel far parlare di sé anche solo respirando è Francesco Totti, si sa. Il romanocentrismo del giornalismo italiano ha fatto sì che negli anni qualunque refolo esca dalla bocca dell’ex capitano della Roma diventi notizia con ricadute nazionalpopolari dai risvolti epici o drammatici a seconda di quello che dice. Confesso di non seguirlo sui social network, preferisco sistemare le scorte di brandy in cantina, ma sui siti dei giornali sportivi italiani non passa giorno senza che ci sia una qualche rivelazione shock del Pupone. Dagli aneddoti sulle squadre in cui avrebbe potuto andare a giocare fino agli scherzi in ritiro ai compagni di squadra, ormai sappiamo più noi di lui che sua moglie. E dato che la sua esistenza è rinvenibile nella grande categoria del “purché se ne parli”, da venerdì la Capitale è scossa non dal coronavirus, bensì dal suo “ci penserei” alla domanda fattagli da tale Er Faina sulla possibilità che suo figlio vada a giocare con la Lazio. È chiaro che non ne usciranno migliori. Non possiamo giudicare i calciatori dalle prestazioni in campo, allora lo facciamo per la loro simpatia sui social o la loro bravura ai videogiochi.

 

Lasciatemi però dire che quei tornei in diretta tv di Fifa, Pes e Formula 1 virtuale sono l’aberrazione definitiva, l’acqua naturale in casa invece che una bionda al pub. Adesso che la comprensibile paura del virus fa pensare a molti che sarà possibile tornare in campo solo quando il rischio di contagiarsi sarà zero (tanto vale morire di vecchiaia, o noia, magari leggendo articoli su come il Covid ha cambiato i nostri costumi), l’altro metro di giudizio con cui mettiamo i nostri campioni del cuore tra i buoni o i cattivi è andare a vedere se hanno fatto beneficenza per la ricerca. L’ex Arsenal Adebayor non l’ha fatto, e a chi gli chiedeva scandalizzato il perché ha risposto “faccio quello che voglio”. Parole dal sapore rivoluzionario, adesso che la polizia ci chiede dove andiamo ogni 100 metri e un’app ci dirà se dobbiamo starcene buoni a casa.

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